venerdì 8 dicembre 2017

L’appello



Sul finale di questa legislatura nell'elenco delle cose non fatte non potrà mancare la legge sul reato di tortura. Se prima era una constatazione adesso è un fatto: l’ONU ha bocciato il testo approvato dal Parlamento indicando corpose modifiche. 
Il Comitato contro la tortura ritiene che la definizione del reato disegnato dalla legge approvata dall’Italia sia “incompleta” in quanto non contiene lo scopo dell’atto in questione. Inoltre ritiene che sia assente il riferimento all’autore del reato, con attenzione ai pubblici ufficiali, e che il testo contenga una definizione significativamente più ridotta del reato rispetto a quella riportata nella Convenzione introducendo, inoltre, una soglia più elevata dello stesso. 

Si tratta evidentemente di un fatto imbarazzante, soprattutto dopo l’atteggiamento saccente con il quale, i relatori della legge, hanno risposto alle critiche nel momento dell’approvazione. In quell’occasione intervenne il magistrato che si occupò della macelleria del G8 di Genova; disse che il testo in esame sarebbe stato inapplicabile ai fatti del 2001. Il Partito Democratico in quella sede, per bocca del Senatore Vazio, rispose che si sarebbe potuta applicare perfettamente facendo intendere l’attacco al magistrato.

Ci sarebbe da metterla in politica se non fosse che si sta parlando di un tema che tocca la carne viva delle persone. Mi viene il franco sospetto che i relatori di quel provvedimento non abbiano mai ascoltato i parenti delle vittime di tortura. Sennò non li avrebbero umiliati approvando una legge pericolosamente ridicola. Se avessero letto dei casi di tortura accaduti in Italia, non avrebbero utilizzato giri di parole per non definire il reato; non avrebbero mancato di definire gli autori e non si sarebbero nascosti dietro a un’ipocrita alleanza di Governo. 

Quando ascolti le storie di chi dalla tortura c’è passato e non ne è più tornato, ti rendi conto di quanto lavoro ci sia da fare in tema di diritti umani. 
Di questo tema non ne riesco a fare una questione di colore politico, ne faccio una questione di civiltà. Sul tema dei diritti umani la politica ha insultato i parenti delle vittime: prima con le parole, poi con i fatti. E’ vergognoso come, dopo la bocciatura della legge da parte dell’ONU, nessuno abbia chiesto scusa. E’ vergognoso come stia aumentando il debito morale della politica nei confronti delle famiglie delle vittime.

Siccome ci troviamo in un momento di scrittura: la politica sta, si spera, costruendo qualcosa da presentare agli elettori; vorrei fare un appello. Si inserisca, fra le priorità politiche della prossima legislatura, l’approvazione di una legge seria sul reato di tortura. Un testo da scrivere insieme a chi dalla tortura è passato; una legge che tenga conto dei consigli di chi sta portando avanti battaglie immense per la ricerca della verità. Un disegno complessivo, che introduca controlli sui controllori; che impedisca il ritorno in servizio di chi commette atti di tortura indossando una divisa. Qualcuno si assuma l’impegno di rendere obbligatorio il numero di matricola sulle divise; di introdurre l’obbligo delle video camere per le forze dell’ordine in grandi manifestazioni. Qualcuno si impegni a scoperchiare l’omertà vigente.

E’ arrivato il momento di smetterla con i giri di parole. E’ il momento di iniziare a parlare di diritti umani come di una priorità, non come qualcosa da mettere alla fine dei programmi. Il ritardo è clamoroso: facciamo almeno il primo passo. 

giovedì 7 dicembre 2017

Il disperato bisogno di programmi


Le stiamo attendendo da tempo e finalmente stanno arrivando. Questa è una delle certezze che abbiamo.
Le prossime elezioni politiche avverranno in un clima pericoloso e deleterio, nel “piattume” programmatico. Il clima è pesante: le élite che hanno governato in questi cinque anni non sembrano aver percepito i segnali che i cittadini gli hanno mandato. Nella sfiducia più totale dell’elettorato, i primi approcci alla campagna elettorale sono sconfortanti: le idee e i programmi lasciano spazio al terrorismo reciproco delle forze politiche. Nella condizione in cui ci troviamo saranno gli estremi a movimentare la passione politica, il centro sarà troppo impegnato a far crescere il Movimento Cinque Stelle grazie al tema che sembrano avere scelto all’unisono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Quando ci si prepara ad una campagna elettorale bisognerebbe ricordare l’assetto costituzionale nel quale ci si muove. Il nostro è una democrazia parlamentare nella quale la rappresentanza è l’elemento centrale: il potere legislativo spetta al Parlamento che è l’istituzione per la quale votiamo. Questo elemento è offuscato dal desidero di governabilità che, da un po’ di tempo a questa parte, sembra essersi impossessato della politica. Nonostante quello di cui alcuni esponenti politici sono convinti, sarà il Parlamento che eleggeremo. Più che una campagna sulle persone, c’è bisogno di una campagna sulle idee. Una campagna in cui, le forze politiche candidate a rappresentare i cittadini, raccontino che idea hanno della prospettiva del Paese. La ricerca del governo verrà dopo; non può essere l’oggetto della proposta elettorale. 
La narrazione del voto utile, che è destinata a essere il ritornello di una prossima campagna elettorale, configge con il principio di rappresentanza. Non ci può essere un voto utile, ci sono voti rappresentativi. Il voto utile è un magnifico pretesto per non avere un’idea da proporre. Il voto utile non consente un vero confronto, pone le idee su piani differenti.

