venerdì 30 marzo 2018

Niente paura. Abbiamo solo votato



Niente paura, si è solo votato per il Parlamento. Dopo tre governi costruiti in provetta si sono rinnovate le assemblee rappresentative del Paese.

Il cambiamento c’è stato, è impossibile negarlo e per comprenderlo non si può prescindere dal ripercorrere la scorsa legislatura e i tre governi che si sono succeduti. Già nel 2013 ci fu un primo segnale di cambiamento con l’entrata in Parlamento del Movimento Cinque Stelle che testimoniò, forse con metodi sbagliati a volte molto duri, il malcontento presente nella società. La diciassettesima legislatura iniziò con il Governo Letta, dopo l’occasione persa dal Movimento Cinque Stelle di fare un governo con il PD di Bersani. Letta durò poco, fu il presentatore della pop star fiorentina che, prima si prese il Partito Democratico, poi conquistò nel 2014 Palazzo Chigi scalzando letteralmente Enrico Letta dalla sedia. Matteo Renzi iniziò subito a tenere un atteggiamento dalla spiccata saccente arroganza. Ricorderemo tutti il discorso con cui chiese la fiducia al Senato nel quale affermò che avrebbe eliminato quella stessa assemblea dalla faccia della terra. 

Così cominciò il maltrattamento delle istituzioni democratiche da parte del Presidente del Consiglio Renzi che prese il Parlamento come ufficio di ratifica dei provvedimenti del Governo. Tanto scarsa era la sua stima verso il Parlamento che mise in piedi una roboante schifezza, chiamata volgarmente riforma Renzi-Boschi, con la quale avrebbe voluto cambiare l’assetto istituzionale del Paese. I due anni successivi furono un susseguirsi di annunci, offese, sberleffi e prepotenze accompagnate dalla migliore politica berlusconiana: Jobs Act, Buona Scuola, Sblocca Italia, 500 euro a tutti i diciottenni, gli 80 euro: tutti provvedimenti che hanno portato precarietà, arrivismo aumentando il conflitto sociale.
Un governo pasticcione che pose la fiducia su una legge elettorale fabbricata pensando che la riforma costituzionale fosse approvata dai cittadini. Un Governo che vide il suo capolinea il 4 Dicembre 2016 quando, dopo aver stremato il tessuto sociale del Paese lacerandone i rapporti, perse il referendum costituzionale. Matteo Renzi si dimise aprendo la strada a Gentiloni: il governo tranquillo che proseguì senza batter ciglio il lavoro fatto dal Segretario del Partito Democratico arrivando fino ad oggi.

Se non tenessimo in considerazione tutto ciò non capiremmo il motivo del cambiamento innescato dagli elettori il 4 Marzo. Se ci dimenticassimo delle nefandezze attuate negli ultimi cinque anni, non capiremmo perché Lega e Cinque Stelle sono arrivati primi. Il progressivo allontanamento dell’élite di governo dai cittadini, il commento dell’aumento del punto percentuale non prestando attenzione alle condizioni materiali delle persone, ha provocato la propulsiva voglia di cambiamento, il desiderio di rovesciare il tavolo. E’ successo quello che il Partito Democratico non vuole vedere e che continua ostinatamente a derubricare come populismo. 

Il voto del 4 Marzo ha rimescolato le carte: ha premiato chi si è presentato come più vicino ai cittadini e bocciato chi negli ultimi anni non si è degnato di considerare i bisogni nascenti. 

Ascoltando i discorsi d’insediamento dei neo presidenti di Camera e Senato sembra che il messaggio sia arrivato. Entrambi fanno riferimento a una centralità del Parlamento da ritrovare perché quella è l’istituzione principale che nella passata legislatura ha visto un depauperamento di fatto. Quando si parla di scelta del governo significa che c’è un problema. Non votiamo per scegliere chi deve sedere al governo; votiamo per eleggere chi siede in Parlamento. Così come i governi si formano in Parlamento, nessuno si può definire opposizione finché non si sia formata la maggioranza che sosterrà nuovo esecutivo. 
Su questo merita un’attenzione particolare il comportamento tenuto dal Partito Democratico in questi giorni. Quando i dirigenti del PD affermano di voler stare all’opposizione, bisognerebbe chiedere loro: all’opposizione di chi, dal momento che non si è formata ancora nessuna maggioranza e nessun governo. E all’altra affermazione secondo la quale gli elettori avrebbero messo il PD all’opposizione, sarebbe cortese segnalare come in realtà, chi ha votato il Centrosinistra, ha espresso la volontà di essere rappresentati dal Partito Democratico. Tirasi fuori dai giochi pregiudizialmente significa commettere lo stesso errore fatto dal Movimento Cinque Stelle nel 2013, quando rifiutò di fare politica aprendo delle vere trattative con l’allora Presidente incaricato Bersani. 

