martedì 18 settembre 2018

"Sulla mia pelle", un film per una coscienza collettiva

Immagine dal film

Un tuffo negli scuri abissi, nelle cupe stanze in una notte pesta. Quando si riaccendono le luci fatichi ad alzarti dalla poltrona intriso di angoscia, dolore e indignazione.

E’ quello che accade allo spettatore di “Sulla mia pelle”, il film nel quale Alessandro Borghi opera una vera e propria metamorfosi dando nuovamente vita a Stefano Cucchi: il giovane romano morto d’indifferenza sette giorni dopo il suo arresto. Sono proprio quei sette giorni di agonia, di dolore, di preoccupazione che racconta Alessio Cremonini in un film perfetto che dovrebbe essere proiettato sui muri di ogni città.

Sulla vicenda di Stefano Cucchi si può leggere molto ma quando appare sullo schermo, su quella branda della cella di sicurezza, tutto ciò che si è letto scompare lasciandoti solo con tutti quei suoni corporali, quelle luci fredde che diventano gelide per l’indifferenza che quel corpo tumefatto ha incontrato in tutto il personale dello Stato in cui si è imbattuto in quei sette giorni. Un declino lento sotto gli occhi del visibile nessuno. Circa 140 persone hanno avuto a che fare con Stefano durante quella settimana di calvario, circa 280 occhi l’hanno visto.

Un cast perfetto, impeccabile che suscita emozione. Un Max Tortora che, attraverso un abbraccio, comunica un’infinità di parole. Una Jasmine Trinca che rappresenta tutti gli aspetti di Ilaria Cucchi facendone emergere quell’amore severo che solo una sorella può incarnare. Un Alessandro Borghi che utilizza tutti gli strumenti, i linguaggi, per raccontare Stefano in quei sette giorni di agonia. Cento minuti che umanizzano Stefano Cucchi nei suoi tanti aspetti restituendogli quella dignità che gli è stata negata.

Un film nel quale entrano tutte le emozioni fino all’ultima di esse: la rabbia per quell’indifferenza burocratica, paradossale, scaricabarile che si attorciglia su sé stessa  non fermando una china impetuosa. Sono cento minuti in un mondo buio, pieno di suoni vuoti, di atteggiamenti pressappochisti talmente disumani da suscitare nello spettatore la domanda: che mondo è? La risposta ci coinvolge tutti perché, il mondo rappresentato sullo schermo per cento lunghi minuti, è il nostro. E’ questo, è quello in cui ci svegliamo ogni mattina, quello in cui leggiamo di tanti esseri umani massacrati perché ritenuti ultimi.

“Sulla mia pelle” è la realtà che ci viene mostrata: non esistono personaggi, esistono persone. E’ una descrizione inquietante con la quale fare i conti. Non è possibile rifugiarsi dietro la narrazione cinematografica: quella proiettata sullo schermo è la realtà della quale dobbiamo conservare dentro di noi un po’ di dolore, un po’ di angoscia e un po’ d’indignazione. 

giovedì 23 agosto 2018

La Sinistra è morta e Genova ne è un indicatore

Immagine di repertorio
Il tragico crollo del ponte Morandi a Genova ha innescato una serie di reazioni che hanno portato a episodi politici rilevanti. Intendiamoci: non parlerò né di stralli né di solette, tutti discorsi nei quali non entrerò. Questa tragedia ha innescato il secondo terremoto politico dopo quello del 4 Marzo.

Dalle immagini dei funerali di Stato possiamo trarre alcuni elementi interpretativi interessanti. Ad esempio le contrapposte reazioni del pubblico all’entrata dei leader di governo e di opposizione. I fischi al Partito Democratico e gli applausi a Di Maio e Salvini ci suggeriscono un ragionamento urgente. La Sinistra in questo Paese è morta. Quando viene fischiato il partito che piaccia o meno è considerato di Sinistra, quegli stessi fischi colpiscono anche le altre organizzazioni definite dagli addetti ai lavori come a Sinistra del PD. Nel momento in cui il centravanti della Sinistra perde popolarità, il problema è di tutta l’area. I partiti minori non potranno più contrastare il maggiore, questo non esiste più: di conseguenza non avranno più rilevanza mediatica in un sistema comunicativo egemonizzato dai due leader di governo.

Se questo potrebbe sembrare un ragionamento astratto, c’è un elemento più concreto che deve richiamare l’attenzione: la costante appropriazione, da parte del Governo Lega-Cinque Stelle, di temi appartenuti finora alla Sinistra. E’ indubbia la capacità nell’entusiasmare sui temi del lavoro di Di Maio, il quale in ogni intervista fa proprie battaglie considerate di Sinistra. 
Con il crollo del ponte Morandi il governo paglierino ha scippato alla Sinistra un’altra parola molto evocativa: nazionalizzazione. Posto che i governi di Sinistra degli ultimi vent’anni hanno aperto la strada alla privatizzazione andando cioè contro la loro identità culturale, l’utilizzo del termine “nazionalizzazione” fatto da Di Maio costituisce il secondo colpo al cadavere già immobile. Ciò al netto della fattibilità delle nazionalizzazioni annunciate: nell’era della comunicazione conta l’annuncio, non il fatto. Con esso, infatti, si entusiasmano i sostenitori, si strizza l’occhio a possibili elettori futuri e si svuota con il badile la Sinistra.

Quando invito la Sinistra a comprare canne da pesca e a scegliersi un lago non lo scrivo per strappare un sorriso: è quello che dovrebbe fare chi sta facendo di tutto per sparire dalla scena politica. Parallelamente all’impegno scientifico profuso per uscire di scena, converrebbe cercare un luogo nel quale trascorrere la tanto ricercata latitanza.
L’odio viscerale per il Partito Democratico, incitato dallo stesso, non porterà a tempi buoni per i partiti alternativi. Ad essere in crisi è un’intera cultura, e non per cause internazionali come qualcuno sostiene per autoassoluzione, ma perché negli ultimi anni, chi a suo malgrado si è trovato a rappresentare la cultura di Sinistra al governo, ha espresso politiche di segno opposto. 

Non si finga di sapere come fare: non si tratta di ricostruire un partito ormai slabbrato, devastato e inerme; si tratta di ricostruire un’intera cultura politica. E un’operazione simile non è possibile in cinque anni.

giovedì 9 agosto 2018

L’attesa del cadavere inesistente

Immagine di repertorio

Dal comportamento dannoso di un’opposizione pretesa è possibile arrivare a tratteggiare le caratteristiche di un governo che, se finora ha goduto del beneficio del dubbio, adesso deve essere inquadrato e definito.

Qualche tempo fa mi ha fatto riflettere un commento a un mio post che criticava il mio disappunto per il comportamento dell’opposizione al Governo Conte. Il commentatore riteneva come sia una specialità della Sinistra radicale italiana criticare l’opposizione ai governi. In qualche misura penso sia vero, tuttavia per fare un’opposizione efficace, cioè da permettere di aumentare la possibilità di tornare ad essere scelto dalla maggioranza degli elettori, bisogna comprendere le caratteristiche del governo del quale si vogliono contestare le politiche. Altrimenti si rischia di replicare pere a zucchine. 