La prossima legislatura si potrebbe passare a smantellare quanto fatto dagli ultimi governi e a portare un progetto prospettico che vada a toccare la condizione delle persone. I dati e le variazioni percentuali lasciamoli agli statistici, pensiamo piuttosto a come vivono le persone. Non importa soltanto avere un lavoro, ma importa anche quali sono le condizioni di quel lavoro. Non importa solo la variazione decimale dell’occupazione, importa anche come quel decimo è costretto a lavorare. Quali saranno le prospettive del lavoro: dovremo diventare tutti scienziati per programmare le macchine che ci sostituiranno, o possiamo pensare di gestire il progresso?
Quale sarà il modello di welfare del futuro: ci trasferiremo in America dove ci si cura strisciando la carta di credito, o vogliamo incentivare lo stato sociale stabilendo che esiste una spesa pubblica positiva? Poi i diritti civili, una legge sul reato di tortura da riscrivere; le carceri con un cambiamento della cultura punitiva; la cittadinanza a ragazzi nati in Italia ai quali si sta rispondendo che il loro diritto forse verrà calendarizzato nell’ultimo giorno di legislatura.

In questa dimensione ci si dovrà muovere, e a poterlo fare sono solo le forze radicali: quelle che credono ancora nella rappresentanza e in un’idea di società. C’è un disperato bisogno di tornare a parlare, a proporre qualcosa che parli alle persone e non alle banche o alla UE. C’è un disperato bisogno di considerare le donne e gli uomini, non come materiale per statistiche, ma come esseri umani con una qualità della vita di cui la politica si deve occupare.

domenica 3 dicembre 2017

Neofascismo. Vomito a cui va posto un argine

Immagine a titolo esemplificativo
La cronaca di questi ultimi mesi dovrebbe far accendere una seria attenzione sulla galassia nera presente in Italia. Da decenni qualcuno va dicendo che fare memoria non serve più; che ormai il ventennio fascista rientra nel passato remoto. Tutta questa narrazione viene smentita platealmente dai fatti che continuano a susseguirsi nel Paese, che evidenziano la presenza di forze neofasciste dalle attività sdoganate.

Pochi mesi fa gli ultras della Lazio usavano immagini di Anna Frank per “schernire” la tifoseria rivale. Poco dopo un calciatore, esultando per il goal del vantaggio sul Marzabotto, ha esibito il saluto romano indossando una maglietta con il simbolo della Repubblica di Salò. Nell’elezione del Consiglio municipale di Ostia, Casapound si è attestata al 7% entrando nell’assemblea. Pochi giorni fa, un portavoce di Forza Nuova intervistato dalla trasmissione “La Zanzara” su Radio 24, ha esordito con dichiarazioni negazioniste e apologete del fascismo. Non ultima l’irruzione, con atteggiamento squadrista, di Veneto Fronte Skinhead nella sede di Como Senza Frontiere.

Se interpretassimo tutti questi fatti come sconnessi fra loro, perderemmo di vista il quadro complessivo: un progressivo sdoganamento dell’ideologia fascista. Si sta diffondendo la normalizzazione dell’essere fascista. Mentre prima la galassia della destra nostalgica si rintanava in sgabuzzini, adesso stiamo assistendo alla sua esposizione platealmente pubblica. A questo si aggiunge il tentativo di concorrere al dibattito democratico. Gruppi neofascisti cercano i giornalisti, le telecamere per entrare nell’offerta politica democratica del Paese. E Ostia ne è l’esempio emblematico: Casapound, un movimento che richiama esplicitamente la cultura fascista con simboli e idee, ha concorso in elezioni democratiche godendo di visibilità e canali mediatici. Un movimento incostituzionale è entrato nel Consiglio municipale con il 7% dei consensi. 

Ci sono parecchi problemi che dobbiamo affrontare: il primo è sicuramente come, movimenti che contraddicono la Costituzione e che si vantano di stare nell’illegalità, non vengano chiusi applicando le leggi di cui siamo dotati. Un secondo problema è interrogarsi sulla legittimità di dare spazio a dichiarazioni provenienti da questi movimenti. Pensando all’intervista de “La Zanzara” al portavoce toscano di Forza Nuova, ci si potrebbe domandare ad esempio se dare spazio a quelle frasi negazioniste e palesemente inneggianti al fascismo sia legittimo. Un terzo problema è di carattere lessicale: dobbiamo parlare di fascismo e di neofascismo sulla stampa, all’interno dei media, all’interno degli spazi politici e democratici. Non è più possibile considerare il neofascismo come folclore. Non è accettabile che il leader della Lega Nord, forza politica che concorre in elezioni democratiche, definisca “ragazzi” squadristi che entrano in un’assemblea interrompendola leggendo un proclama. Dobbiamo ritornare a utilizzare termini appropriati per definire la realtà, discutendone nelle assemblee elettive, promuovendo azioni che vadano a stigmatizzare e condannare il vomito fascista a cui assistiamo. Utilizziamo gli strumenti di cui siamo dotati per impedire la normalizzazione di idee incostituzionali. 

Non sono avvezzo ad allarmismi, provo sempre a non drammatizzare le situazioni ma, in questo caso, è la cronaca a parlare. A noi la scelta di considerarla come insieme di “ragazzate” o come un fenomeno preoccupante a cui porre un argine.