martedì 29 maggio 2018

Sinistra, se ci sei, batti un colpo

Immagine di repertorio
E’ sempre difficile intuire che cosa accadrà nel futuro della politica. Le vicende di questi giorni, però, ci possono dare qualche indizio. Il fallimento di Conte porterà molto probabilmente a un governo di minoranza presieduto da Carlo Cottarelli: non esattamente un esecutivo che calmerà gli atteggiamenti euroscettici già ben radicati nell’opinione pubblica. Se, come probabile, il governo Cottarelli non dovesse avere la fiducia dal Parlamento saremmo proiettati in campagna elettorale.

I fatti preludono allo schieramento di due poli contrapposti: Lega e Movimento Cinque Stelle a rafforzare il conflitto con l’Unione Europea attraverso proposte culturalmente di destra; e quello che resta del Partito Democratico pronto a ricevere il colpo mortale interpretando gli ultras di questa Europa. A meno di sconvolgenti cambi di scenario, la posizione del PD equivarrà alla nota di colore della prossima campagna elettorale. Il polo favorito è indubbiamente quello euroscettico che potrebbe realmente conquistare la maggioranza anche strumentalizzando la scelta di Mattarella su Savona.

E’ inimmaginabile contrastare le posizioni euroscettiche con idee ultra europeiste. L’opinione pubblica è ormai intrisa di una critica, anche ben motivata, verso l’Unione Europea e le sue istituzioni finanziarie che, contrapporre ad essa una campagna a totale difesa dell’Unione, rischia di alimentare ancor più il voto contro l’establishment. Sarebbe un atteggiamento cieco che accompagnerebbe il suo promotore dritto contro a un muro.  Negare il malfunzionamento di questa Unione Europea, delle sue istituzioni focalizzate sui mercati, vuol dire difendere l’indifendibile.

Che l’Unione Europea gestita in questo modo causi danni è un fatto verificabile aprendo un semplice bilancio di un comune. Non è populismo affermare che l’austerità imposta ai Paesi membri di serie B rende difficile l’autodeterminazione delle politiche interni. Non è populismo affermare come una dose di debito pubblico è presente in ogni Stato. E’ ingannevole narrare come uno Stato possa essere gestito con metodi aziendali puntando al pareggio di bilancio. Non può essere questo l’obiettivo della politica.

Visto lo scenario al quale stiamo andando incontro il tema da affrontare con urgenza è se ci siano le condizioni per costruire un terzo polo, con radici a Sinistra, che elabori una proposta per rappresentare quei cittadini che credono in un’altra Unione Europea: solidale, equa e democratica. Se non si creerà questa alternativa, chi non vorrà essere un ultras del’Unione nello stile del Partito Democratico, si troverà costretto ad affrontare la scelta frustrante fra astensione o quel polo formato da Lega e Cinque Stelle che, dietro un’immagine anti establishment, potrebbe nascondere una cultura politica di destra.

Nei momenti di esasperazione la matita potrebbe poggiarsi su un simbolo nel quale non si depone nessuna speranza se non quella di un cambiamento. La Sinistra, nel caso non avesse nessuna passione per la pesca, eviti questa frustrazione al suo popolo: costruisca il terzo polo con valori identitari senza negare il problema. 

lunedì 28 maggio 2018

L'impeachment non esiste. Così come gli estremi per porre in stato d'accusa il Presidente Mattarella

Immagine del Palazzo del Quirinale

Se usassimo di più la lingua italiana per esprimerci capiremmo la gravità e l’infondatezza di certe affermazioni. Dalla scelta del Presidente della Repubblica di non accettare Savona nel governo giallo-verde, il Movimento Cinque Stelle ha affermato di volere chiedere l’impeachment per il Presidente Mattarella.

Nella nostra Costituzione il termine statunitense “impeachment” non viene mai citato; viene altresì citata un’altra formula che sancisce come il Presidente della repubblica possa essere posto in stato d’accusa a maggioranza assoluta del Parlamento “per alto tradimento o attentato alla Costituzione”. Come il lessico utilizzato sapientemente dai Padri costituenti evidenzia, la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è un atto assai importante e denso di significato politico e istituzionale. Infilare il termine “impeachment” nei discorsi italiani non aiuta nell’identificare la gravità di certe affermazioni.