Se la strategia dell’opposizione in Italia è quella di aspettare che passi il cadavere, temo attenderà molti anni. Se l’auspicio, di chi ha voluto stare all’opposizione nonostante avesse i numeri per un accordo dii governo, è attendere che gli altri sbaglino dovrebbe richiamare il fornitore di pop-corn perché sarà una lunga attesa. 

Siamo difronte a una maggioranza formata da due forze politiche nuove, mai viste prima. Ad essere nuova è la loro strategia comunicativa, la costruzione della narrazione all’interno della quale creare problemi per poi risolverli. Ad essere nuovo è l’approccio alla cultura del Paese per modificarne l’identità. 
Spesso leggo commenti che ridicolizzano i leader delle due forze di Governo. Un approccio pericoloso che potrebbe portare molti danni. Se chi ricopre un ruolo di governo è considerato un incapace da chi lo dovrebbe contestare, il rischio è quello di sottovalutare il progetto che ha in mente. Non prendere sul serio chi rappresenta il potere esecutivo porta a non cercare una strategia per fare un’opposizione utile a rappresentare i valori che si ritengono positivi. 

Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono arrivati al governo utilizzando la stessa narrazione anti establishment: uno per credo politico, l’altro per convenienza; ma entrambi hanno lo stesso bersaglio. Ogni atto del Governo Conte è sempre presentato ponendolo in discontinuità con chi c’era prima rappresentato come establishment. E’ secondario se i loro atti provocheranno un risultato positivo o negativo, il tema non è questo: l’importante è che siano in contrapposizione con i predecessori.

In questo contesto le forze all’opposizione, invece di provare a ricostruirsi un immagine che possa fornirgli una diversa reputazione, insistono nel ruolo attribuitogli dalla narrazione di Salvini e Di Maio. 
La reputazione di cui gode questa opposizione, e della quale non sembra volersi liberare, non permetterà di far nascere un’alternativa valoriale, culturale all’attuale direzione politica.

E’ questo uno dei motivi per cui l’immagine dei popcorn avrebbe dovuto allarmare più di quanto ha fatto. Godersi lo spettacolo è certamente un’alternativa praticabile; ma, chi decide di intraprendere il ruolo di spettatore, deve essere consapevole che il cadavere da lui desiderato potrebbe non passare mai.

martedì 10 luglio 2018

Il ritorno della pop star

Matteo Renzi

L’evento del fine settimana è stato indubbiamente l’assemblea nazionale del Partito Democratico. Ormai un evento pop che si deve seguire come si seguono le puntate di una serie tv. Anche le dinamiche in sala dai ruoli contornati e definiti, le luci che illuminano il palcoscenico la fanno assomigliare sempre di più  a uno show di prima serata.

Si sa, gli show hanno come obbiettivo il divertimento del pubblico in sala e a casa: lo devono appassionare, devono farlo andare in bisbiglio. E come in tutti gli eventi pop non può mancare l’intervento della guest star: molto spesso è solo questa che garantisce la platea. Il Partito Democratico una guest star ce l’ha: è stata segretario, poi Presidente del Consiglio; adesso voci dicono che passerà alla conduzione di un programma televisivo. Si tratta inequivocabilmente di Matteo Renzi, sempre più esperto del palcoscenico dal quale arringa le sue folle di fan sfegatati, selvaggiamente rabbiosi contro chi osa dubitare delle qualità del loro beniamino. 

Permettetemi di confessare che io stesso pagherei per vederlo dal vivo, per mischiarmi nella sua curva se mi promettesse, e già qui avremmo qualche problema di affidabilità, di sparire dalla scena politica. Il mondo dello spettacolo ha sempre bisogno di nuovi personaggi; oppure Mastrota lo potrebbe ingaggiare come proprio erede nella vendita di pentole con doppio fondo per la cottura a vapore, per piazzare biciclette con cambio Shimano, e magari anche un materasso Memory. Ecco Mastrota, in questa eventualità, dovrebbe spiegare a Renzi che l’abolizione del Senato non è prodotto MondialCasa: potrebbe accadere che la riproponga al pubblico insieme alla macchina per il sottovuoto. 

E’ evidente come l’appuntamento di Sabato sia stato uno show; poi ci stupiamo che Matteo Renzi sia uscito dopo il suo cameo. Le guest star è questo che fanno. 
In tutto questo potrebbe passare in terza piano come la pop star in questione sia l’ex Presidente del Consiglio, l’ex segretario - quello del 18% - e l’attuale senatore di Scandicci. Tutti questi ruoli Matteo Renzi se li dovrebbe ricordare mentre fa i suoi spettacoli per i suoi fan.
Il suo intervento, depurato da battute e ironia, è preoccupante. Non perché io mi trovi ad anni luce di distanza da Matteo Renzi, bensì perché non dice nulla; gli unici concetti comprensibili sono di destra: figli del centrodestra berlusconiano in cui, d’altra parte, lui è vissuto fin dalla “Ruota della Fortuna” . 
Nel suo copione si dimentica che, nella notte buia del Pd, era lui il timoniere. Si dimentica che il 18% l’ha preso lui e, nonostante potesse renderlo fruttuoso, ha tignato fino allo sfinimento per avere l’opposizione. E’ riuscito perfino ad identificare la virata a destra internazionale come la causa di Salvini al governo, continuando a dare la  stessa definizione di populismo ignorante e ottusa: non differenziando, facendo bensì un pastone con tutti dentro. 

Se per rivitalizzare un’esperienza politica è necessario iniziare dall’analisi del presente, il Pd farebbe prima a chiudere verso un qualcosa di renziano così da chiarire, una volta per tutte, in quale direzione desideri andare. Se chi è stato al governo dal 2011 non ammette per davvero di aver sbagliato qualcosa, può improvvisarsi meteorologo e fare finta che la propria sconfitta dipenda da una perturbazione di populisti proveniente dall’Atlantico. Se davvero si pensa che non sia necessario dare diritti ai riders e si continua ad auto compiacersi per il Jobs Act presentandolo come la madre di tutte le riforme, evidentemente l’unica analisi possibile è quella costruita, con imbarazzante superficialità, dal pop Renzi. 

Ogni fan non dirà mai che il proprio beniamino sbaglia. Non è contemplato l’errore, così come non è ammessa la critica del suo lavoro. Lui è bello, simpatico, tiene testa, ha profuso passione politica in tanti - salvo non dirgli però da quale porta dovevano entrare -; ha dato una leadership al Centrosinistra applicando una nuova astuta tattica: affermare concetti di destra, ignorando tuttavia come alla fine l’elettorato scelga sempre l’originale.  Inoltre, sempre lui, fa divertire, esultare, eccitare senza farsi pagare. Sarebbe l’idillio se non fosse che, invece di salire su un palco o entrare in uno studio televisivo, è entrato a Palazzo Chigi obbligando così a vedere il suo show anche chi ne avrebbe fatto volentieri a meno.

lunedì 2 luglio 2018

Il sonnambulo Carlo Calenda e il Fronte Repubblicano

Immagine di Carlo Calenda

Mentre il Partito Democratico continua a essere in uno stato di coma profondo Carlo Calenda, iscritto da soli tre mesi, pubblica un manifesto per il suo superamento. Nel quieto dormir si aggira un sonnambulo barcollante che, come spesso accade, nell’inconsapevolezza rischia di fare danni. 