Mentre si continua a parlare di coalizioni il Presidente della Repubblica, nei giri di consultazioni per decidere a chi affidare l’incarico di formare un governo, convocherà i singoli partiti con le loro percentuali. Nel quadro esistente ogni soluzione è aperta, e chi sta chiudendo alcune strade per stizza e orgoglio è irresponsabile oltre che ignorante rispetto a quelle che sono le dinamiche parlamentari. 

Con le elezioni del 4 Marzo si è passati ad un voto di opinione che dovrà necessariamente innescare processi di cambiamento nel modo di pensare delle forze politiche. Come ha dimostrato LeU, non bastano più neanche le parole d’ordine per creare l’effetto trascinamento. Le valutazioni severe degli elettori devono interrogare le forze politiche in campo, vanno studiate e analizzate altrimenti sarà difficile che sopravvivano a questa cambiamento sociale.

Niente paura, si è solo votato: l’azione più normale per un sistema democratico. A volte ricordiamolo, sennò si rischia di dare un cattivo esempio a chi si è affacciato alla politica per la prima volta. Neo diciottenni, niente paura: abbiamo solo votato. 

mercoledì 7 marzo 2018

Un conclave a Sinistra


Immagine di repertorio
Se durante la campagna elettorale non ci siamo divertiti, nel dopo elezioni avremo un po’ di aspetti interessanti da analizzare. 
Senza essere precipitoso la prima constatazione da fare riguarda la morte e l’autosepoltura della Sinistra. Ci potrei girare intorno due paragrafi ma la sostanza rimane che questo Paese non ha più una Sinistra ideologicamente tale in Parlamento e tantomeno nel tessuto sociale. Anticipando la conclusione di questo articolo, l’unica soluzione che vedo per la Sinistra Italiana è quella di un conclave nel quale discutere, “ammazzarsi”, “menarsi” per poi uscire con una sintesi praticabile e presentabile nel quotidiano della società.

Nonostante si sia preso insulti da più parti, il compagno Ivano Marescotti ha fatto un’analisi prima del voto quasi veggente. Il fatto che il Movimento Cinque Stelle abbia intercettato la vocazione rivoluzionaria del popolo di Sinistra è elemento da tenere in considerazione. Proprio il ragionamento di Ivano, il tentativo cioè di rovesciamento del tavolo, è stato messo in mano ai Cinque Stelle. Neanche Liberi e Uguali ha saputo interpretare quello che stava accadendo nella società. Per utilizzare una metafora di Bersani: nel bosco, a riprendere i dispersi, c’è arrivato prima Di Maio e il partito pigliatutto. A fare incetta dei voti degli ex PD c’ha pensato il Movimento Cinque Stelle con un programma, se volete sconclusionato, ma che aveva punti che hanno innescato l’acquolina della rivoluzione anti establishment. 

Se osserviamo i risultati elettorali confrontandoli con quelli del 2013, quando il PD era a guida Bersani, vediamo come quei sei punti persi dal PD di Renzi siano stati incassati in buona parte dal Movimento Cinque Stelle. LeU, che desiderava interpretare l’area di Centrosinistra abbandonata dal Partito Democratico, in realtà ne conquista una piccolissima porzione con la quale riesce ad entrare appena in Parlamento. La riconquista degli ex elettori PD, legati al percorso bersaniano, non è riuscita. Quell’elettorato ha scelto altro.

