martedì 1 maggio 2018

Se lo stallo fosse demerito dei politici in campo?

Immagine della Camera dei Deputati
Ripercorrere le mosse delle forze politiche di queste ultime settimane sarebbe impossibile e inutile vista la quantità di canali d’informazione sulla stretta attualità politica. 
Si continua a cercare una maggioranza che possa sostenere un governo; lo si fa con l’atteggiamento stufo senza dirsi che sarebbe proprio questo il lavoro della politica.

Un neo diciottenne, avvicinatosi da poco alla cronaca politica, potrebbe facilmente concludere come il risultato elettorale del 4 Marzo non permetta la formazione di un governo. Magari questo neo diciottenne potrebbe incolpare il sistema elettorale o, peggio ancora, chi votò No nel referendum costituzionale del 2016. Del resto sta passando il messaggio sbagliato e pericoloso secondo cui, la colpa dello stallo raccontato dalla cronaca politica, sia da imputare al sistema.  Qualcuno lo comincia perfino ad affermare: Matteo Renzi, che non ha ancora metabolizzato il fatto che i cittadini abbiano bocciato l sua riforma del sistema istituzionale, lo ha dichiarato in una recente intervista riproponendo la narrazione dell’Italia moderna. Detto che in quell’intervista afferma delle inesattezze, per il momento non mi interessa analizzare il pensiero di Matteo Renzi.

Vi propongo invece di osservare la situazione politica attuale, lo stallo in cui di fatto ci troviamo, da un’altra prospettiva. Se fosse demerito dei protagonisti? Se la qualità degli attuali leader politici fosse talmente scadente da non riuscire a risolvere una questione che dovrebbe essere il pane quotidiano per chi fa politica? Solitamente si tende a imputare tutto al sistema istituzionale definendolo come “paludoso”, “vecchio”, “ingovernabile” senza ricordare come, lo stesso sistema democratico-parlamentare, abbia costruito il Paese dal 1948; come gli diede riforme e diritti di cui godiamo ancora oggi. Allora il dubbio ci deve sorgere ancora più forte: sarà mica colpa dei politici che gestiscono l’attualità politica?

Sul finale della scorsa legislatura si approvò il Rosatellum, il sistema proporzionale con il quale abbiamo votato il 4 Marzo. Seppur le forze politiche sapessero con quale sistema si sarebbero attribuiti i seggi in Parlamento, si sono presentati nei tre mesi di campagna elettorale con atteggiamenti maggioritari, di netta contrapposizione politica e personale. Ad insulto arrivava sempre il contro insulto a marcare, comunicativamente palando, la totale diversità e differenza. A “mafioso!” seguiva “Incapace!”, e così via da Gennaio a Marzo. Mentre i leader politici se le davano di santa ragione alla ricerca dell’idea dominante, ignorando il fatto che molto probabilmente dopo il voto si sarebbero dovuti sedere insieme ad un tavolo, il Rosatellum ha dato i propri risultati: una fotografia dell’elettorato nella quale nessuna delle forze politiche in campo ha il 51% dei consensi. Una situazione molto frequente nelle democrazie parlamentari con sistemi proporzionali nelle quali, preso atto dell’assenza di una maggioranza, si collabora per costruirne una in Parlamento. Perché, in una democrazia parlamentare, è il Parlamento il luogo di costruzione delle maggioranza di governo.
Il cosiddetto “far politica” significa proprio questo: muoversi in cerca di alleanze, patti e accordi alfine di produrre politiche. Tuttavia, sia l’impostazione maggioritaria della campagna elettorale sia il pessimo atteggiamento dei principali leader politici nel post voto volto al personalismo, ostacola la ricerca di accordi fra compagini parlamentari.
Da un lato la finta coalizione di Centrodestra, fondata più su interessi localistici che su convergenze nazionali, ha affondato la possibilità di costruito un governo con il Movimento Cinque Stelle a causa dei veti che Silvio Berlusconi, saldo al proprio ruolo di protagonista, ha posto sulla possibile alleanza. Dall’altro naviga un partito con un segretario immagine che ha scelto, contro qualsiasi logica vigente in una democrazia parlamentare, di stare all’opposizione pur essendo il secondo partito nazionale e avendo buone possibilità di trovare un’intesa con la prima forza politica. E’ Matteo Renzi, segretario dimissionario ma detentore delle teste in Parlamento, a stabilire il ruolo d’opposizione del Partito Democratico travisando il risultato elettorale. il 18% degli elettori hanno votato il PD, non perché stesse all’opposizione, ma perché portasse i suoi programmi in Parlamento e lì facesse politica. Rifilare al PD il ruolo d’opposizione ancor prima che ci sia un governo è qualcosa di assurdo e spiegabile solo considerando la stizza e la prepotenza di chi di fatto domina tatticamente e culturalmente il partito seguendo logiche individualiste.

Non si è ancora iniziato a discutere di programmi di governo, ci troviamo in uno stallo prodotto dai singoli personalismi dei singoli leader che continuano a percepire come avversario un partito politico con il 32% dei consensi. Lo stato di campagna elettorale permanente porta a non stabilire un prima e un dopo, un momento per la battaglia e un momento per il confronto politico. Siamo in presenza di atteggiamenti propri dell’individuo, non del sistema istituzionale entro cui gli attori politici si muovono. Le istituzioni sono strutture, armonicamente architettate, da riempire di contenuti: parole, gesti, abiti mossi dalle personalità degli individui che ricoprono ruoli sociali di dirigenza sono il loro motore. Se tali individui fanno prevalere i propri più bassi atteggiamenti, sono i loro individualismi ad avere la responsabilità dello stallo, non le regole istituzionali. 

Non è plausibile attribuire le responsabilità a una sistema istituzionale. Molto più utile sarebbe riconoscere lo stato d’incapacità ai dirigenti dei partiti politici attuali. Sì, questa consapevolezza aprirebbe una riflessione sulla prospettiva leaderistica italiana ma, almeno, si lascerebbero riposare in pace i nostri illustri Padri costituenti. 

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