Il sonnambulo Calenda è partito per la sua avventura nella notte buia del Centrosinistra, incosciente e incurante di ciò che sta accadendo attorno. Come un sonnambulo appunto. La prima assurdità del manifesto che ha presentato si trova nel nome proposto per la nuova formazione politica: “Fronte Repubblicano”. Premesso che ci troviamo già in una repubblica con una Costituzione democratica - la stessa che Calende voleva stravolgere solo due anni fa - il nome non significa nulla. Non dice con chi e per cosa, né tantomeno perché. 
Questo si sarebbe potuto scrivere fino a pochi giorni fa; dopo la pubblicazione del manifesto la situazione si aggrava: si può dire che il progetto di Calenda sembra scritto da un altro Paese, con un altro sistema politico e prima del 4 Marzo. E’ in sostanza la riproposizione del non programma con cui il PD ha preso il 18% alle elezioni e con il quale ha tigrato per avere il ruolo di opposizione nel quale non sa stare. Un manifesto che potrebbe scrivere un segregato in una stanza senza contatti con il mondo esterno. Pensare che il suo autore è stato a capo del Ministero per lo Sviluppo Economico deve porre qualche interrogativo.

Dalle prime righe del documento è visibile come sia un progetto contro qualcuno e non per qualcosa. Il Fronte Repubblicano, se avremo la sfortuna di vederlo in azione, avrà come nemico l’attuale Governo. Niente di più sbagliato e autolesionista: identificare Lega e Cinque Stelle come nemici significa regalargli la maggioranza per i prossimi vent’anni. Intraprendere apertamente una guerra con chi sa usare la propaganda meglio di te equivale ad essere sconfitto prima ancora di armarti. Su questo, la risposta del Presidente Conte all’accusa di essere populista da Martina, dovrebbe insegnare. 

Continuando nella lettura del documento si percepisce lo scollamento assoluto dalla realtà del Paese. Calenda pone come priorità gli stessi interessi elitari in teoria sconfitti il 4 Marzo la negazione di un dibattito spalancato sul tema dell’Unione Europea; una politica di sviluppo che definisce come “buttati” i soldi che si potrebbero utilizzare per nazionalizzare le aziende strategiche del Paese. Una riproposizione della teoria pensionistica renziana il cui motto è “dove ci porta la corrente”. Un programma degno di un ministro renziano riproposto al tempo in cui Renzi esporta le istruzioni per la distruzione in giro per il mondo.

Il titolo dice già molto, ma il contenuto è ancora più eloquente. Un progetto che non ha nulla a che fare con la Sinistra, confusionario e privo di qualsivoglia analisi del Paese post voto.

Del resto i sonnambuli vagano senza rendersi conto di quanto stanno facendo. Possiamo solo sperare che qualcuno si svegli per un bicchiere d’acqua e riaccompagni dolcemente a letto il sonnambulo Calenda. 

lunedì 18 giugno 2018

Un governo di destra senza opposizione

Immagine di repertorio
Se le critiche al governo “paglierino” fino a due settimane fa erano infondate, gli atti assunti negli ultimi giorni forniscono elementi per iniziare a giudicare un governo che assomiglia a un piatto non ben amalgamato. Di “paglierino” abbiamo visto poco: quello che è evidente è la dominanza culturale e politica della Lega sui Cinque Stelle.

Quanto auspicavo non avvenisse sta di fatto accadendo. Matteo Salvini non ha indossato gli abiti del Ministro degli Interni, è il leader della Lega nel paese dei balocchi per un leghista. Cosa c’è di meglio per un leghista di avere il ministero più importante per il Paese? Niente; neanche il dicastero per le autonomie sazierebbe i loro desideri oscurantisti, razzisti e vigliacchi. 
La questione migrazione è complicata, senza soluzione e bisognosa di un atteggiamento non propagandistico. Matteo Salvini, a cui piace tanto fare il duro con i deboli, non ha perso un minuto per mandare un messaggio chiaro al suo elettorato bloccando la nave Aquarius con 629 persone in mezzo al Mediterraneo. L’importante è sbancare ai ballottaggi di Domenica. Un atto barbaro che usa la pelle viva delle persone per propri fini elettorali. Un atto politico che ha segnato indelebilmente la direzione e il colore del Governo Conte; lui c’aveva provato a fare un discorso post ideologico, la realtà è un’altra e dà tutta l’impressione di una realtà di destra. 

Non sazio Salvini ha speculato anche sulla morte di Jefferson Garcia Tomala, il ragazzo ecuadoriano ucciso con un colpo di pistola dalla polizia durante un TSO nel genovese. Figuriamoci se per un momento poteva tacere e pensare. Sia mai: Salvini ha sentito subito l’esigenza di dare solidarietà agli agenti coinvolti.  E’ facile immaginare come il Ministro dell’Interno non si sia fatto raccontare i fatti proponendo immediatamente un dualismo fra buoni e cattivi. Jefferson Garcia si trovava in un momento fragile, non so quanto Salvini conosca la psicologia ma quel ragazzo di 21 anni, non era un pericoloso criminale; era una persona in escandescenza. Invece di tranquillizzarlo l’hanno spento per sempre.
E’ indispensabile non generalizzare, non fare di tutta l’erba un fascio ma difendere a prescindere le forze dell’ordine non va a loro vantaggio. Se il Ministro Salvini pensa di essere solidale con la polizia si sbaglia. In questo Paese c’è un disperato bisogno di un serio controllo sulle forze dell’ordine smettendo di buttare sotto il tappeto il marcio, lo stantio, l’inerzia. 

Leggendo il contratto di governo sembrava che dovesse arrivare un altro approccio; i fatti mostrano il contrario: mostrano come si rischi un altro Federico, un altro Stefano, se la politica del Ministero dell’Interno è quella utilizzata per Jefferson Garcia Tomala. Anzi, c’è già stato.
Un approccio che se ne infischia delle persone, dei loro diritti, dividendo il mondo in buoni e cattivi e mettendo le forze dell’ordine sempre e comunque nella prima categoria. 

Mi piacerebbe potermi fermare qui, quando l’aberrazione è già troppa. Invece il nuovo Ministro degli interni se la prende pure con Regeni preferendo molto di più mantenere un ottimo rapporto con l’Egitto. Subito è arrivata la prova dell’ostilità nei confronti di Giulio Regeni: in un comizio elettorale di Salvini alcuni manifestanti sono stati identificati per aver srotolato uno striscione con il nome di Giulio. 