Se leggiamo attentamente il secondo comma dell’Articolo 92 della Costituzione dobbiamo invocare l’immagine della fisarmonica riferita ai poteri del Presidente della Repubblica. Ovvero, la Costituzione lascia moltissimi margini di azione al Capo dello Stato, tant’è che il testo non descrive quali siano i criteri che esso deve utilizzare per nominare i ministri. 
In questo contesto si fonda l’incredibile errore in cui stanno cadendo i Cinque Stelle. Accusare il Presidente della Repubblica di attentato alla Costituzione è un atto politico grave che, in questo caso, non trova appoggi giuridici. 

Scenario diverso sarebbe disegnato se le forze politiche avessero solo legittimamente criticato una scelta del Quirinale che, vista dal suo risvolto politico, può avere alcune questioni da dirimere come scritto in un articolo precedente. Ad esempio: è opportuno rimettere in discussione la formazione del governo per un singolo ministro che il Presidente della Repubblica avrebbe potuto monitorare in corso d’opera? Siamo sicuri che questa scelta del Presidente Mattarella non possa provocare una stagione ancor più peggiore di un governo con Paolo Savona al Ministero dell’economia?

Sono questi i quesiti che si possono porre. Aspetti politici presenti diversi da estremi costituzionali assenti per porre in stato d’accusa un Presidente della Repubblica.

domenica 27 maggio 2018

Scivolare su una buccia di Savona

Immagine del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella



Dopo aver messo in atto un’ottima strategia per risolvere lo stallo politico, Mattarella è letteralmente scivolato sul nome di Savona.

Sembrava tutto fatto: programma pronto, lista dei ministri stilata; Mattarella però ha detto no ritenendo che Paolo Savona, nome indicato per il Ministero dell’Economia con un curriculum di tutto punto, non avrebbe dato garanzie rispetto all’Unione Europea. Un giudizio politico che il Presidente della Repubblica ha ritenuto di dare assumendosi la responsabilità di fare fallire il tentativo di governo giallo-verde sostenuto da una maggioranza parlamentare. Si apre oggi un momento politico denso e pericoloso in cui si prevede il risultato delle prossime elezioni politiche sempre più vicine. Chi non sarebbe dovuto rimanere con il cerino in mano c’è rimasto regalando a Salvini il tema principale della sua prossima campagna elettorale.

E’ chiaro come si sia aperta una stagione pesante, che vede già un epilogo definito nel quale vedremo il Movimento Cinque Stelle e la Lega scagliarsi contro l’Europa e le sue istituzioni. Qualunque governo metterà in piedi Mattarella per accompagnarci alle elezioni sarà percepito come ostile al volere popolare e per questo punito severamente dagli elettori. Si rimanda un tema che comunque sarà da affrontare in un futuro non molto lontano.

Se i numeri attuali permettono di utilizzare alibi da parte del Presidente della Repubblica, quelli che verranno potrebbero essere talmente forti da proporre Paolo Savona come Presidente del Consiglio. Allora sarà impossibile trovare pretesti per creare un governo docile e amante dei vincoli europei. A un certo punto il segnale dal popolo sarà talmente forte da non poterlo più ignorare.

In tutto ciò la Sinistra può tranquillamente organizzare giornate di pesca e grigliate al lago. Allo stato attuale nessuna forza della Sinistra tradizionale può pensare di competere alle prossime elezioni che, anche per questo, vedranno dibattere due poli con idee forti e di rottura: il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle. Oggi abbiamo sepolto i centrismi di sinistra e di destra: il non ascolto dell’elettorato non può che produrre l’accelerazione del consenso per quelle forze che promettono una politica diversa.

Mi stavo preparando ad analizzare il sonno profondo dell’opposizione del governo di Giuseppe Conte. L’elemento interessante ora non è più la morte lenta del Partito Democratico, l’elemento dirimente sarà osservare in che modo l’elettorato risponderà all’azione del Presidente della Repubblica. Sarà interessante capire se i cittadini accetteranno di essere maltrattati da Matteo Richetti, che ha affermato come gli elettori si siano sbagliati a non votare PD, o se alimenteranno il consenso di quelle forze politiche che volevano Paolo Savona come Ministro dell’economia. 
 

giovedì 24 maggio 2018

Oltre il taxi

Il Presidente del Consiglio incaricato

L’arrivo in taxi alla Camera dei Deputati dopo aver ricevuto l’incarico di formare il governo, è inequivocabilmente un segnale di cambiamento mandato da Giuseppe Conte. Un segnale che però è già passato, la notizia dopo dieci minuti era già stantia: un po’ come i viaggi in autobus di Roberto Fico.

