sabato 28 aprile 2018

Sasso Marconi entra nell'Alleanza per la Coesione: il mio voto contrario

Immagine di repertorio
Nella scorsa seduta, il Consiglio Comunale di Sasso Marconi, ha approvato l'adesione del Comune all'Alleanza per la politica di coesione europea dopo il 2020. Con tale adesione il Comune di Sasso Marconi si va ad aggiungere a quel gruppo eterogeneo, composto da Regioni ed altri enti, che chiedono all'Unione Europea di proseguire nella politica territoriale che veda i territori protagonisti. Posta la positività dei fondi affidati ai singoli territori, seppur con molte diseguaglianze, siamo tuttavia passati dal piano A al piano D. 
Aderire a questa alleanza equivale a non denunciare le condizioni in cui versa l'Unione Europea: un soggetto che ha smarrito i suoi principi fondanti approcciando, sempre più apertamente, dinamiche economico-finanziarie che hanno poco a che fare con il benessere della persona. Non evidenziare questo significa accettare i palliativi senza osservare la grave malattia di cui soffre questa Europa.
Di conseguenza ho espresso voto contrario all'entrata in un'alleanza che tenta di raccattare aspirine mentre servirebbe un'operazione d'urgenza modificando radicalmente le logiche europee. Occorre precisare che il documento votato non ha come oggetto il rinnovo dei finanziamenti, oggetto di scelte in capo alle istituzioni europee, bensì un orientamento politico con il quale, producendo un po' di brusio, si accettano le condizioni dettate fin ora.

Il mio intervento alla seduta consliare del 26 Aprile. 
"Credo sinceramente che le priorità per quanto riguarda l’Unione Europea siano rappresentate da solidarietà, uguaglianza ed equità. Occorre rimettere la persona al centro a discapito dell’economia che in questi anni non ha fatto altro che aumentare le disparità generando una nuova ondata di povertà.
Non è certo l’Unione Europea a trazione tedesca che ci porterà fuori da questa situazione, serve un cambio di rotta radicale.
Sono convinto che l’Europa sia necessaria per avviare un processo di inversione dell’iniquità ma deve iniziare una fase di indipendenza dagli interessi economici dei singoli Stati membri e delle relative lobbies economiche, altrimenti il rischio che l’Unione Europea funga da paravento per gli interessi economici e finanziari di pochi è più che mai concreto. 
Detto questo, non ritengo sinceramente utile sottoscrivere questa proposta di adesione ad un soggetto eterogeneo che si prefigge di garantire una politica di coesione in Unione Europea senza prima aver agito per cambiare radicalmente rotta. Il rischio che le politiche di coesione fungano da palliativo, distogliendo l’attenzione dal vero problema, è elevato. Distribuiamo risorse per curare una malattia che noi stessi stiamo generando anziché intervenire direttamente sulle cause del contagio perché a qualcuno conviene distribuire farmaci anziché debellare il morbo.   
Ragioniamo quindi di priorità! La richiesta di un cambio di paradigma per l’Unione è il primo passo, dopodiché sono disposto a votare tutte le politiche di coesione che vorrete. Non sono le politiche di coesione ad essere il discrimine: è il costrutto economico-finanziario che si trova a monte ad essere sbagliato e, in qualche modo, questo va denunciato.
Vogliamo una vera coesione? Allora occorre prevedere equità nelle politiche di bilancio; una reale politica di sviluppo equo con elasticità sui conti dei singoli Stati membri. Se fosse questo il quadro in cui ci muoviamo, si potrebbe ragionare di politiche di connessione e dar loro appoggio. Attualmente abbiamo l’appendicite che curiamo con l’aspirina. Magari, dal nostro livello politico, qualcosa è doveroso fare per segnalare che la peritonite è vicina.

Ci troviamo difronte ad una scelta squisitamente politica, d’altra parte sarebbe questo il nostro compito: assumere scelte politiche. Bene, aderire come ente a tale alleanza significa avvallare le politiche di bilancio, radicalmente inique, di questa Unione. Significa non dire come di questo passo, il nostro ruolo politico in questa importante sala, sarà progressivamente ridotto. Vorrei dire qualcosa prima che qui  dentro ci finiscano calcolatori automatici apprezzati per le loro tabelle sterili e prive di qualsiasi cenno politico. 
Non è anti europeismo ideologico affermare come l’Italia arrivi sempre per ultima, affannata e succube di scelte strategiche intraprese da chi si autoelegge a capofila prendendosi poi il lusso di non rispettare i vincoli imposti agli altri membri. 