L’ignoranza, l’intollerabile fascismo di Matteo Salvini è un fatto. Che Giuseppe Conte sia stato rinchiuso nello sgabuzzino delle scope di Palazzo Chigi è un altro fatto. In tutto ciò c’è però un’assenza intollerabile: quella dell’opposizione. Siamo fra l’aterego della Corte dei Conti, e Forza Italia che si trova nella posizione del cerchiobottista il cui interesse primario è non rompere con Matteo Salvini per non fare la fine che farà presto il PD. 

Con il massimo rispetto degli impastati dal sonno, altrimenti mi accusano di essere contro il PD mentre invece sono molto rispettoso del sonno altrui; vorrei tuttavia capire con quale tipo di sveglia l’opposizione preferisca svegliarsi. La questione dell’immigrazione e delle accuse alle ONG l’ha svegliata salvo poi spegnere la sveglia e girarsi dall’altra parte. La violazione dei diritti umani non era considerata neanche prima - vedi il ddl Tortura - che non pretendo li svegli. Che cosa vi serve per svegliarvi? Ditelo così ci organizziamo prima che ci smontino tutti i diritti, uno ad uno.

Nulla è perduto però: una voce calda e rassicurante si è levata dai banchi del Senato mostrando che un’opposizione culturale e sociale è possibile anche con i partiti nello stato gassoso. La voce è quella della Senatrice Liliana Segre: per quel che mi riguarda l’unica saggia e altissima opposizione a questo governo di destra. 

sabato 2 giugno 2018

Il governo "paglierino" e i cambiamenti nella politica italiana

Immagine del Governo di Giuseppe Conte
Dopo innovative trattative e strappi istituzionali inauditi che hanno fatto presupporre l’inizio di una crisi istituzionale, è nato il governo “paglierino” frutto dell’accordo fra Lega e Movimento Cinque Stelle. Un accordo che, cominciando dalla sua diversa denominazione, pone molti interrogativi e molte curiosità.

Lasciando da parte i giudizi politici per i quali ci sarà tempo, sul piano analitico questo governo color pagliuzza offre molti spunti. Ad esempio la formazione estremamente mediatica. Mentre accadevano i fatti, forse, non si è prestata attenzione a questa caratteristica grazie alla quale abbiamo potuto seguire passo passo, minuto per minuto, la formazione del governo con i retroscena in campo. 
La trattativa su Paolo Savona al Ministero dell’Economia, miccia del pasticcio istituzionale, è avvenuta a favore di telecamera. La spettacolarizzazione delle prassi è sicuramente un fattore nuovo che in qualche modo ammicca al concetto estremizzato di trasparenza democratica portato dal Movimento Cinque Stelle. 
Fattore che potrebbe aver indotto l’acquolina nei cittadini tanto da pretendere la stessa rappresentazione per tutta la durata del Governo Conte.

Sempre seguendo il filo della comunicazione rubo un concetto espresso recentemente da Carlo Freccero. Siamo così sicuri che in questi tre mesi si sia perso tempo? O è stato un grande momento pedagogico per cittadini e elettori? Mentre facevamo le pulci a tutto ciò che accadeva, sottolineando anche l’inadeguatezza degli attori politici, si è mostrato come operano le istituzioni, si è di fatto partecipato alla stesura di un programma politico, si è assistito all'influenza dei mercati: tutti elementi che, al di là del giudizio personale, ci hanno arricchito di conoscenze, di opinioni, di ragionamenti per il futuro. Forse questi tre mesi proprio invano non sono passati. E forse per la cultura politica dei cittadini sono stati perfino utili. 

Però il discrimine si potrebbe avere adesso. Cosa può succedere se l’attività dei ministri si mediatizza? Un conto è quando si tratta della comunicazione, ovviamente finalizzata al consenso, dei leader politici; un conto è quando questi leader assumono posizioni di governo e, istituzionalmente parlando, dovrebbero rivolgersi a tutti i cittadini. Di questo possibile elemento ne abbiamo avuto una prova poco prima della dichiarazione con la quale, il Presidente del Consiglio Conte, ha annunciato la squadra di governo. Matteo Salvini, mentre stava per diventare Ministro degli interni, ha postato su Facebook un video ritraente una scena dai contorni disagiati che coinvolgeva potenzialmente una persona migrante con il commento “A casa”: chiaramente un messaggio diretto ai suoi elettori in un momento di campagna elettorale. 

Matteo Salvini andrà a ricoprire un ruolo delicato, estremamente sensibile; un incarico che ha a che fare con qualsiasi persona transiti in Italia. Si è preso, probabilmente proprio per questo, un ministero dal quale è possibile mettere in campo operazioni di propaganda finissima se chi lo dirige non riconosce il proprio ruolo collettivo. Da qui un’altra domanda: riuscirà Salvini a uscire dal ruolo di leader disintossicandosi dalla droga della propaganda costante? Nelle prossime settimane si voterà in molti comuni: come agirà il Governo guidato dai due leader del momento?

Un altro aspetto che dovrà necessariamente pervadere la politica, maggioranza e opposizione, è lo stato in cui si trova l’Unione Europea. Il governo “paglierino” nasce soprattutto su un contrasto alla logica finanziaria dell’Unione Europea; si pensi alla figura di Paolo Savona, non cassata ma spostata in un dipartimento assai simbolico per la politica dell’esecutivo Conte. L’hanno catapultato dal Ministero dell’Economia facendolo planare sul dipartimento per gli affari europei come a evidenziare che l’irritazione nei confronti dell’Europa non cambia. 
Aspetto, quello dell’euroscetticismo, di cui l’opposizione dovrà tenere conto per sopravvivere e per costruire un’alternativa per il futuro. Il conflitto con l’Unione è talmente radicato nell’opinione pubblica da costituire un tema da affrontare non derubricandolo come populismo. Chi farà l’ultras dell’Unione Europea così com’è, rischia di avere una vita politica molto breve.

E’ troppo presto per dire se il cambiamento si vedrà nelle politiche attive, sicuramente però il governo “paglierino” ha già cambiato stile e temi della politica italiana. 

martedì 29 maggio 2018

Sinistra, se ci sei, batti un colpo

Immagine di repertorio
E’ sempre difficile intuire che cosa accadrà nel futuro della politica. Le vicende di questi giorni, però, ci possono dare qualche indizio. Il fallimento di Conte porterà molto probabilmente a un governo di minoranza presieduto da Carlo Cottarelli: non esattamente un esecutivo che calmerà gli atteggiamenti euroscettici già ben radicati nell’opinione pubblica. Se, come probabile, il governo Cottarelli non dovesse avere la fiducia dal Parlamento saremmo proiettati in campagna elettorale.

I fatti preludono allo schieramento di due poli contrapposti: Lega e Movimento Cinque Stelle a rafforzare il conflitto con l’Unione Europea attraverso proposte culturalmente di destra; e quello che resta del Partito Democratico pronto a ricevere il colpo mortale interpretando gli ultras di questa Europa. A meno di sconvolgenti cambi di scenario, la posizione del PD equivarrà alla nota di colore della prossima campagna elettorale. Il polo favorito è indubbiamente quello euroscettico che potrebbe realmente conquistare la maggioranza anche strumentalizzando la scelta di Mattarella su Savona.

