martedì 10 luglio 2018

Il ritorno della pop star

Matteo Renzi

L’evento del fine settimana è stato indubbiamente l’assemblea nazionale del Partito Democratico. Ormai un evento pop che si deve seguire come si seguono le puntate di una serie tv. Anche le dinamiche in sala dai ruoli contornati e definiti, le luci che illuminano il palcoscenico la fanno assomigliare sempre di più  a uno show di prima serata.

Si sa, gli show hanno come obbiettivo il divertimento del pubblico in sala e a casa: lo devono appassionare, devono farlo andare in bisbiglio. E come in tutti gli eventi pop non può mancare l’intervento della guest star: molto spesso è solo questa che garantisce la platea. Il Partito Democratico una guest star ce l’ha: è stata segretario, poi Presidente del Consiglio; adesso voci dicono che passerà alla conduzione di un programma televisivo. Si tratta inequivocabilmente di Matteo Renzi, sempre più esperto del palcoscenico dal quale arringa le sue folle di fan sfegatati, selvaggiamente rabbiosi contro chi osa dubitare delle qualità del loro beniamino. 

Permettetemi di confessare che io stesso pagherei per vederlo dal vivo, per mischiarmi nella sua curva se mi promettesse, e già qui avremmo qualche problema di affidabilità, di sparire dalla scena politica. Il mondo dello spettacolo ha sempre bisogno di nuovi personaggi; oppure Mastrota lo potrebbe ingaggiare come proprio erede nella vendita di pentole con doppio fondo per la cottura a vapore, per piazzare biciclette con cambio Shimano, e magari anche un materasso Memory. Ecco Mastrota, in questa eventualità, dovrebbe spiegare a Renzi che l’abolizione del Senato non è prodotto MondialCasa: potrebbe accadere che la riproponga al pubblico insieme alla macchina per il sottovuoto. 

E’ evidente come l’appuntamento di Sabato sia stato uno show; poi ci stupiamo che Matteo Renzi sia uscito dopo il suo cameo. Le guest star è questo che fanno. 
In tutto questo potrebbe passare in terza piano come la pop star in questione sia l’ex Presidente del Consiglio, l’ex segretario - quello del 18% - e l’attuale senatore di Scandicci. Tutti questi ruoli Matteo Renzi se li dovrebbe ricordare mentre fa i suoi spettacoli per i suoi fan.
Il suo intervento, depurato da battute e ironia, è preoccupante. Non perché io mi trovi ad anni luce di distanza da Matteo Renzi, bensì perché non dice nulla; gli unici concetti comprensibili sono di destra: figli del centrodestra berlusconiano in cui, d’altra parte, lui è vissuto fin dalla “Ruota della Fortuna” . 
Nel suo copione si dimentica che, nella notte buia del Pd, era lui il timoniere. Si dimentica che il 18% l’ha preso lui e, nonostante potesse renderlo fruttuoso, ha tignato fino allo sfinimento per avere l’opposizione. E’ riuscito perfino ad identificare la virata a destra internazionale come la causa di Salvini al governo, continuando a dare la  stessa definizione di populismo ignorante e ottusa: non differenziando, facendo bensì un pastone con tutti dentro. 

Se per rivitalizzare un’esperienza politica è necessario iniziare dall’analisi del presente, il Pd farebbe prima a chiudere verso un qualcosa di renziano così da chiarire, una volta per tutte, in quale direzione desideri andare. Se chi è stato al governo dal 2011 non ammette per davvero di aver sbagliato qualcosa, può improvvisarsi meteorologo e fare finta che la propria sconfitta dipenda da una perturbazione di populisti proveniente dall’Atlantico. Se davvero si pensa che non sia necessario dare diritti ai riders e si continua ad auto compiacersi per il Jobs Act presentandolo come la madre di tutte le riforme, evidentemente l’unica analisi possibile è quella costruita, con imbarazzante superficialità, dal pop Renzi. 