Il risultato del Partito Democratico è qualcosa da analizzare per i prossimi cinque anni. Dal 2014 lo staff renziano si è legato al numero quaranta, equivalente al risultato del PD alle ultime europee. Il 40 è stato infilato in ogni dove, anche in una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale. Lo staff di Renzi non ha fatto i conti con gli ambienti in cui il Partito Democratico è arrivato a quella soglia. Il primo, le elezioni del Parlamento europeo: assetto percepito dall’elettorato italiano in modo totalmente diverso rispetto a come sono percepite le elezioni politiche; il secondo, il risultato del Sì a referendum costituzionale del 2016. Fatalmente il Sì prese il 40% dei consensi e Renzi pensò immediatamente al Partito della Nazione non considerando come, quel consenso in realtà, provenisse da aree politiche eterogenee, non era tutta farina del PD. Dato per assunto questo, l’analisi renziana è priva di presupposti. Renzi ha perso sei punti percentuali dal risultato del 2013 distribuendoli, un po’ ai padri delle sue politiche, e in maggior parte al Movimento Cinque Stelle al quale il PD ha fatto una bellissima campagna a favore. 
Le poche volte che il Partito Democratico non ha criticato il Movimento Cinque Stelle avvantaggiandolo, ha sbandierato il fallimento del Jobs Act come fosse stata la salvezza del Paese, ha raccontato il sogno dell’Italia californiana senza accorgersi del conflitto fra macchine e lavoratori nelle fabbriche italiane. Questo si chiama masochismo, autosabotaggio o, più concretamente, l’assoluto distacco dalla realtà che non si poteva colmare con un viaggio in treno. O sei veramente fra la gente con anima e corpo, o comunichi il fastidioso sentimento dell’élite che vuole rimediare, casualmente a due mesi dal voto. 

Ha vinto quello che per tre mesi hanno definito populismo senza sapere realmente chi sia populista e chi invece, antisistema, si stava trasformando in qualcosa di diverso, di più responsabile, in doppio petto. Il Movimento Cinque Stelle è populista quanto la Lega di Salvini? E siamo sicuri che Salvini rientri nella definizione di populismo? Personalmente, se dovessi attribuire questo complesso aggettivo a una  di queste due forze politiche, lo attribuirei alla Lega salviniana. Tuttavia, nella campagna elettorale non si è fatta alcuna distinzione creando un dualismo fra il Partito Democratico, forza del “governo tranquillo”, e la nube populista. L’effetto arriva dopo il voto nel momento delle alleanze in cui, le parole grosse usate nei tre mesi precedenti, contano e escludono alcuni possibili scenari per qualcuno meno preoccupanti. Dare dell’incapace all’avversario in un sistema proporzionale non provocherà effetti positivi in fase di costruzione di una maggioranza. Così come utilizzare l’aggettivo “mafioso” un po’ troppo spesso senza circostanziarne il perimetro. 

E’ necessario dire qualcosa anche su Potere al Popolo che ha decisamente perso; è costruttivo dirlo. Ha perso su due fronti: non entrando in Parlamento, elemento non secondario in un sistema parlamentare; e offuscando di fatto i partiti che compongono la lista. Questo, in particolare, sarebbe un problema nell’ipotesi in cui Potere al Popolo decidesse di sciogliersi: in quel caso tutte le organizzazioni che la compongono, svilite dall’aver sottoscritto un compromesso per il quale hanno reciprocamente ceduto su alcuni punti, dovrebbero ricostruire il tessuto attorno ai programmi originari. Se si decidesse di proseguire con il soggetto unitario, bisognerebbe studiare quell’1% e capire come utilizzarlo per espanderlo. Alleanze? Potrebbe essere una proposta anche se con l’aritmetica va prestata attenzione. Molte volte la somma fa meno. Quello che è sicuro è il bisogno di una discussione: aver fatto meno di “Rivoluzione Civile” nel 2013, qualche interrogativo lo deve porre. Se non altro perché “Rivoluzione Civile”, con il 2,5, si è scolta il giorno dopo. 
A chi mi ha invitato a guardare in casa mia, penso di aver risposto. Sono fortemente preoccupato dell’effetto “riserva dei panda con visita dei cacciatori” che colpisce la Sinistra radicale. 