Un governo del cambiamento potrà certamente fare uso di queste strategie, empiricamente molto forti, per segnare una discontinuità dal passato; ma poi si dovrà misurare con le politiche vere e proprie e con un contratto che si propone di intraprendere scelte precise. 
L’esecutivo di Conte potrebbe nascere sotto molte polemiche, alcune delle quali inconsistenti. La ritualità costituzione per la formazione del governo non è stata stravolta: sono stati invertiti i passaggi; si è iniziato cioè, prima dal programma per poi scegliere il Presidente del Consiglio con il ruolo fondamentale del Presidente della Repubblica che, già dal primo incontro, ha indirizzato Giuseppe Conte. Se sarà esecutore attuerà un programma frutto di un compromesso parlamentare fra due forze politiche elette. Se viceversa interpreterà il proprio ruolo utilizzando l’autonomia che la Costituzione gli fornisce, dovrà interfacciarsi con le due forze politiche che lo sostengono. In questo sarà un Presidente del Consiglio politico con ministri politici. Lo dimostra la spasmodica attenzione di Lega e Cinque Stelle alla formazione della squadra di governo. Attenzione da parte delle forze politiche che esiste anche quando non avviene in scena. 

Nel frattempo abbiamo scoperto che gli avvocati difendono i loro clienti: grazie all’opposizione al governo giallo-verde siamo potuti giungere a questa grande scoperta. Il Presidente incaricato avrebbe infatti difeso una famiglia che voleva accedere al metodo Stamina, poi dichiarato infondato scientificamente. Non sembra un indicatore delle idee politiche di Giuseppe Conte: sembra piuttosto  la conseguenza del mestiere svolto prima di essere indicato come inquilino di Palazzo Chigi. Se questo è un assaggio dell’opposizione alla quale dovremo assistere nei prossimi mesi, prepariamoci a scoprire anche che la terra è rotonda, che gira intorno al sole, e che esiste l’acqua calda. 

Nessuna osservazione politica. Ad esempio sarebbe potuto essere importante incalzare Conte nel tentativo di estrapolargli un’opinione sui vaccini, o stimolarlo a non concedere il Ministero dell’Interno a Salvini, tutte sfere su cui un’opposizione seria potrebbe lavorare mettendo in luce le criticità concrete che potrebbe avere il governo di Lega e Cinque Stelle. Forse però, per interpretare decentemente il ruolo fondamentale dell’opposizione, bisognerebbe essere partiti in salute, robusti e consapevoli del compito da affrontare nei prossimi mesi. Lo spettacolo dell’Assemblea del Partito Democratico fa intendere come da quella voce non possano uscire idee politiche alternative perché non è possibile produrle visto l’impegno snervante nel tenere in vita un malato terminale. Nell’altro campo c’è un patrimonio ben più importante da mantenere integro piuttosto che notare come Salvini abbia più volte sbagliato stanza mentre Di Maio stava scrivendo il programma.
Abbiamo quindi un governo politico senza un’opposizione che sappia interpretare il ruolo scelto anche con prepotenza in certi casi. Abbiamo un governo al quale verranno contestati i fazzoletti sporchi nel taschino della giacca. 
Dobbiamo augurarci che il cambiamento non sia solo nella comunicazione ma che rimetta al centro dell’agire politico la persona. Il rischio più grande è che, una volta insediatosi, Conte si faccia pervadere dall’élittarismo e perda progressivamente la spinta al cambiamento.  

domenica 20 maggio 2018

Il post ideologismo a Palazzo Chigi

Immagine di Palazzo Chigi

Forse siamo piombati di colpo nel post ideologismo. Forse l’inizio della terza repubblica non corrisponde alla modifica degli assetti istituzionali, ma all’affermazione del superamento dell’ideologia. O meglio a cancellare i diritti d’autore sulle idee accettando il principio secondo cui le idee sono di tutti e, a volte, chi utilizza strategie migliori può affermare ciò per cui ti sei battuto per anni. Se questo è vero sarà altresì necessario rivedere anche il ruolo dell’opposizione: sì perché, o ci si pone contro le proprie stesse idee o si accetta di usare qualche buona parola contro gli avversari di una vita che adesso sembrano affermare molte di quelle idee che sostenevi. 

 Tutto questo ragionamento me lo sono posto dopo aver letto il contratto di governo fra Lega e Movimento Cinque Stelle. Siccome ha ricevuto critiche dai potenti, dai cosiddetti poteri forti, mi sono incuriosito e l’ho scaricato. Indipendentemente da quello che penso io, consiglio a tutti di leggerlo per informazione. Non si tratta di equipaggiarci per diventare ultras dell’accordo di governo, né tantomeno di allenarci per un’opposizione pregiudiziale; si tratta di leggere qualcosa che molto probabilmente consisterà in quello che il prossimo governo tenterà di attuare.

