giovedì 18 maggio 2017

Sull'esternalizzazione del servizio di farmacia comunale di Sasso Marconi




Nell'ultima seduta del Consiglio Comunale di Sasso Marconi si è discussa la scelta della concessione come modalità di gestione della farmacia comunale. 
Per dovere di cronaca va ricordato che sul territorio di Sasso Marconi sono presenti tre farmacie di cui una a gestione pubblica. 
Facendo seguito a quanto dichiarato in sede di approvazione del bilancio 2017, ho espresso voto di astensione motivandolo con l'intervento che segue. 

"Ci troviamo oggi a discutere di un tema molto importante e politicamente significativo. E’ una rappresentazione efficace del momento storico nel quale viviamo: rappresenta l’emblema delle scelte a cui sono costrette le pubbliche amministrazioni. Assistiamo a una costante riduzione degli spazi decisionali e dell’autonomia dei Comuni con il rischio che gli Enti locali si trasformino in sterili uffici appaltanti abbandonando, così, la pianificazione dei servizi.

La farmacia comunale rientra secondo me in quel patrimonio al quale ho fatto riferimento in seduta di approvazione del bilancio 2017: rientra fra i “gioielli di famiglia” che non tutti i comuni hanno. Quando si parla del servizio di farmacia si tratta un tema molto sensibile che racchiude in sé qualità, professionalità e anche una progettualità politica sanitaria che ne detti la direzione. Ecco perché, in linea generale, credo che il servizio di farmacia debba essere tenuto d’occhio dai comuni. Da questo passa un rapporto con i cittadini in merito ai temi della salute, a progetti per l’incentivo o il disincentivo di pratiche. Insomma, avere una farmacia è politicamente un privilegio. 

Oggi si discute dell’esternalizzazione di questo servizio: devo dire su un testo che ritengo ben circostanziato nei doveri e negli obblighi del concessionario ma è altresì evidente che, per seguire la logica del mercato secondo cui il privato guarda alle sue tasche, la parte pubblica viene sfavorita per rendere appetibile il “prodotto”.  Allora molto probabilmente il privato avrà più spazio. Non ce lo dobbiamo nascondere. Su tre farmacie ne avremo tre a gestione privata, Pongo qualche punto interrogativo su questo.

Nel mio modo di pensare questa è una scelta politica, che può avere sì un motivo economico di risparmio come ormai tutti gli enti locali si trovano costretti a seguire, ma resta sempre una scelta politica.  E’ una scelta politica che deve necessariamente avere una diretta conseguenza: ci dobbiamo assumere l’impegno di controllare attentamente il concessionario. Ecco, per la mia concezione del tempo, non mi sento di garantire questo per i prossimi trent’anni perché si tratta di un tempo incontrollabile, almeno per quello che riguarda me. E siccome penso che il servizio di farmacia sia strettamente legato al welfare, credo che sia rischioso non avere il controllo diretto del servizio. Detto ciò comprendo bene la riflessione che ha portato a questa scelta, tuttavia nutro qualche riserva. Non sul lavoro tecnico fatto che mi sento di ringraziare, ma per la prospettiva che si intravede in Italia.  

Vorrei per questo ribadire il concetto che è facilmente estendibile anche ad altre realtà con responsabilità a più alto livello, è ora che iniziamo a dirlo chiaramente ai nostri concittadini: se continua così non immagino cosa saremo costretti a venderci. Adesso può essere una battuta ma in prospettiva non poi così tanto.
E’ un tema che ribadisco, bisogna iniziare a porre economicamente, politicamente e anche culturalmente. Insisto nel dire che una determinata spesa pubblica fa bene ai Paesi, ci permette di avere i servizi di cui godiamo ogni giorno ed è necessaria.

Nel dire ciò annuncio voto di astensione per pormi, e porre la parte politica che rappresento in questa sala, su una posizione d’osservazione nell’auspicio che, a questa scelta dovuta al contesto economico in cui ci troviamo, sia conseguente un controllo serrato del futuro concessionario del servizio di farmacia. Servizio nel quale la parte pubblica deve far sentire la propria voce come responsabile del benessere della comunità.".

venerdì 5 maggio 2017

Il legittimo massacro sociale



La sicurezza è un tema che coinvolge emotivamente ognuno di noi, è un’aspetto della nostra vita che ci provoca alcune reazioni. Tuttavia questo non può essere il pretesto per approvare leggi alquanto discutibili e pericolose. Se usassi il termine ”populista” che va di moda oggi, probabilmente definirei come tale la nuova legge sulla legittima difesa approvata dalla maggioranza alla Camera.
Il nuovo progetto di legge prevede la modifica del principio di legittima difesa già normato dal codice penale. Stando a quanto passato alla Camera si apre alla difesa personale, si legittima la risposta all’aggressione se questa avviene verso persone o beni. Facciamo attenzione alle parole perché esse costituiscono il fulcro di una legge: parlare di “difesa dei beni” apre le porte all’aggressività in qualsiasi tipo di situazione. Il ddl non si ferma qui: il nuovo testo sancisce la completa legittima difesa verso le aggressioni notturne. Se poi la reazione è causata da un turbamento psicologico della vittima, la reazione sproporzionata non è considerata colpa grave.
La legge prevede inoltre il pagamento delle spese processuali, da parte dello Stato, nel caso in cui l’imputato processato per un reato commesso per difesa risulti assolto.