Venendo in fine al fatto che secondo alcuni la marea nera sia in realtà un falso problema perché nelle urne ha prodotto un risultato quasi inesistente. Non ne sarei così sicuro. La campagna elettorale di Salvini è stata impostata anche per prendere i voti dei neofascismi. Che il contenitore ufficiale non si sia riempito non significa l’assenza di neofascisti: potrebbero essere stati plausibilmente attratti dal carro del vincitore leghista, il quale, in più occasioni, gli ha aperto le braccia.

La questione certa che questo voto ha posto è la rivoluzione negli assetti della politica italiana. Non c’è da strapparsi i capelli, lo sapevamo che avremmo votato e le forze politiche hanno esposto, bene o male, le loro proposte. Quello che non è accettabile fare è prendersela con gli elettori. Il poco rispetto dell’elettore è stato lo sfondo dell’antiberlusconismo e non ha prodotto grossi risultati positivi. E’ importante bensì comprendere il motivo della sconfitta di certe idee. Lo sconfitto di queste elezioni ha un grande lavoro da fare e si deve augurare che la legislatura duri il più a lungo possibile. Il lavoro che deve fare la Sinistra, tutta allo stesso tavolo, non si può riassumere in pochi mesi. Un conclave, gli stati generali, un congresso lungo cinque anni: qualcosa che permetta un’analisi riflessiva e una ripartenza con schemi nuovi all’altezza della società attuale.

venerdì 2 marzo 2018

Cari neo diciottenni




Cari neo diciottenni,
Oltre ad essere etichettati come "millennials", termine orribile che dice poco, la politica vi ha regalato un immondo spettacolo presentandosi nel peggiore dei modi possibili.
In qualche modo la politica tutta vi dovrebbe chiedere scusa per il proprio demerito di essersi presentata a voi, neo elettori, con stili decadenti, brutti, scadenti e poco rispettosi di chi, come voi, Domenica prenderà per la prima volta in mano la matita di un seggio. Evito di raccontarvi il mio primo voto perché sennò Domenica potreste organizzare pullman per il mare. Vi dico solo "Acqua pubblica" nel 2011. L'emblema del voto non considerato...
Tuttavia Domenica, in quella cabina elettorale, avrete la possibilità di scegliere un'idea che vi rappresenti per i prossimi cinque anni alla Camera dei Deputati. Perché alla elezioni politiche si scelgono idee, non tanto le persone e men che meno i governi. In teoria una campagna elettorale dovrebbe facilitare la scelta. In questa purtroppo non è stato così: fra chi ha dato la caccia ai populisti senza sapere cosa fossero realmente, chi attaccava un bersaglio come se stesse giocando a freccette, si sono dimenticati di spiegare le proposte. Però i programmi ci sono, in qualche caso scritti con l'effetto Twitter, ma ci sono. Sono online e tocca leggerli. Non li hanno spiegati... Un po' come il ripasso di lettere prima della maturità. Per molti aspetti i programmi sono interessanti se presi nel modo giusto, cioè: trovando l'idea centrale. Le politiche proposte possono cambiare, mutare; capire qual'è il DNA del programma è l'elemento più significativo.

Cari neo diciottenni, la politica è una delle cose più belle al mondo; è una di quelle cose che troviamo dappertutto. Partecipare prima di tutto è un'esigenza: ognuno di noi ha un'idea e poterla esprimere è una delle libertà più grandi e più belle che abbiamo. Una libertà che va onorata e protetta usandola, nel momento del voto e in tutti gli altri giorni. 
Non è vero che non esistono idee. Esistono, molte volte sono espresse male, ma esistono. E fra quelle sicuramente troveremo l'idea che ci rappresenta maggiormente, magari non perfettamente, ma la più vicina. C'è sempre tempo per controllare la scelta fatta, contestarla e cambiarla se i risultati ottenuti non sono come ce li immaginavamo. L'importante è scegliere, partecipare. L'astensione è un elemento particolare che alle elezioni non viene considerata.
Il Presidente dell'Emilia-Romagna, per esempio, è stato eletto con il 36% di affluenza e non si è minimamente preoccupato di indagare le ragioni di un'astensione così alta. Chi si è astenuto non è stato ascoltato e, il messaggio che forse sperava di inviare, non è stato ricevuto.