Con mia grande sorpresa, e con molta rabbia lo ammetto, ho riscontrato molti parti del contratto condivisibili e auspicabili. Se scrivessi il contrario smentirei molti articoli scritti in passato e molte delle proposte contenute nel programma della lista che ho votato il 4 Marzo. Non volendo cambiare le mie idee solo perché espresse anche da due forze politiche molto distanti da me, devo constatare di concordare con molte proposte contenute in quel contratto. Ciò non significa che sposi l’intero contratto, il quale contiene partiti ammiccanti al liberismo, ma questa alleanza fra Lega e Cinque Stelle non mi spaventa: si dovrà verificare come attueranno ciò che hanno scritto. Trovo questo alla base della politica che deve rimanere politica, non diventando amministrazione. Senza promesse, senza impegni, la politica muore: si ferma non sognando più. Si può essere contrari a un determinato sogno e proporne un altro; tuttavia non si può pretendere che si smetta di sognare perché altrimenti verrebbe meno l’agire politico: potremmo riempire le stanze del potere di calcolatori elettronici, risparmieremmo sicuramente denari. 

Ad esempio non credo sia una bestemmia affermare di utilizzare il deficit per finanziare politiche. Un tema centrale di molti programmi della Sinistra ripreso nel contratto di governo fra Salvini e Di Maio. Se affermassi di non essere d’accordo non sarei coerente con quanto detto in altri ambiti. Semmai mi mangio le mani pensando che questo stesso tema lo argomentavo da Sinistra e adesso è interpretato dalla destra. Che sia necessario intraprendere delle forzature in Europa, lo dicevamo due mesi fa nei comizi promuovendo un progetto di sinistra. Che sia necessario abolire la legge Fornero l’ho scritto quando ho dichiarato di votare Potere al Popolo. Che sia necessario adottare misure di controllo sulle forze dell’ordine con telecamere sulle uniformi, lo affermo da anni. Ecco, mi sorprende semmai vederlo scritto su un programma di governo di una forza politica che ha portato in Parlamento Gianni Tonelli, colui che aizzava la standing ovation per i poliziotti che ammazzarono Federico Aldrovandi. Tuttavia se manterranno questa promessa sarà sicuramente positivo. Così per molte altre tematiche come l’ambiente, la sanità, la disabilità, la scuola. 
Quello che deve preoccupare è come il prossimo governo possa essere il colpo finale per la Sinistra italiana. Se Di Maio, colui che indiscutibilmente sta tirando il carretto, riuscirà ad attuare parte di quanto scritto in quelle 39 pagine, la Sinistra può comprarsi la canna da pesca e passare i prossimi vent’anni al lago. Non lo scrivo ironicamente: lo scrivo con grande preoccupazione in quanto, fra molte proposte condivisibili, ci sono misure discutibili come la flat tax, un’approccio ai fenomeni migratori che non tiene conto di molti elementi, un punto sulle carceri ambiguo, un giudizio sulle grandi opere che lascia la porta socchiusa alla TAV. 

La nuova ideologia del post ideologismo è arrivata e sta per sedersi a Palazzo Chigi fra molte critiche e molti aggettivi che rischiano di non identificare bene il problema. La sfida dei contraenti sarà quella di trasformare il contratto di governo in programma politico: questa operazione permetterebbe di modificare in corsa misure e idee a seconda della direzione del vento: cosa che sarebbe impossibile nella concezione privatistica di contratto, la quale obbliga i firmatari a eseguire quanto scritto. Riusciranno in questa impresa?

mercoledì 16 maggio 2018

Ogni bozza è provvisoria

Immagine Di Maio e Salvini

L’annuncio di un governo neutrale sembra proprio aver riacceso la macchina degli accordi politici fra i partiti. Da molti giorni Lega e Cinque Stelle sono riuniti per stendere un “contratto” di governo che percepisca i temi posti da entrambe le forze politiche in campagna elettorale. 

Nonostante la spasmodica curiosità per i punti che Lega e M5S stanno scrivendo, ogni operazione di spionaggio nel tentativo di carpire qualche punto del programma di governo è piuttosto inutile. Utile forse a riempire le trasmissioni di infotainment, ma assai poco funzionale a fornire informazioni precise su cosa farà l'eventuale nuovo governo. Sarebbe molto meglio attendere la stesura definitiva che sia la Lega che il Movimento Cinque Stelle, pur con canali di sostanziale differenza, sottoporranno ai propri elettori. 