Ogni fan non dirà mai che il proprio beniamino sbaglia. Non è contemplato l’errore, così come non è ammessa la critica del suo lavoro. Lui è bello, simpatico, tiene testa, ha profuso passione politica in tanti - salvo non dirgli però da quale porta dovevano entrare -; ha dato una leadership al Centrosinistra applicando una nuova astuta tattica: affermare concetti di destra, ignorando tuttavia come alla fine l’elettorato scelga sempre l’originale.  Inoltre, sempre lui, fa divertire, esultare, eccitare senza farsi pagare. Sarebbe l’idillio se non fosse che, invece di salire su un palco o entrare in uno studio televisivo, è entrato a Palazzo Chigi obbligando così a vedere il suo show anche chi ne avrebbe fatto volentieri a meno.

lunedì 2 luglio 2018

Il sonnambulo Carlo Calenda e il Fronte Repubblicano

Immagine di Carlo Calenda

Mentre il Partito Democratico continua a essere in uno stato di coma profondo Carlo Calenda, iscritto da soli tre mesi, pubblica un manifesto per il suo superamento. Nel quieto dormir si aggira un sonnambulo barcollante che, come spesso accade, nell’inconsapevolezza rischia di fare danni. 

Il sonnambulo Calenda è partito per la sua avventura nella notte buia del Centrosinistra, incosciente e incurante di ciò che sta accadendo attorno. Come un sonnambulo appunto. La prima assurdità del manifesto che ha presentato si trova nel nome proposto per la nuova formazione politica: “Fronte Repubblicano”. Premesso che ci troviamo già in una repubblica con una Costituzione democratica - la stessa che Calende voleva stravolgere solo due anni fa - il nome non significa nulla. Non dice con chi e per cosa, né tantomeno perché. 
Questo si sarebbe potuto scrivere fino a pochi giorni fa; dopo la pubblicazione del manifesto la situazione si aggrava: si può dire che il progetto di Calenda sembra scritto da un altro Paese, con un altro sistema politico e prima del 4 Marzo. E’ in sostanza la riproposizione del non programma con cui il PD ha preso il 18% alle elezioni e con il quale ha tigrato per avere il ruolo di opposizione nel quale non sa stare. Un manifesto che potrebbe scrivere un segregato in una stanza senza contatti con il mondo esterno. Pensare che il suo autore è stato a capo del Ministero per lo Sviluppo Economico deve porre qualche interrogativo.

Dalle prime righe del documento è visibile come sia un progetto contro qualcuno e non per qualcosa. Il Fronte Repubblicano, se avremo la sfortuna di vederlo in azione, avrà come nemico l’attuale Governo. Niente di più sbagliato e autolesionista: identificare Lega e Cinque Stelle come nemici significa regalargli la maggioranza per i prossimi vent’anni. Intraprendere apertamente una guerra con chi sa usare la propaganda meglio di te equivale ad essere sconfitto prima ancora di armarti. Su questo, la risposta del Presidente Conte all’accusa di essere populista da Martina, dovrebbe insegnare. 

Continuando nella lettura del documento si percepisce lo scollamento assoluto dalla realtà del Paese. Calenda pone come priorità gli stessi interessi elitari in teoria sconfitti il 4 Marzo la negazione di un dibattito spalancato sul tema dell’Unione Europea; una politica di sviluppo che definisce come “buttati” i soldi che si potrebbero utilizzare per nazionalizzare le aziende strategiche del Paese. Una riproposizione della teoria pensionistica renziana il cui motto è “dove ci porta la corrente”. Un programma degno di un ministro renziano riproposto al tempo in cui Renzi esporta le istruzioni per la distruzione in giro per il mondo.

Il titolo dice già molto, ma il contenuto è ancora più eloquente. Un progetto che non ha nulla a che fare con la Sinistra, confusionario e privo di qualsivoglia analisi del Paese post voto.

Del resto i sonnambuli vagano senza rendersi conto di quanto stanno facendo. Possiamo solo sperare che qualcuno si svegli per un bicchiere d’acqua e riaccompagni dolcemente a letto il sonnambulo Calenda.