Le stiamo attendendo da tempo e finalmente stanno arrivando. Questa è una delle certezze che abbiamo.
Le prossime elezioni politiche avverranno in un clima pericoloso e deleterio, nel “piattume” programmatico. Il clima è pesante: le élite che hanno governato in questi cinque anni non sembrano aver percepito i segnali che i cittadini gli hanno mandato. Nella sfiducia più totale dell’elettorato, i primi approcci alla campagna elettorale sono sconfortanti: le idee e i programmi lasciano spazio al terrorismo reciproco delle forze politiche. Nella condizione in cui ci troviamo saranno gli estremi a movimentare la passione politica, il centro sarà troppo impegnato a far crescere il Movimento Cinque Stelle grazie al tema che sembrano avere scelto all’unisono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Quando ci si prepara ad una campagna elettorale bisognerebbe ricordare l’assetto costituzionale nel quale ci si muove. Il nostro è una democrazia parlamentare nella quale la rappresentanza è l’elemento centrale: il potere legislativo spetta al Parlamento che è l’istituzione per la quale votiamo. Questo elemento è offuscato dal desidero di governabilità che, da un po’ di tempo a questa parte, sembra essersi impossessato della politica. Nonostante quello di cui alcuni esponenti politici sono convinti, sarà il Parlamento che eleggeremo. Più che una campagna sulle persone, c’è bisogno di una campagna sulle idee. Una campagna in cui, le forze politiche candidate a rappresentare i cittadini, raccontino che idea hanno della prospettiva del Paese. La ricerca del governo verrà dopo; non può essere l’oggetto della proposta elettorale.
La narrazione del voto utile, che è destinata a essere il ritornello di una prossima campagna elettorale, configge con il principio di rappresentanza. Non ci può essere un voto utile, ci sono voti rappresentativi. Il voto utile è un magnifico pretesto per non avere un’idea da proporre. Il voto utile non consente un vero confronto, pone le idee su piani differenti.
La prossima legislatura si potrebbe passare a smantellare quanto fatto dagli ultimi governi e a portare un progetto prospettico che vada a toccare la condizione delle persone. I dati e le variazioni percentuali lasciamoli agli statistici, pensiamo piuttosto a come vivono le persone. Non importa soltanto avere un lavoro, ma importa anche quali sono le condizioni di quel lavoro. Non importa solo la variazione decimale dell’occupazione, importa anche come quel decimo è costretto a lavorare. Quali saranno le prospettive del lavoro: dovremo diventare tutti scienziati per programmare le macchine che ci sostituiranno, o possiamo pensare di gestire il progresso?
Quale sarà il modello di welfare del futuro: ci trasferiremo in America dove ci si cura strisciando la carta di credito, o vogliamo incentivare lo stato sociale stabilendo che esiste una spesa pubblica positiva? Poi i diritti civili, una legge sul reato di tortura da riscrivere; le carceri con un cambiamento della cultura punitiva; la cittadinanza a ragazzi nati in Italia ai quali si sta rispondendo che il loro diritto forse verrà calendarizzato nell’ultimo giorno di legislatura.
In questa dimensione ci si dovrà muovere, e a poterlo fare sono solo le forze radicali: quelle che credono ancora nella rappresentanza e in un’idea di società. C’è un disperato bisogno di tornare a parlare, a proporre qualcosa che parli alle persone e non alle banche o alla UE. C’è un disperato bisogno di considerare le donne e gli uomini, non come materiale per statistiche, ma come esseri umani con una qualità della vita di cui la politica si deve occupare.
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