Le indiscrezioni uscite, e già invecchiate, hanno solo alimentato la focosa opposizione che in tanti non vedono l’ora di fare al grido di “populisti!”. Adesso come in campagna elettorale si utilizza l’argomento del populismo come pretesto per un’opposizione pregiudiziale. Ma siamo sicuri che Lega e Cinque Stelle siano forze populiste? Fin adesso queste forze hanno mostrato altre caratteristiche ma veri segnali di populismo ancora no. Della Lega possiamo dire che sia razzista, xenofoba, con tratti antieuropei: tutto ciò sarebbe sufficiente per un’’opposizione sui temi. Sul Movimento Cinque Stelle potremmo mettere in evidenza l’eccessivo democraticismo che a volte cozza com il dettato costituzionale. Sono, con sfumare e gradi diversi, forze antisistema. Tuttavia, il populismo non è questo: è un termine complesso che rischia di essere sminuito se si continua ad utilizzarlo come indumento per tutte le stagioni. Senza considerare l’effetto contrario che si ottiene quando Lega e Movimento Cinque Stelle, forze antisistema, vengono definite populiste da chi è considerato dall’opinione pubblica emblema del sistema. Seguendo questa logica le dichiarazioni provenienti dall’Unione Europea secondo cui sarebbero arrivati i “barbari” a Roma riferendosi alle due controparti del contratto di governo, assomigliano a un autosabotaggio studiato nei minimi dettagli. Se lo scopo era quello di fare salire la preoccupazione nei confronti di Di Maio e Salvni, con le sue dichiarazioni il Vicepresidente della Commissione Europea ha invece fornito un ottimo appiglio politico per la nascita di questo governo. Un esecutivo del cambiamento: così lo definiscono i due futuri alleati. Quando il sistema, in questo caso rappresentato dall’Unione Europea, attacca l’accordo non fa altro che rinvigorire il fuoco antisistema che brucia nei corpi di Di Maio e Salvini. 

Molti sono i temi presentati in campagna elettorale da modellare sul fattibile tenendo fede ai principi generali. Una Flat tax a scaglioni? Un Reddito di Cittadinanza meno corposo e meglio vincolato? Una politica economica in deficit sfidando apertamente l’Unione Europea? Cosa rientrerà nella prossima legge di bilancio? Considerato il localissmo della Lega, sarà rimpinguato ad esempio il fondo di solidarietà per gli enti locali? Saranno queste le questioni che si scopriranno fra poco e contro cui, chi sceglierà l’opposizione, si dovrà cimentare. Immaginare un libro dalla bozza è un esercizio legittimo senza però un’utilità. Conviene attendere l’uscita in libreria. 

giovedì 10 maggio 2018

Il governo frutto della tigna

Immagine di Palazzo Chigi

Se l’annuncio del governo neutrale è stata una tattica utilizzata dal Presidente Mattarella per provocare una reazione dei partiti in stallo, sembra aver centrato l’obbiettivo. Lega e Movimento Cinque Stelle si sono ringalluzziti procedendo a passi spediti e decisi verso l’accordo di governo.

Entrerà sicuramente a far parte del lessico politico “benevolenza critica”: l’atteggiamento che terrà Forza Italia nei confronti del probabile governo Salvini-Di Maio. Per la vita parlamentare questo atteggiamento si dovrà concretizzare in un’astensione alla Camera dei Deputati e un non voto al Senato dove, ricordiamo, l’astensione equivale a voto contrario. Ciò permetterà di tenere in piedi il Centrodestra: coalizione finta a livello nazionale ma strategica per la prosecuzione degli accordi sui territori. 

Mentre si sta fermi il mondo si muove e non sempre quello che accade è merito di chi lo fa accadere, in alcuni casi è demerito di chi si è immobilizzato sposando la logica del tanto peggio tanto meglio. Il Partito Democratico, che assomiglia sempre più a un malato terminale che tenta a fatica di resistere a quello che sarà il suo non fausto futuro, finalmente potrà fare opposizione sempre che ne sia capace. Non sarà dimenticato però che è per demerito dei Dem, per quella scelta inspiegabile di non fare politica, che Salvini e Di Maio formeranno un governo con un programma di destra. Non potrà passare inosservato come il PD, con il suo 18%, ha rifiutato il governo cedendo il posto alla Lega con il 17%. Potranno ripetere finché vorranno la cantilena dell’incompatibilità con il Movimento Cinque Stelle: un pretesto che vuole nascondere il comportamento tignoso e irresponsabile di chi non si è voluto neanche sedere al tavolo programmatico. La caratteristica post ideologica del Movimento Cinque Stelle poteva essere la chiave di volta del Partito Democratico per costruire qualcosa basato su valori diversi da quelli messi sul tavolo da Salvini. 