Domenica portate le vostre idee, cercatele sulla scheda e, se proprio non le trovate, consegnate la scheda bianca. Personalmente sono sempre per esprimere un voto tuttavia, se proprio non trovate l'idea a voi vicina, riconsegnate la scheda. Ma provateci. Restate in cabina anche mezz'ora, toccate la scheda, osservatela. E' un momento emozionante, il seggio ha un'atmosfera secondo me unica. Poi, se proprio nessun simbolo vi attrae, ripiegate la scheda e uscite.
Cari neo diciottenni, oltre s chiamarvi "millennials", la politica vi non vi farà purtroppo provare l'emozione di imbucare la scheda nell'urna. Ragioni di controllo e verifica dell'autenticità della scheda.

Cari neo diciottenni, mi auguro che Domenica mattina abbiate la stessa emozione che avrò io pur votando già da un po' di anni. Spero che abbiate la curiosità di spulciare i programmi di tutti, vedere come sono fatti. Spero che abbiate voglia di aspettare i risultati e assistere a tutte le tappe del percorso che il 5 Marzo si aprirà.

Spero che trascorriate un buon primo voto, tanto da ricordarlo per il resto della vita.

giovedì 1 marzo 2018

Ragazzi si vota! Una guida al voto dedicata ai neo diciottenni



Finalmente il 4 Marzo è arrivato. Domenica, in compagnia della carta d’identità e della tessera elettorale, andremo a scegliere i nostri rappresentanti nel prossimo Parlamento. 
I termini che ho utilizzato non sono casuali: troppi commentatori continuano a ripetere il messaggio sbagliato e fuorviante secondo cui il 4 Marzo si entrerebbe in cabina per scegliere il prossimo governo. Questo è assolutamente falso, mi rivolgo soprattutto ai neo diciottenni che voteranno per la prima volta. E’ sbagliato per due motivi: il primo lo si trova nel testo costituzionale il quale afferma come l’Italia sia una democrazia parlamentare quindi, le cosiddette “elezioni politiche”, servono ad eleggere i componenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Il secondo motivo si trova nel sistema elettorale. Piccola parentesi per i diciottenni ai quali dedico questo articolo perché Domenica compieranno un gesto per nulla scontato e per il quale donne e uomini hanno dato la vita. Da un po’ di tempo a questa parte alcuni esponenti politici si stanno impegnando a far passare la discussione sul sistema elettorale come qualcosa di terribilmente noioso. Nulla di più sbagliato. Il sistema elettorale è il meccanismo che trasforma la croce, che tracciamo sulla scheda elettorale, in seggio parlamentare. Quindi, conoscere il sistema di trasformazione dei nostri voti, è importante per esercitare a pieno il diritto di voto.

Il secondo motivo per cui non sceglieremo il governo, fermo restando il principio costituzionale, attiene al Rosatellum: il nuovo sistema con cui si assegneranno i posti in Parlamento. Il Rosatellum è sostanzialmente un sistema proporzionale con una piccola parte maggioritaria. Ciò significa che non vincerà chi ha un voto in più, ma le forze politiche conquisteranno posti nelle due assemblee quanti sono i voti che riceveranno. Sarà pertanto il Parlamento, visti i numeri di seggi di ciascuna forza politica, a formare una maggioranza in grado di sostenere un governo. 
Qual’è quella parte maggioritaria di cui ho parlato? E’ la parte che servirà per assegnare un terzo dei seggi di Camera e Senato. Il vincitore di questa fetta sarà chi prenderà un voto in più all’interno del collegio (territorio) nel quale è candidato. 

Portiamo la teoria alla pratica:
I diciottenni riceveranno solo una scheda e voteranno soltanto per la Camera dei Deputati. La scheda sarà composta da una serie di rettangoli di due tipi: uno con all’interno un nome, che equivale al candidato in quel territorio, sotto al quale ci sarà un altro tipo di rettangolo contenente tutte le liste (i partiti) che sostengono quel candidato in quel territorio. L’insieme di questi partiti è definito coalizione. In questo caso, tracciando la croce sul nome in alto, oltre a votare quel candidato il voto sarà esteso anche a tutte le liste ad esso collegato. Si può altresì tracciare la croce su un partito all’interno della coalizione: in tal caso il voto sarà attribuito a quella lista di candidati e al candidato il cui nome è presente all’interno del rettangolo in alto. Troverete anche candidati uninominali ( così si definiscono i nomi che troverete al di sopra dell’elenco dei simboli di partito) sostenuti da un unica lista. In tal caso vale lo stesso ragionamento: croce sul nome del candidato uninominale fa esprimere il voto anche per la lista ad esso collegata in quanto unica. 