E’ inimmaginabile contrastare le posizioni euroscettiche con idee ultra europeiste. L’opinione pubblica è ormai intrisa di una critica, anche ben motivata, verso l’Unione Europea e le sue istituzioni finanziarie che, contrapporre ad essa una campagna a totale difesa dell’Unione, rischia di alimentare ancor più il voto contro l’establishment. Sarebbe un atteggiamento cieco che accompagnerebbe il suo promotore dritto contro a un muro.  Negare il malfunzionamento di questa Unione Europea, delle sue istituzioni focalizzate sui mercati, vuol dire difendere l’indifendibile.

Che l’Unione Europea gestita in questo modo causi danni è un fatto verificabile aprendo un semplice bilancio di un comune. Non è populismo affermare che l’austerità imposta ai Paesi membri di serie B rende difficile l’autodeterminazione delle politiche interni. Non è populismo affermare come una dose di debito pubblico è presente in ogni Stato. E’ ingannevole narrare come uno Stato possa essere gestito con metodi aziendali puntando al pareggio di bilancio. Non può essere questo l’obiettivo della politica.

Visto lo scenario al quale stiamo andando incontro il tema da affrontare con urgenza è se ci siano le condizioni per costruire un terzo polo, con radici a Sinistra, che elabori una proposta per rappresentare quei cittadini che credono in un’altra Unione Europea: solidale, equa e democratica. Se non si creerà questa alternativa, chi non vorrà essere un ultras del’Unione nello stile del Partito Democratico, si troverà costretto ad affrontare la scelta frustrante fra astensione o quel polo formato da Lega e Cinque Stelle che, dietro un’immagine anti establishment, potrebbe nascondere una cultura politica di destra.

Nei momenti di esasperazione la matita potrebbe poggiarsi su un simbolo nel quale non si depone nessuna speranza se non quella di un cambiamento. La Sinistra, nel caso non avesse nessuna passione per la pesca, eviti questa frustrazione al suo popolo: costruisca il terzo polo con valori identitari senza negare il problema. 

lunedì 28 maggio 2018

L'impeachment non esiste. Così come gli estremi per porre in stato d'accusa il Presidente Mattarella

Immagine del Palazzo del Quirinale

Se usassimo di più la lingua italiana per esprimerci capiremmo la gravità e l’infondatezza di certe affermazioni. Dalla scelta del Presidente della Repubblica di non accettare Savona nel governo giallo-verde, il Movimento Cinque Stelle ha affermato di volere chiedere l’impeachment per il Presidente Mattarella.

Nella nostra Costituzione il termine statunitense “impeachment” non viene mai citato; viene altresì citata un’altra formula che sancisce come il Presidente della repubblica possa essere posto in stato d’accusa a maggioranza assoluta del Parlamento “per alto tradimento o attentato alla Costituzione”. Come il lessico utilizzato sapientemente dai Padri costituenti evidenzia, la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è un atto assai importante e denso di significato politico e istituzionale. Infilare il termine “impeachment” nei discorsi italiani non aiuta nell’identificare la gravità di certe affermazioni.

Se leggiamo attentamente il secondo comma dell’Articolo 92 della Costituzione dobbiamo invocare l’immagine della fisarmonica riferita ai poteri del Presidente della Repubblica. Ovvero, la Costituzione lascia moltissimi margini di azione al Capo dello Stato, tant’è che il testo non descrive quali siano i criteri che esso deve utilizzare per nominare i ministri. 
In questo contesto si fonda l’incredibile errore in cui stanno cadendo i Cinque Stelle. Accusare il Presidente della Repubblica di attentato alla Costituzione è un atto politico grave che, in questo caso, non trova appoggi giuridici. 

Scenario diverso sarebbe disegnato se le forze politiche avessero solo legittimamente criticato una scelta del Quirinale che, vista dal suo risvolto politico, può avere alcune questioni da dirimere come scritto in un articolo precedente. Ad esempio: è opportuno rimettere in discussione la formazione del governo per un singolo ministro che il Presidente della Repubblica avrebbe potuto monitorare in corso d’opera? Siamo sicuri che questa scelta del Presidente Mattarella non possa provocare una stagione ancor più peggiore di un governo con Paolo Savona al Ministero dell’economia?

Sono questi i quesiti che si possono porre. Aspetti politici presenti diversi da estremi costituzionali assenti per porre in stato d’accusa un Presidente della Repubblica.

domenica 27 maggio 2018

Scivolare su una buccia di Savona

Immagine del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella



Dopo aver messo in atto un’ottima strategia per risolvere lo stallo politico, Mattarella è letteralmente scivolato sul nome di Savona.

Sembrava tutto fatto: programma pronto, lista dei ministri stilata; Mattarella però ha detto no ritenendo che Paolo Savona, nome indicato per il Ministero dell’Economia con un curriculum di tutto punto, non avrebbe dato garanzie rispetto all’Unione Europea. Un giudizio politico che il Presidente della Repubblica ha ritenuto di dare assumendosi la responsabilità di fare fallire il tentativo di governo giallo-verde sostenuto da una maggioranza parlamentare. Si apre oggi un momento politico denso e pericoloso in cui si prevede il risultato delle prossime elezioni politiche sempre più vicine. Chi non sarebbe dovuto rimanere con il cerino in mano c’è rimasto regalando a Salvini il tema principale della sua prossima campagna elettorale.

E’ chiaro come si sia aperta una stagione pesante, che vede già un epilogo definito nel quale vedremo il Movimento Cinque Stelle e la Lega scagliarsi contro l’Europa e le sue istituzioni. Qualunque governo metterà in piedi Mattarella per accompagnarci alle elezioni sarà percepito come ostile al volere popolare e per questo punito severamente dagli elettori. Si rimanda un tema che comunque sarà da affrontare in un futuro non molto lontano.

Se i numeri attuali permettono di utilizzare alibi da parte del Presidente della Repubblica, quelli che verranno potrebbero essere talmente forti da proporre Paolo Savona come Presidente del Consiglio. Allora sarà impossibile trovare pretesti per creare un governo docile e amante dei vincoli europei. A un certo punto il segnale dal popolo sarà talmente forte da non poterlo più ignorare.

In tutto ciò la Sinistra può tranquillamente organizzare giornate di pesca e grigliate al lago. Allo stato attuale nessuna forza della Sinistra tradizionale può pensare di competere alle prossime elezioni che, anche per questo, vedranno dibattere due poli con idee forti e di rottura: il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle. Oggi abbiamo sepolto i centrismi di sinistra e di destra: il non ascolto dell’elettorato non può che produrre l’accelerazione del consenso per quelle forze che promettono una politica diversa.