Il governo giallo-verde nascerà da una grande possibilità chiusa pregiudizialmente in uno scatolone e riposta negli scantinati del Nazzareno. Gli elettori del PD manderanno dei segnali il 10 Giugno? Chissà, lo scopriremo solo vivendo. Quello che è certo è che se nascerà davvero un governo tendente alla destra estrema, razzista e xenofoba, Matteo Renzi non potrà affermare di aver fatto di tutto per evitarlo. Una gigantesca macchia per chi dice di essere un leader del Centrosinistra.

martedì 8 maggio 2018

Il governo morto nell'incubatrice


Immagine del Palazzo del Quirinale

La novità è il governo di transizione. Dopo il terzo giro di consultazioni, il Presidente Mattarella ha messo in campo l’ipotesi di un governo neutrale facendo appello alla responsabilità dei partiti. Si tratterebbe di un esecutivo formato da alte personalità distanti dalla scena politica alle quali il Presidente della Repubblica chiederebbe l’impegno di non presentarsi alle elezioni. Con questo governo Mattarella ipotizzerebbe di affrontare le urgenze che il Paese avrà da qui a Dicembre.

Tuttavia l’idea di Mattarella sembra essersi smontata già nel Salone alla Vetrata, dopo poco tempo dal suo intervento. I due partiti maggioritari Lega e Movimento Cinque Stelle infatti hanno subito rigettato l’invito al mittente derubricando la proposta del Presidente della Repubblica, come non rispettosa dell’esito elettorale. Il governo di transizione pare quindi avere solo l’appoggio del Partito Democratico che, sancendo la sua schizofrenia galoppante, si è detto disponibile a sostenerlo. Ad esso si potrebbe aggiungere Forza Italia che non è pronta al voto in estate tuttavia, questo appoggio incrinerebbe solo i rapporti fra Berlusconi e Salvini senza portare a nessun risultato. Sì perché, anche ipotizzando un’alleanza PD-Forza Italia, non ci sarebbero i numeri sufficienti a concedere la fiducia al nuovo governo.

Tutto ciò senza considerare accordi in stile prima repubblica con i quali un governo di minoranza sarebbe possibile grazia all’astensione e al non voto degli oppositori. Questo meccanismo, che appassionerebbe chi scrive, non sarebbe coerente con gli stili dei due partiti arrivati primi il 4 Marzo e che hanno tutto l’interesse a ricominciare una campagna elettorale scornandosi fra loro. Di conseguenza chi ha riposto la tessera elettorale nel cassetto la ritiri fuori perché, per demerito di partiti politici che non vogliono fare quello per cui esistono, si tornerà a votare presto. 

Se si sciogliessero subito le camere si potrebbe ipotizzare un voto a Luglio prima delle ferie agostane. Un voto che spazzerebbe via come un tornado la Sinistra, il PD, per polarizzare i due nuovi schieramenti della terza repubblica Lega e Movimento Cinque Stelle. Poi però? Salvini dovrebbe fare bottino pieno nel campo del Centrodestra per imporsi su Berlusconi e fare l’accordo con Di Maio. Se non andasse così si ripresenterebbe lo stesso scenario con un bisogno impellente di politica: l’arte dell’accordo.

domenica 6 maggio 2018

Il "buon comportamento" a scuola paga

Immagine di repertorio

Che vivessimo in una società liberista lo si era capito. Che l’attuale politica italiana fosse lanciata verso l’ultra liberismo si sapeva, ma che questa cultura venisse insegnata agli studenti delle scuole pubbliche non era stato ancora dichiarato esplicitamente.

A pensarci è un istituto tecnico di Arezzo stabilendo che pagherà gli studenti che nel primo quadrimestre avranno registrato un voto medio del sette e mezzo e un voto in condotta del 9. Questo combinato disposto farà accedere gli studenti a un premio che può andare dai 100 ai 150 euro il quale sarà consegnato, in perfetto stile USA, in una cerimonia difronte ai compagni. 