Far aderire il Comune di Sasso Marconi a questa alleanza è una scelta politica netta con un preciso significato: dire che, non concordiamo con la rigidità europea, ma allo stesso tempo abbassiamo la testa. Sono sinceramente stanco di sopportare, di andare annualmente dai nostri concittadini a spiegare qualche taglio alla spesa dell’ente. Mi sono stancato di non estendere le responsabilità: se è vero che in questi anni lo Stato centrale ha ridotto i trasferimenti in nostro favore, è altrettanto vero che esso è costretto a sottostare a dictact dettati dagli Stati padroni di questa Unione che ha smarrito i propri principi di prosperità e solidarietà. E’ ora di delegare qualche responsabilità su alcune scelte amministrative non proprio ideali.

La politica locale deve iniziare ad attribuire responsabilità anche fuori da essa, certamente ai ranghi statali superiori ma anche agli assetti internazionali. Non è possibile continuare con diversivi mettendo zeppe sotto il tavolo: è necessario mettere in campo azioni politiche volte ad evidenziare un problema che, di anno in anno, diventa sempre più ingombrante. 

Firmare l’Ordine del Giorno in discussione equivale a stare in silenzio, al massimo a produrre un po’ brusio poco fastidioso mentre bisognerebbe produrre un rumore assordante. Per questo, e per quanto dichiarato nelle sedute annuali di approvazione del bilancio del nostro Comune, dichiaro voto contrario. "

venerdì 27 aprile 2018

Il voto sul patto di sindacato HERA: la mia astensione


Logo di HERA
HERA è una realtà molto complessa che ha preso una direzione ormai irreversibile. Il patto di sindacato di primo livello, cioè l'accordo che consente di mantenere la maggioranza dell'azienda in mano pubblica, è uno strumento politicamente positivo. Tuttavia è bene dire come HERA, per le scelte fatte in passato (vedi la sua quotazione in Borsa nel 2003) intraprenda scelte orientate al libero mercato. Modificare questa direzione significherebbe mettere in campo alleanze politiche ed economiche, purtroppo, non contemplabili in questo periodo storico. 
Per tutte le contraddizioni che questo tema porta con sé, dall'inizio del mio mandato in Consiglio Comunale ho sempre espresso voti di astensione: proprio per marcare come, se da un lato si sta mantenendo l'azienda in maggioranza pubblica, dall'altro si intraprendono percorsi in senso inverso com'è possibile leggere nell'ultima modifica del patto di sindacato approvata nell'ultima seduta del Consiglio Comunale.

Il mio intervento alla seduta consiliare del 26 Aprile. 
"Il tema di HERA è complesso e meriterebbe una profonda riflessione ponendo a confronto, ad esempio, quali erano i fini fondanti dell’azienda e come si sono trasformati nel tempo. Ad esempio è impossibile non citare l’entrata in Borsa di HERA nel 2003: sicuramente una scelta che ne ha chiamate altre, in gran parte orientate al libero mercato. 

Com’è presto verificabile, le mie scelte di voto su HERA da quattro anni, sono astensioni. Penso che ci troviamo a discutere di una questione con una traiettoria già segnata; cambiarla significherebbe preliminarmente sviluppare alleanze politiche ed economiche fuori da questo tempo. Purtroppo sono limitate le amministrazioni che acquistano parti di azienda, è molto più frequente il contrario come anche la storia recente del nostro Comune insegna. L’elemento da tenere in considerazione è l’atteggiamento con cui si vendono azioni: sempre spinti dall’acqua alla gola frutto di poche risorse e di molte cose da fare. A volte immagino il tempo in cui avremo finito le riserve dalle quali attingere e mi chiedo cosa ci inventeremo in quel frangente. Continuo pertanto a sostenere la necessità di segnalare politicamente questa condizione: è un gesto che dobbiamo nei confronti di chi oggi rappresentiamo in questa sala. Tuttavia devo registrare che non siamo ancora giunti a questa consapevolezza, probabilmente sperando in qualche strategia economica salvagente che, però, è ancora da scrivere. Questo per quanto riguarda gli aspetti generali in cui ci muoviamo. 

Precipitando sul tema in votazione: è evidente come, parlando di simboli politici, il patto di sindacato sia importante. Consente di mantenere la maggioranza dell’azienda in mano pubblica, pur con una realtà che sembra dirci il contrario. L’elemento che mi provoca qualche perplessità è come venga previsto un servizio di consulenza finanziaria a chi fosse interessato alla vendita di azioni. Un aspetto ambiguo che sembra quasi segnare la strada opposta rispetto a quella perseguita dal senso del patto.