Mi stavo preparando ad analizzare il sonno profondo dell’opposizione del governo di Giuseppe Conte. L’elemento interessante ora non è più la morte lenta del Partito Democratico, l’elemento dirimente sarà osservare in che modo l’elettorato risponderà all’azione del Presidente della Repubblica. Sarà interessante capire se i cittadini accetteranno di essere maltrattati da Matteo Richetti, che ha affermato come gli elettori si siano sbagliati a non votare PD, o se alimenteranno il consenso di quelle forze politiche che volevano Paolo Savona come Ministro dell’economia. 
 

giovedì 24 maggio 2018

Oltre il taxi

Il Presidente del Consiglio incaricato

L’arrivo in taxi alla Camera dei Deputati dopo aver ricevuto l’incarico di formare il governo, è inequivocabilmente un segnale di cambiamento mandato da Giuseppe Conte. Un segnale che però è già passato, la notizia dopo dieci minuti era già stantia: un po’ come i viaggi in autobus di Roberto Fico.

Un governo del cambiamento potrà certamente fare uso di queste strategie, empiricamente molto forti, per segnare una discontinuità dal passato; ma poi si dovrà misurare con le politiche vere e proprie e con un contratto che si propone di intraprendere scelte precise. 
L’esecutivo di Conte potrebbe nascere sotto molte polemiche, alcune delle quali inconsistenti. La ritualità costituzione per la formazione del governo non è stata stravolta: sono stati invertiti i passaggi; si è iniziato cioè, prima dal programma per poi scegliere il Presidente del Consiglio con il ruolo fondamentale del Presidente della Repubblica che, già dal primo incontro, ha indirizzato Giuseppe Conte. Se sarà esecutore attuerà un programma frutto di un compromesso parlamentare fra due forze politiche elette. Se viceversa interpreterà il proprio ruolo utilizzando l’autonomia che la Costituzione gli fornisce, dovrà interfacciarsi con le due forze politiche che lo sostengono. In questo sarà un Presidente del Consiglio politico con ministri politici. Lo dimostra la spasmodica attenzione di Lega e Cinque Stelle alla formazione della squadra di governo. Attenzione da parte delle forze politiche che esiste anche quando non avviene in scena. 

Nel frattempo abbiamo scoperto che gli avvocati difendono i loro clienti: grazie all’opposizione al governo giallo-verde siamo potuti giungere a questa grande scoperta. Il Presidente incaricato avrebbe infatti difeso una famiglia che voleva accedere al metodo Stamina, poi dichiarato infondato scientificamente. Non sembra un indicatore delle idee politiche di Giuseppe Conte: sembra piuttosto  la conseguenza del mestiere svolto prima di essere indicato come inquilino di Palazzo Chigi. Se questo è un assaggio dell’opposizione alla quale dovremo assistere nei prossimi mesi, prepariamoci a scoprire anche che la terra è rotonda, che gira intorno al sole, e che esiste l’acqua calda. 

Nessuna osservazione politica. Ad esempio sarebbe potuto essere importante incalzare Conte nel tentativo di estrapolargli un’opinione sui vaccini, o stimolarlo a non concedere il Ministero dell’Interno a Salvini, tutte sfere su cui un’opposizione seria potrebbe lavorare mettendo in luce le criticità concrete che potrebbe avere il governo di Lega e Cinque Stelle. Forse però, per interpretare decentemente il ruolo fondamentale dell’opposizione, bisognerebbe essere partiti in salute, robusti e consapevoli del compito da affrontare nei prossimi mesi. Lo spettacolo dell’Assemblea del Partito Democratico fa intendere come da quella voce non possano uscire idee politiche alternative perché non è possibile produrle visto l’impegno snervante nel tenere in vita un malato terminale. Nell’altro campo c’è un patrimonio ben più importante da mantenere integro piuttosto che notare come Salvini abbia più volte sbagliato stanza mentre Di Maio stava scrivendo il programma.
Abbiamo quindi un governo politico senza un’opposizione che sappia interpretare il ruolo scelto anche con prepotenza in certi casi. Abbiamo un governo al quale verranno contestati i fazzoletti sporchi nel taschino della giacca. 
Dobbiamo augurarci che il cambiamento non sia solo nella comunicazione ma che rimetta al centro dell’agire politico la persona. Il rischio più grande è che, una volta insediatosi, Conte si faccia pervadere dall’élittarismo e perda progressivamente la spinta al cambiamento.  

domenica 20 maggio 2018

Il post ideologismo a Palazzo Chigi

Immagine di Palazzo Chigi

Forse siamo piombati di colpo nel post ideologismo. Forse l’inizio della terza repubblica non corrisponde alla modifica degli assetti istituzionali, ma all’affermazione del superamento dell’ideologia. O meglio a cancellare i diritti d’autore sulle idee accettando il principio secondo cui le idee sono di tutti e, a volte, chi utilizza strategie migliori può affermare ciò per cui ti sei battuto per anni. Se questo è vero sarà altresì necessario rivedere anche il ruolo dell’opposizione: sì perché, o ci si pone contro le proprie stesse idee o si accetta di usare qualche buona parola contro gli avversari di una vita che adesso sembrano affermare molte di quelle idee che sostenevi. 

 Tutto questo ragionamento me lo sono posto dopo aver letto il contratto di governo fra Lega e Movimento Cinque Stelle. Siccome ha ricevuto critiche dai potenti, dai cosiddetti poteri forti, mi sono incuriosito e l’ho scaricato. Indipendentemente da quello che penso io, consiglio a tutti di leggerlo per informazione. Non si tratta di equipaggiarci per diventare ultras dell’accordo di governo, né tantomeno di allenarci per un’opposizione pregiudiziale; si tratta di leggere qualcosa che molto probabilmente consisterà in quello che il prossimo governo tenterà di attuare.

Con mia grande sorpresa, e con molta rabbia lo ammetto, ho riscontrato molti parti del contratto condivisibili e auspicabili. Se scrivessi il contrario smentirei molti articoli scritti in passato e molte delle proposte contenute nel programma della lista che ho votato il 4 Marzo. Non volendo cambiare le mie idee solo perché espresse anche da due forze politiche molto distanti da me, devo constatare di concordare con molte proposte contenute in quel contratto. Ciò non significa che sposi l’intero contratto, il quale contiene partiti ammiccanti al liberismo, ma questa alleanza fra Lega e Cinque Stelle non mi spaventa: si dovrà verificare come attueranno ciò che hanno scritto. Trovo questo alla base della politica che deve rimanere politica, non diventando amministrazione. Senza promesse, senza impegni, la politica muore: si ferma non sognando più. Si può essere contrari a un determinato sogno e proporne un altro; tuttavia non si può pretendere che si smetta di sognare perché altrimenti verrebbe meno l’agire politico: potremmo riempire le stanze del potere di calcolatori elettronici, risparmieremmo sicuramente denari. 