Come sarà finanziato tutto ciò? E’ interessanti come le fonti di finanziamento vengano reperite sfruttando elementi dei provvedimenti sulla scuola del Governo Renzi. In parte con i fondi destinati alla comunicazione della scuola e, il restante, con alcune sponsorizzazioni da parte di aziende dell’aretino: pratica legittimata con la riforma della “Buona Scuola”. Molte delle aziende sponsor del premio sono le stesse presso le quali l’istituto manda i propri studenti per l’alternanza scuola-lavoro: altra iniziativa di Matteo Renzi Presidente del Consiglio che, invece di regolamentarla perché fosse realmente un’attività formativa per gli studenti, ha aperto intere praterie allo sfruttamento. 

Se finora la “Buona Scuola” ha spinto la competizione fra insegnanti svilendo il grande scopo generale per il quale si è insegnanti; adesso si passa agli studenti estendendo lo stesso clima di gara anche fra chi dovrebbe essere educato, proprio dalla scuola superiore che agisce sul periodo di formazione della coscienza dei futuri cittadini, alla solidarietà e a tutti quei valori fondanti di una società eticamente giusta.
La scelta dell’istituto aretino non può essere giustificata da nulla: né dal bullismo né da qualsiasi altro problema sociale stia colpendo la scuola in questo momento storico. Con tale iniziativa si manda il messaggio sbagliato secondo cui il “buon comportamento” sia funzionale ad una ricompensa economica; oltre a creare disparità fra studenti. La media alta non è sempre indicatore di qualità della persona, così come non lo è il voto alto di condotta. Porre un obbiettivo che a molti potrebbe far comodo conseguire per altre ragioni non legate al sapere, come ad esempio guadagnare qualche soldo per le proprie esigenze, mette a rischio il rapporto fra studenti, l’integrazione e la solidarietà che si deve sviluppare fra compagni di classe. Se difendere un compagno implicasse un’abbassamento del voto di condotta, si accenderebbe immediatamente l’individualismo: pessimo ingrediente nell’affrontare un quinquennio in una classe: luogo nel quale si trascorre la maggior parte del tempo.

Ci troviamo difronte alla conseguenze di scelte politiche precise che stanno guidando la cultura in una certa direzione. Le responsabilità di tale deriva, che dal caso di Arezzo potrebbe essere estesa ad altre realtà scolastiche, ce l’ha una certa politica dell’essere smart, poco “schizzinoso” e della competizione che irrobustisce. Tutto il contrario di quanto una scuola pubblica dovrebbe fare seguendo disposizioni costituzionali precise. 
Solitamente la scuola finisce in slogan per campagne elettorali come il luogo di formazione dei cittadini del domani. Poi però sembra ci si dimentica di queste parole creando le condizioni perché nella scuola entrino gli stessi elementi che rendono la società iniqua, inquinata da una cultura utilitarista oscurantista dei valori etici e umani. 

martedì 1 maggio 2018

Se lo stallo fosse demerito dei politici in campo?

Immagine della Camera dei Deputati
Ripercorrere le mosse delle forze politiche di queste ultime settimane sarebbe impossibile e inutile vista la quantità di canali d’informazione sulla stretta attualità politica. 
Si continua a cercare una maggioranza che possa sostenere un governo; lo si fa con l’atteggiamento stufo senza dirsi che sarebbe proprio questo il lavoro della politica.

Un neo diciottenne, avvicinatosi da poco alla cronaca politica, potrebbe facilmente concludere come il risultato elettorale del 4 Marzo non permetta la formazione di un governo. Magari questo neo diciottenne potrebbe incolpare il sistema elettorale o, peggio ancora, chi votò No nel referendum costituzionale del 2016. Del resto sta passando il messaggio sbagliato e pericoloso secondo cui, la colpa dello stallo raccontato dalla cronaca politica, sia da imputare al sistema.  Qualcuno lo comincia perfino ad affermare: Matteo Renzi, che non ha ancora metabolizzato il fatto che i cittadini abbiano bocciato l sua riforma del sistema istituzionale, lo ha dichiarato in una recente intervista riproponendo la narrazione dell’Italia moderna. Detto che in quell’intervista afferma delle inesattezze, per il momento non mi interessa analizzare il pensiero di Matteo Renzi.