E’ nel solco di questa pur minima contraddizione che esprimo voto di astensione. Il patto di sindacato è positivo ma, la logica aperta che apparecchia e facilita quasi incentivando la vendita, mi fa esprimere preoccupazione.

Come in sede di votazione della scorsa modifica, nel 2015 se non erro, dichiaro voto di astensione anche in merito al patto di secondo livello. "

mercoledì 18 aprile 2018

La verità sul caso di Stefano Cucchi riguarda la collettività. E’ ora che la politica se ne accorga


Stefano Cucchi
Ogni volta che leggo sviluppi sul caso di Stefano Cucchi provo grande imbarazzo nel percepire quanta polvere incrostata ci sia sotto il tappeto; di quanta schifezza ci sia nel pentolone tutto ad un tratto scoperchiato.

Gli ultimi sviluppi sono qualcosa di inquietante che suggerisce come ci sia un sistema malsano. Ufficiali dell’Arma avrebbero chiesto di riscrivere i verbali che riportavano le condizioni in cui si trovava Stefano, diluendone la descrizione. Probabilmente erano verbali troppo dettagliati per un semplice tossico che non meritava attenzioni. Un signor nessuno da poter trattare in modo disumano sfogando i propri atteggiamenti. Al massimo avrebbe occupato le pagine di cronaca per due giorni, poi sarebbe diventato un numero da sommare agli altri. Chissà se furono questi i ragionamenti di quegli ufficiali? Se sono stati questi i loro pensieri, hanno trascurato il desiderio di giustizia di chi amava quel “numero”, di chi se l’è visto portare via dall’emblema di garanzia.

L’indagine andrà avanti e magari coinvolgerà anche chi, fino ad ora, è stato ben coperto dietro le quinte, chiuso in uffici d’orati. Tuttavia c’è un elemento che purtroppo persiste: l’indifferenza della politica; l’assordante silenzio dei nostri rappresentanti che hanno una responsabilità politica di quanto accaduto. Le poche volte che escono dal guscio lo fanno con Tonelli e Giovanardi le cui dichiarazioni non fanno che aggravare il debito accumulato dalla politica con il suo silenzio. Badate, quando parlo di “politica”, parlo di tutte le parti senza alcuna esclusione. Il signor Vazio certamente è al primo posto per lo scempio di cui si è fatto relatore; tuttavia, anche tutti gli altri, non se la cavano meglio. Da poco si è conclusa la fiera dei programmi elettorali all’interno dei quali il tema dei diritti umani, se menzionato, compariva all’ultima pagina dopo i ringraziamenti.

Non smetterò mai di scrivere che, oltre alla responsabilità giudiziaria in corso di attribuzione, esiste una responsabilità politica per aver contribuito a spazzare la polvere sotto il tappeto. La legge vetrina sul reato di tortura è stato solo l’ultimo insulto alle famiglie delle vittime; prima c’è un insieme di atteggiamenti tenuti da rappresentanti politici, dannosi sia per il sistema malato delle forze dell’ordine, sia per il lavoro culturalmente necessario al fine di giungere ad un vero rispetto della persona. 
Amando la politica e facendone in qualche misura parte, trovo questa indifferenza pericolosa. Fin quando non capiremo che sul tema dei diritti umani serve un impegno costante, faremo un pessimo servizio al Paese. Nessuno si è lamentato ad esempio della notizia che vede un componente della Camera - il signor Gianni Tonelli -, premiato da Salvini con un seggio parlamentare, coinvolto in un processo per ciò che disse su Stefano Cucchi. Com’è mai che nessun politico protesta conto l’imbarazzante elezione di Tonelli? Forse non ritengono abbastanza grave ciò che ha detto? Se Onorevoli e Senatori devono servire il Paese, in questo modo stanno dando un infimo servizio.

Non possedendo una formazione giuridica non mi addentro nei dettagli processuali; però in quelli politici e sociologici sì. L’indifferenza di quella che definiamo “classe dirigente” costituisce un pericolo per la cultura della percezione dell’essere umano. Che insegnamento sta dando la politica? Che tutto sommato, se si scopre costantemente del marcio nelle forze dell’ordine, non è niente di grave tanto si tratta di chi si occupa dei reietti della società? 
E’ terribile il messaggio leggibile fra le righe. Contrario alla Costituzione, contrario all’umanità che sulla carta l’Italia protegge.

Il caso di Stefano Cucchi, come tutti gli altri, non è inchiostro impresso sulle pagine dei quotidiani; non sono parole consegnate all’etere dalla televisione: è qualcosa che riguarda tutti, qualcosa di collettivo che investe la “classe dirigente” del Paese. E’ ora che la politica se ne accorga.