Ad esempio non credo sia una bestemmia affermare di utilizzare il deficit per finanziare politiche. Un tema centrale di molti programmi della Sinistra ripreso nel contratto di governo fra Salvini e Di Maio. Se affermassi di non essere d’accordo non sarei coerente con quanto detto in altri ambiti. Semmai mi mangio le mani pensando che questo stesso tema lo argomentavo da Sinistra e adesso è interpretato dalla destra. Che sia necessario intraprendere delle forzature in Europa, lo dicevamo due mesi fa nei comizi promuovendo un progetto di sinistra. Che sia necessario abolire la legge Fornero l’ho scritto quando ho dichiarato di votare Potere al Popolo. Che sia necessario adottare misure di controllo sulle forze dell’ordine con telecamere sulle uniformi, lo affermo da anni. Ecco, mi sorprende semmai vederlo scritto su un programma di governo di una forza politica che ha portato in Parlamento Gianni Tonelli, colui che aizzava la standing ovation per i poliziotti che ammazzarono Federico Aldrovandi. Tuttavia se manterranno questa promessa sarà sicuramente positivo. Così per molte altre tematiche come l’ambiente, la sanità, la disabilità, la scuola. 
Quello che deve preoccupare è come il prossimo governo possa essere il colpo finale per la Sinistra italiana. Se Di Maio, colui che indiscutibilmente sta tirando il carretto, riuscirà ad attuare parte di quanto scritto in quelle 39 pagine, la Sinistra può comprarsi la canna da pesca e passare i prossimi vent’anni al lago. Non lo scrivo ironicamente: lo scrivo con grande preoccupazione in quanto, fra molte proposte condivisibili, ci sono misure discutibili come la flat tax, un’approccio ai fenomeni migratori che non tiene conto di molti elementi, un punto sulle carceri ambiguo, un giudizio sulle grandi opere che lascia la porta socchiusa alla TAV. 

La nuova ideologia del post ideologismo è arrivata e sta per sedersi a Palazzo Chigi fra molte critiche e molti aggettivi che rischiano di non identificare bene il problema. La sfida dei contraenti sarà quella di trasformare il contratto di governo in programma politico: questa operazione permetterebbe di modificare in corsa misure e idee a seconda della direzione del vento: cosa che sarebbe impossibile nella concezione privatistica di contratto, la quale obbliga i firmatari a eseguire quanto scritto. Riusciranno in questa impresa?

mercoledì 16 maggio 2018

Ogni bozza è provvisoria

Immagine Di Maio e Salvini

L’annuncio di un governo neutrale sembra proprio aver riacceso la macchina degli accordi politici fra i partiti. Da molti giorni Lega e Cinque Stelle sono riuniti per stendere un “contratto” di governo che percepisca i temi posti da entrambe le forze politiche in campagna elettorale. 

Nonostante la spasmodica curiosità per i punti che Lega e M5S stanno scrivendo, ogni operazione di spionaggio nel tentativo di carpire qualche punto del programma di governo è piuttosto inutile. Utile forse a riempire le trasmissioni di infotainment, ma assai poco funzionale a fornire informazioni precise su cosa farà l'eventuale nuovo governo. Sarebbe molto meglio attendere la stesura definitiva che sia la Lega che il Movimento Cinque Stelle, pur con canali di sostanziale differenza, sottoporranno ai propri elettori. 

Le indiscrezioni uscite, e già invecchiate, hanno solo alimentato la focosa opposizione che in tanti non vedono l’ora di fare al grido di “populisti!”. Adesso come in campagna elettorale si utilizza l’argomento del populismo come pretesto per un’opposizione pregiudiziale. Ma siamo sicuri che Lega e Cinque Stelle siano forze populiste? Fin adesso queste forze hanno mostrato altre caratteristiche ma veri segnali di populismo ancora no. Della Lega possiamo dire che sia razzista, xenofoba, con tratti antieuropei: tutto ciò sarebbe sufficiente per un’’opposizione sui temi. Sul Movimento Cinque Stelle potremmo mettere in evidenza l’eccessivo democraticismo che a volte cozza com il dettato costituzionale. Sono, con sfumare e gradi diversi, forze antisistema. Tuttavia, il populismo non è questo: è un termine complesso che rischia di essere sminuito se si continua ad utilizzarlo come indumento per tutte le stagioni. Senza considerare l’effetto contrario che si ottiene quando Lega e Movimento Cinque Stelle, forze antisistema, vengono definite populiste da chi è considerato dall’opinione pubblica emblema del sistema. Seguendo questa logica le dichiarazioni provenienti dall’Unione Europea secondo cui sarebbero arrivati i “barbari” a Roma riferendosi alle due controparti del contratto di governo, assomigliano a un autosabotaggio studiato nei minimi dettagli. Se lo scopo era quello di fare salire la preoccupazione nei confronti di Di Maio e Salvni, con le sue dichiarazioni il Vicepresidente della Commissione Europea ha invece fornito un ottimo appiglio politico per la nascita di questo governo. Un esecutivo del cambiamento: così lo definiscono i due futuri alleati. Quando il sistema, in questo caso rappresentato dall’Unione Europea, attacca l’accordo non fa altro che rinvigorire il fuoco antisistema che brucia nei corpi di Di Maio e Salvini. 

Molti sono i temi presentati in campagna elettorale da modellare sul fattibile tenendo fede ai principi generali. Una Flat tax a scaglioni? Un Reddito di Cittadinanza meno corposo e meglio vincolato? Una politica economica in deficit sfidando apertamente l’Unione Europea? Cosa rientrerà nella prossima legge di bilancio? Considerato il localissmo della Lega, sarà rimpinguato ad esempio il fondo di solidarietà per gli enti locali? Saranno queste le questioni che si scopriranno fra poco e contro cui, chi sceglierà l’opposizione, si dovrà cimentare. Immaginare un libro dalla bozza è un esercizio legittimo senza però un’utilità. Conviene attendere l’uscita in libreria. 

giovedì 10 maggio 2018

Il governo frutto della tigna

Immagine di Palazzo Chigi

Se l’annuncio del governo neutrale è stata una tattica utilizzata dal Presidente Mattarella per provocare una reazione dei partiti in stallo, sembra aver centrato l’obbiettivo. Lega e Movimento Cinque Stelle si sono ringalluzziti procedendo a passi spediti e decisi verso l’accordo di governo.

Entrerà sicuramente a far parte del lessico politico “benevolenza critica”: l’atteggiamento che terrà Forza Italia nei confronti del probabile governo Salvini-Di Maio. Per la vita parlamentare questo atteggiamento si dovrà concretizzare in un’astensione alla Camera dei Deputati e un non voto al Senato dove, ricordiamo, l’astensione equivale a voto contrario. Ciò permetterà di tenere in piedi il Centrodestra: coalizione finta a livello nazionale ma strategica per la prosecuzione degli accordi sui territori. 

Mentre si sta fermi il mondo si muove e non sempre quello che accade è merito di chi lo fa accadere, in alcuni casi è demerito di chi si è immobilizzato sposando la logica del tanto peggio tanto meglio. Il Partito Democratico, che assomiglia sempre più a un malato terminale che tenta a fatica di resistere a quello che sarà il suo non fausto futuro, finalmente potrà fare opposizione sempre che ne sia capace. Non sarà dimenticato però che è per demerito dei Dem, per quella scelta inspiegabile di non fare politica, che Salvini e Di Maio formeranno un governo con un programma di destra. Non potrà passare inosservato come il PD, con il suo 18%, ha rifiutato il governo cedendo il posto alla Lega con il 17%. Potranno ripetere finché vorranno la cantilena dell’incompatibilità con il Movimento Cinque Stelle: un pretesto che vuole nascondere il comportamento tignoso e irresponsabile di chi non si è voluto neanche sedere al tavolo programmatico. La caratteristica post ideologica del Movimento Cinque Stelle poteva essere la chiave di volta del Partito Democratico per costruire qualcosa basato su valori diversi da quelli messi sul tavolo da Salvini. 