Il mio consiglio tuttavia, per non fare confusione, è di tracciare la croce sul simbolo del partito che avete intenzione di votare. Sia all’interno delle coalizioni, sia per le liste uniche, il voto sarà esteso al candidato uninominale. 

Attenzione
Non è previsto il voto disgiunto pena l’annullamento della scheda. Questo significa che non potremo votare un candidato al collegio uninominale e una lista collegata a un altro candidato all’uninominale.  

L’elenco di nomi a fianco ai simboli:
Il Rosatellum prevede che ogni partito indichi sulla scheda la lista, da 2 a 5 nomi, dei candidati nel territorio. Si tratta di un elenco inutile con cui non potremo interagire in alcun modo se non a titolo informativo. Infatti non è previsto il voto di preferenza.
E’ un po’ come partecipare a una cena a menù fisso. Sul tavolo troviamo il menù ma non possiamo scegliere quale dei piatti mangiare, ce li porteranno tutti e nell’ordine indicato.

La balla del voto utile:
Sentirete l’appello al voto utile dai partiti più grossi. In questo sistema elettorale il voto utile non esiste. La logica secondo cui votare forze politiche deboli sarebbe inutile e controproducente è assolutamente falsa. Se la vostra preferenza ricadrà su un partito potenzialmente sfavorito contribuirete a rafforzare la possibilità che conquisti seggi in Parlamento. 

L’effetto Bonino:
Per lo schema del Rosatellum, all’interno delle coalizioni potrebbe scattare quello che definisco come “effetto Bonino”. 
Partiamo dalle regole generali e introduciamo il concetto di soglia di sbarramento.
La soglia di sbarramento è quella quantità di voti necessari a una forza politica candidata per eleggere persone in Parlamento. Il Rosatellum prevede due soglie: il 3% per i partiti che si presentano da soli, e il 10% per le coalizioni. Questo significa che una coalizione, per eleggere i propri candidati, deve ricevere almeno il 10% dei voti.  All’interno della coalizione che raggiunga il 10% si eleggeranno i candidati delle liste che avranno conseguito il 3% dei voti. Se una di queste liste non raggiungesse il 3% ma si attestasse sopra l’1%, i voti conquistati da questa  lista sarebbero trasferiti al partito più forte del gruppo. 
Questa dinamica potrebbe accadere alla lista di Emma Bonino, candidata in coalizione con il Partito Democratico solo per non dover raccogliere le firme necessarie. Se la lista “+ Europa con Emma Bonino” dovesse conquistare una percentuale di voti superiore all’1 ma inferiore al 3, il suo pacchetto di voti sarebbe trasferito al Partito Democratico che, potenzialmente, sarà la forza maggioritaria all’interno della coalizione del Centrosinistra. 

Occorre segnalare come purtroppo, chi voterà per la prima volta, non potrà provare l’emozione di inserire la propria scheda nell’urna. La nuova legge elettorale introduce un meccanismo antifrode. Una volta votato si dovrà consegnare la scheda al presidente di seggio che staccherà un tagliando per verificare l’autenticità della scheda.

In conclusione mi rivolgo ai neo diciottenni a cui regalo questo articolo nella speranza che possa essere utile a esercitare per la prima volta il diritto di voto. Solfitante questi contenuti finiscono con un invito a votare pie qualcuno. Come a dire: ti ho spiegato come funziona, adesso votami. Non è il mio obbiettivo: se vorrete, scorrendo il blog, troverete articoli politici che descrivono la mia scelta elettorale. L’invito che vi faccio è un altro: votate. Non importa per chi, ma votate. Chi non partecipa non manda nessun tipo di segnale come contrariamente si pensa. Non esprime la propria opinione lasciando decidere agli altri qualcosa che invece lo riguarda da vicino molto più di quanto possa credere. Quindi votate.

Buon voto a tutti.