Vi propongo invece di osservare la situazione politica attuale, lo stallo in cui di fatto ci troviamo, da un’altra prospettiva. Se fosse demerito dei protagonisti? Se la qualità degli attuali leader politici fosse talmente scadente da non riuscire a risolvere una questione che dovrebbe essere il pane quotidiano per chi fa politica? Solitamente si tende a imputare tutto al sistema istituzionale definendolo come “paludoso”, “vecchio”, “ingovernabile” senza ricordare come, lo stesso sistema democratico-parlamentare, abbia costruito il Paese dal 1948; come gli diede riforme e diritti di cui godiamo ancora oggi. Allora il dubbio ci deve sorgere ancora più forte: sarà mica colpa dei politici che gestiscono l’attualità politica?

Sul finale della scorsa legislatura si approvò il Rosatellum, il sistema proporzionale con il quale abbiamo votato il 4 Marzo. Seppur le forze politiche sapessero con quale sistema si sarebbero attribuiti i seggi in Parlamento, si sono presentati nei tre mesi di campagna elettorale con atteggiamenti maggioritari, di netta contrapposizione politica e personale. Ad insulto arrivava sempre il contro insulto a marcare, comunicativamente palando, la totale diversità e differenza. A “mafioso!” seguiva “Incapace!”, e così via da Gennaio a Marzo. Mentre i leader politici se le davano di santa ragione alla ricerca dell’idea dominante, ignorando il fatto che molto probabilmente dopo il voto si sarebbero dovuti sedere insieme ad un tavolo, il Rosatellum ha dato i propri risultati: una fotografia dell’elettorato nella quale nessuna delle forze politiche in campo ha il 51% dei consensi. Una situazione molto frequente nelle democrazie parlamentari con sistemi proporzionali nelle quali, preso atto dell’assenza di una maggioranza, si collabora per costruirne una in Parlamento. Perché, in una democrazia parlamentare, è il Parlamento il luogo di costruzione delle maggioranza di governo.
Il cosiddetto “far politica” significa proprio questo: muoversi in cerca di alleanze, patti e accordi alfine di produrre politiche. Tuttavia, sia l’impostazione maggioritaria della campagna elettorale sia il pessimo atteggiamento dei principali leader politici nel post voto volto al personalismo, ostacola la ricerca di accordi fra compagini parlamentari.
Da un lato la finta coalizione di Centrodestra, fondata più su interessi localistici che su convergenze nazionali, ha affondato la possibilità di costruito un governo con il Movimento Cinque Stelle a causa dei veti che Silvio Berlusconi, saldo al proprio ruolo di protagonista, ha posto sulla possibile alleanza. Dall’altro naviga un partito con un segretario immagine che ha scelto, contro qualsiasi logica vigente in una democrazia parlamentare, di stare all’opposizione pur essendo il secondo partito nazionale e avendo buone possibilità di trovare un’intesa con la prima forza politica. E’ Matteo Renzi, segretario dimissionario ma detentore delle teste in Parlamento, a stabilire il ruolo d’opposizione del Partito Democratico travisando il risultato elettorale. il 18% degli elettori hanno votato il PD, non perché stesse all’opposizione, ma perché portasse i suoi programmi in Parlamento e lì facesse politica. Rifilare al PD il ruolo d’opposizione ancor prima che ci sia un governo è qualcosa di assurdo e spiegabile solo considerando la stizza e la prepotenza di chi di fatto domina tatticamente e culturalmente il partito seguendo logiche individualiste.

Non si è ancora iniziato a discutere di programmi di governo, ci troviamo in uno stallo prodotto dai singoli personalismi dei singoli leader che continuano a percepire come avversario un partito politico con il 32% dei consensi. Lo stato di campagna elettorale permanente porta a non stabilire un prima e un dopo, un momento per la battaglia e un momento per il confronto politico. Siamo in presenza di atteggiamenti propri dell’individuo, non del sistema istituzionale entro cui gli attori politici si muovono. Le istituzioni sono strutture, armonicamente architettate, da riempire di contenuti: parole, gesti, abiti mossi dalle personalità degli individui che ricoprono ruoli sociali di dirigenza sono il loro motore. Se tali individui fanno prevalere i propri più bassi atteggiamenti, sono i loro individualismi ad avere la responsabilità dello stallo, non le regole istituzionali. 

Non è plausibile attribuire le responsabilità a una sistema istituzionale. Molto più utile sarebbe riconoscere lo stato d’incapacità ai dirigenti dei partiti politici attuali. Sì, questa consapevolezza aprirebbe una riflessione sulla prospettiva leaderistica italiana ma, almeno, si lascerebbero riposare in pace i nostri illustri Padri costituenti.