Il governo giallo-verde nascerà da una grande possibilità chiusa pregiudizialmente in uno scatolone e riposta negli scantinati del Nazzareno. Gli elettori del PD manderanno dei segnali il 10 Giugno? Chissà, lo scopriremo solo vivendo. Quello che è certo è che se nascerà davvero un governo tendente alla destra estrema, razzista e xenofoba, Matteo Renzi non potrà affermare di aver fatto di tutto per evitarlo. Una gigantesca macchia per chi dice di essere un leader del Centrosinistra.

martedì 8 maggio 2018

Il governo morto nell'incubatrice


Immagine del Palazzo del Quirinale

La novità è il governo di transizione. Dopo il terzo giro di consultazioni, il Presidente Mattarella ha messo in campo l’ipotesi di un governo neutrale facendo appello alla responsabilità dei partiti. Si tratterebbe di un esecutivo formato da alte personalità distanti dalla scena politica alle quali il Presidente della Repubblica chiederebbe l’impegno di non presentarsi alle elezioni. Con questo governo Mattarella ipotizzerebbe di affrontare le urgenze che il Paese avrà da qui a Dicembre.

Tuttavia l’idea di Mattarella sembra essersi smontata già nel Salone alla Vetrata, dopo poco tempo dal suo intervento. I due partiti maggioritari Lega e Movimento Cinque Stelle infatti hanno subito rigettato l’invito al mittente derubricando la proposta del Presidente della Repubblica, come non rispettosa dell’esito elettorale. Il governo di transizione pare quindi avere solo l’appoggio del Partito Democratico che, sancendo la sua schizofrenia galoppante, si è detto disponibile a sostenerlo. Ad esso si potrebbe aggiungere Forza Italia che non è pronta al voto in estate tuttavia, questo appoggio incrinerebbe solo i rapporti fra Berlusconi e Salvini senza portare a nessun risultato. Sì perché, anche ipotizzando un’alleanza PD-Forza Italia, non ci sarebbero i numeri sufficienti a concedere la fiducia al nuovo governo.

Tutto ciò senza considerare accordi in stile prima repubblica con i quali un governo di minoranza sarebbe possibile grazia all’astensione e al non voto degli oppositori. Questo meccanismo, che appassionerebbe chi scrive, non sarebbe coerente con gli stili dei due partiti arrivati primi il 4 Marzo e che hanno tutto l’interesse a ricominciare una campagna elettorale scornandosi fra loro. Di conseguenza chi ha riposto la tessera elettorale nel cassetto la ritiri fuori perché, per demerito di partiti politici che non vogliono fare quello per cui esistono, si tornerà a votare presto. 

Se si sciogliessero subito le camere si potrebbe ipotizzare un voto a Luglio prima delle ferie agostane. Un voto che spazzerebbe via come un tornado la Sinistra, il PD, per polarizzare i due nuovi schieramenti della terza repubblica Lega e Movimento Cinque Stelle. Poi però? Salvini dovrebbe fare bottino pieno nel campo del Centrodestra per imporsi su Berlusconi e fare l’accordo con Di Maio. Se non andasse così si ripresenterebbe lo stesso scenario con un bisogno impellente di politica: l’arte dell’accordo.

domenica 6 maggio 2018

Il "buon comportamento" a scuola paga

Immagine di repertorio

Che vivessimo in una società liberista lo si era capito. Che l’attuale politica italiana fosse lanciata verso l’ultra liberismo si sapeva, ma che questa cultura venisse insegnata agli studenti delle scuole pubbliche non era stato ancora dichiarato esplicitamente.

A pensarci è un istituto tecnico di Arezzo stabilendo che pagherà gli studenti che nel primo quadrimestre avranno registrato un voto medio del sette e mezzo e un voto in condotta del 9. Questo combinato disposto farà accedere gli studenti a un premio che può andare dai 100 ai 150 euro il quale sarà consegnato, in perfetto stile USA, in una cerimonia difronte ai compagni. 

Come sarà finanziato tutto ciò? E’ interessanti come le fonti di finanziamento vengano reperite sfruttando elementi dei provvedimenti sulla scuola del Governo Renzi. In parte con i fondi destinati alla comunicazione della scuola e, il restante, con alcune sponsorizzazioni da parte di aziende dell’aretino: pratica legittimata con la riforma della “Buona Scuola”. Molte delle aziende sponsor del premio sono le stesse presso le quali l’istituto manda i propri studenti per l’alternanza scuola-lavoro: altra iniziativa di Matteo Renzi Presidente del Consiglio che, invece di regolamentarla perché fosse realmente un’attività formativa per gli studenti, ha aperto intere praterie allo sfruttamento. 

Se finora la “Buona Scuola” ha spinto la competizione fra insegnanti svilendo il grande scopo generale per il quale si è insegnanti; adesso si passa agli studenti estendendo lo stesso clima di gara anche fra chi dovrebbe essere educato, proprio dalla scuola superiore che agisce sul periodo di formazione della coscienza dei futuri cittadini, alla solidarietà e a tutti quei valori fondanti di una società eticamente giusta.
La scelta dell’istituto aretino non può essere giustificata da nulla: né dal bullismo né da qualsiasi altro problema sociale stia colpendo la scuola in questo momento storico. Con tale iniziativa si manda il messaggio sbagliato secondo cui il “buon comportamento” sia funzionale ad una ricompensa economica; oltre a creare disparità fra studenti. La media alta non è sempre indicatore di qualità della persona, così come non lo è il voto alto di condotta. Porre un obbiettivo che a molti potrebbe far comodo conseguire per altre ragioni non legate al sapere, come ad esempio guadagnare qualche soldo per le proprie esigenze, mette a rischio il rapporto fra studenti, l’integrazione e la solidarietà che si deve sviluppare fra compagni di classe. Se difendere un compagno implicasse un’abbassamento del voto di condotta, si accenderebbe immediatamente l’individualismo: pessimo ingrediente nell’affrontare un quinquennio in una classe: luogo nel quale si trascorre la maggior parte del tempo.

Ci troviamo difronte alla conseguenze di scelte politiche precise che stanno guidando la cultura in una certa direzione. Le responsabilità di tale deriva, che dal caso di Arezzo potrebbe essere estesa ad altre realtà scolastiche, ce l’ha una certa politica dell’essere smart, poco “schizzinoso” e della competizione che irrobustisce. Tutto il contrario di quanto una scuola pubblica dovrebbe fare seguendo disposizioni costituzionali precise. 
Solitamente la scuola finisce in slogan per campagne elettorali come il luogo di formazione dei cittadini del domani. Poi però sembra ci si dimentica di queste parole creando le condizioni perché nella scuola entrino gli stessi elementi che rendono la società iniqua, inquinata da una cultura utilitarista oscurantista dei valori etici e umani.