lunedì 20 febbraio 2023

Perché le primarie non cambieranno il Partito Democratico


Osservando le primarie del Partito Democratico non riesco a non pensare a una grande corsa di cavalli e il conseguente tifo da parte degli scommettitori. 


Una competizione assurda sulla quale si sta puntando tutto per recuperare il più importante partito dell’opposizione che però non è in grado di condurla. Un partito che avrebbe bisogno di un vero congresso costituente e non di un voto fra due idee di Paese diametralmente opposte. 

Tanto si è detto per poi finire a commentare la stessa cosa che accade da anni: la campagna dei candidati, il voto e il tiro al nuovo segretario.


Il confronto fra Schlein e Bonaccini sta evidenziando un problema concettuale sul significato di “partito”: pensare infatti che, lo sconfitto nel voto di domenica, possa sentirsi a proprio agio nel partito dell’altro è inverosimile perché manca un comune denominatore fra i due. 


Non si sta scegliendo il miglior rappresentante di un partito che ha svolto un percorso rigenerante; si sta selezionando il partito stesso. È evidente quindi che Schlein, nel partito di Bonaccini, durerà poco; ma anche Bonaccini, nell’idea radicale di Schlein, non avrà spazio. Non per colpa del carattere di uno o dell’altra ma perché non hanno una base comune riconoscibile su cui appoggiare le loro divergenze; le loro infatti non sono mozioni congressuali: sono due partiti diversi.


Ecco che allora non è possibile un confronto: non è possibile quella destrutturazione e ricostruzione propria dei congressi di partito nei quali, sì: ci si divide sostenendo l’orientamento preferito; ma poi ci si ricompatta su quelle basi comuni inviolabili da qualunque proposta alternativa. 


C’è una forte differenza fra quello che il Partito Democratico racconta e quello che si osserva. Di costituente e di congresso c’è solo il titolo che veste di nuovo qualcosa che si ripete sempre uguale: una sfida fra due personalismi che non riesce a fare quel lavoro in profondità di cui il partito avrebbe bisogno.


Si gioca agli americani in Italia non considerando come il sistema politico italiano sia altra cosa rispetto a quello statunitense. Non è possibile guarire un partito scegliendo semplicemente il suo nuovo leader; sarà il leader altrimenti a disegnare il suo partito; ed è quello che accadrà da lunedì.


Che vincerà Bonaccini è noto come lo era la vittoria di Mengoni a Sanremo. Il Partito Democratico non può assumere di colpo le posizioni di Schlein: sarebbe un terremoto troppo forte per un partito che ingloba quattro culture politiche differenti. 


Il risultato è tuttavia davvero un dettaglio non influente. Che vinca Bonaccini o Schlein poco cambierà: si sarà eluso, ancora una volta, il problema di cos’è il Pd e di chi vuole rappresentare

martedì 7 febbraio 2023

Mi sono dimesso dal Consiglio comunale di Sasso Marconi


Ho sempre visto la vita come un susseguirsi di fasi: momenti nei quali vivere esperienze intense, esperienze che fanno battere forte il cuore rigenerandoti ogni giorno. 


La politica è indubbiamente il mio più grande amore: è quello a cui penso mentre preparo il caffè la mattina, mentre ascolto la rassegna stampa, quando scrivo. Enrico Mentana, scrivendo del mestiere di giornalista, parla di “passionaccia”: la politica per me è la stessa cosa. 


Però c’è un enorme però: arriva un momento in cui ti devi chiedere se, la politica, la vuoi fare, studiare o osservare. Mentre per queste due attività serve razionalità, spirito di osservazione e capacità di analisi; per fare politica serve passione. 


Sin dal mio primo ingresso in consiglio comunale mi sono promesso che sarei rimasto in quella meravigliosa aula per un massimo di dieci anni: prima cinque e poi, se fossi stato rieletto, altri cinque; perché questo secondo me è il tempo giusto per ricoprire un ruolo pubblico contribuendo ad amministrare la cosa pubblica. Vedete: il ruolo di consigliere comunale ti riempie la vita, le giornate che dedichi a elaborare progetti, riflessioni e battaglie; non è affatto un ruolo che si può svolgere con apatia altrimenti saremmo facilmente sostituiti da sofisticati computer che potrebbero vigilare in modo automatico. È l’entusiasmo che fa un politico,  è l’entusiasmo che fa un consigliere comunale.


Arrivato al nono anno d’impegno pubblico mi sono accorto di avere esaurito l’entusiasmo da investire nel mio ruolo. Quella poltrona sulla quale siamo seduti deve bruciare ogni giorno, nel momento in cui non la senti più bruciare sotto di te è meglio alzarsi lasciandola alla persona, rimasta esclusa al momento del voto, che quell’entusiasmo ce l’ha.


In questo momento sento il bisogno di dedicarmi ad altri ruoli, altri progetti che ho un po’ trascurato per dedicarmi alla politica attiva.  Così ho rassegnato le dimissioni dal Consiglio Comunale di Sasso Marconi: lo faccio per tornare al ruolo da cui sono partito, quello che desidero svolgere svestendomi da responsabilità pubbliche.


Mi dimetto nel pieno rispetto degli elettori che meritano rappresentanti concentrati sull’attività politica. È mia abitudine vestire diversi panni: politico locale, analista politico, volontario in diverse associazioni del territorio. Adesso sento il bisogno di svestire quelli di consigliere per concentrare le mie energie su altro. 


Le persone che voglio ringraziare per questi meravigliosi nove anni sono tante: dalla persona che mi ha insegnato a vivere un’istituzione pubblica ai due sindaci con cui ho lavorato. La politica non è un’attività normale: la politica ti coinvolge tutto, crea relazioni affettive ed intellettuali che continueranno a vivere e ad alimentarsi.


Sei o fai il consigliere comunale? Questa è la grande domanda che penso ci si debba porre.

Se sei un consigliere comunale va tutto bene: puoi continuare anche tutta la vita; ma se ti accorgi di stare facendo il consigliere comunale ti devi fermare. 


Il mio affetto verso il sindaco Roberto Parmeggiani e il suo progetto di città è totale. Percepisco però di avere concluso il contributo che posso offrire. Ringrazio  i tecnici che mi hanno affiancato in questi anni e dai quali sento di avere imparato molto: un bagaglio di esperienze che porterò sempre con me. 


Non abbandonerò la politica, cambierò solo prospettiva: sono convinto che riuscirò a dare un contributo anche da bordo campo mentre lavorerò per costruirmi, o ricostruirmi, una professione.


Un amico, nonché un maestro, in questi giorni mi ha consigliato di pensare alle tante persone che hanno scritto il mio nome sulla scheda elettorale. Così ho fatto rafforzando la mia convinzione di svestire questa casacca. Sono consapevole di stare dando un forte dispiacere a molti: me ne dispiaccio molto ma ho solo anticipato di 365 giorni una scelta in segno di rispetto nei confronti di me stesso. 


Da domani inizierò un nuovo percorso che sono sicuro mi porterà a costruire un futuro professionale riprendendo da dove si è interrotto. 


Voglio concludere questo post riprendendo la frase che scrissi il giorno prima delle ultime elezioni amministrative: “E comunque ci si vede in piazza!”.