Non si tratta di buonismo, termine del quale non si comprende la ragione, qui si tratta di capire e decidere in quale direzione si vuole fare andare la società. Con questo disegno di legge non si tutelano i cittadini, anche se è quello che si vuole far passare: si legittima lo “spara tutto”, la difesa fai da te, si crea lo “sfogatoio", il poligono di tiro con, al posto delle sagome di cartone, gli esseri umani. Perché siamo tutti esseri umani, con lo stesso diritto di vivere, e pensare che si possa legittimare un’aggressione di un altro essere umano deve preoccupare. Per quanto si possa reagire d’istinto in una situazione di pericolo, non è ammissibile avvallare come giusta la morte di un individuo. Mai.
Non è, come si sta ripetendo, una buona legge: è una pessima legge. E non sta nella narrazione di una maggioranza che si spaccia di Centrosinistra. La dobbiamo smettere di confondere le acque con le soluzioni bipartisan: la Sinistra ha un altro corollario, un altro concetto della vita umana. Non si permetta di spacciare questa scelta catastrofica come di Sinistra. Perché ci si dimentica degli altri aspetti della sicurezza abbandonati in un angolo, dimenticati nonostante la Costituzione ce lo ricordi. E’ un errore imperdonabile quello di mandare il messaggio che la sicurezza passi per l’armarsi tutti di più: significa assecondare un sentimento di rabbia, provocato da molti elementi, anziché tentare di arginarlo.

La sicurezza passa ad esempio dal ritrovare il vero senso del sistema penitenziario: le carceri non devono essere ghetti in cui rinchiudere chi non consideriamo degno di essere visto. Devono essere luoghi nei quali la rieducazione e il rispetto per i diritti umani siano al primo posto. Non è vero che chi riceve una pena la deve scontare in situazioni precarie, deterioranti e ghettizzanti. Capisco che per cambiare rotta bisognerebbe radere al suolo la quasi totalità delle carceri per ripensarne di nuove, con strutture che adempiano al loro vero ruolo; ma sarebbe una politica positiva invece di questa che incoraggia soluzioni vendicatrici.

E’ necessario modificare il modello culturale: chi sbaglia va introdotto in un percorso che lo riporti in società dandogli un ruolo, una prospettiva; non ammazzandolo o facendogli pagare quello che ha fatto con condizioni umane inaccettabili. Chi sbaglia mantiene comunque le prerogative di individuo e da tale va trattato.
Perché non si avvia questo percorso culturale invece di promuovere leggi per il letterale massacro sociale? Perché, se si condanna il populismo, poi si fa l’occhiolino a quello peggiore? Non ho alcun timore nell’affermare che il testo uscito dalla Camera sia profondamente di destra, perché porta una visione di destra della società. Questo mi sia concesso da chi crede che non esistano più queste categorie supportando chi confonde abilmente le acque.

Strizziamo ancora una volta l’occhio all’America premiando l’individualismo, sottraendo lo Stato, concedendo licenza di uccidere, di utilizzare armi, di farsi non giustizia da soli. E’ un momento drammatico nel quale la politica al potere non ha la benché minima visione della società. Una società che non ha bisogno di questi provvedimenti che stuzzicano la pancia. Forse, prima o poi, ce ne pentiremo. Il problema è che sarà sempre troppo tardi.

martedì 2 maggio 2017

il segretario. Di chi?



Si sono concluse le primarie del PD che hanno premiato Matteo Renzi incoronandolo segretario. Segretario e non del PD.

Mentre assistiamo alla narrazione entusiasta di questo sistema, ci sono alcuni elementi da sottolineare. Non è stato un congresso, non è stato neanche un momento di confronto: è stata una campagna elettorale e un voto. Un voto al quale hanno potuto accedere tutti gli elettori, bastava pagare due euro e dichiararsi di centrosinistra. Un sistema che continuo a percepire come paradossale in quanto permette di scegliere il segretario di un partito ai non iscritti.
Non ci troviamo in un sistema di governo presidenziale, e neanche in un sistema di premierato, quindi le primarie aperte perdono di significato e risultano inutili incrementando soltanto il personalismo in politica. Nel nostro sistema politico non ci si candida a Premier o a Presidente del Consiglio: esiste solo la candidatura al seggio parlamentare. Affermare quindi che si è scelto il candidato premier del PD, vale solo per lo statuto del Partito Democratico che non tiene conto in che sistema politico si trova tentando un’americanizzazione all’italiana.

L’intera narrazione di questo mese è stata fortemente americana: definiscono congresso una sfida che del “congresso” non ha nulla. Chi si candida alle primarie del Partito Democratico, non si candida a rappresentare il partito ma i suoi elettori personali che lo legittimano ad attuare un programma in una comunità della quale non conoscono neanche la struttura. Ecco perché il sistema delle primarie italianizzate punta a delegittimare l’iscritto che non ha un peso maggiore nella scelta dei suoi dirigenti ma è equiparato a un qualsiasi altro elettore pagante.
E’ inevitabile che così cambi il rapporto fra partito e segretario che, con questo metodo di nomina, non può invocare il “centralismo democratico” in quanto la platea dei votanti non è limitata ai soli iscritti ma all’intero elettorato. Matteo Renzi non è perciò il segretario degli iscritti del Pd, bensì è il “segretario” dei propri elettori convinti che potrà essere Presidente del Consiglio: cosa per nulla certa in un sistema parlamentare che si dirige verso un proporzionale.

Un Renzi vittorioso, senza avversari, ha atteso l’ufficializzazione dei risultati nel suo ufficio al Nazzareno convinto che sarebbe rimasto il suo. Per poi concludere con un discorso dal podio nel quale non ha ammesso di aver portato avanti politiche sbagliate rivendicandole tutte. Gli “avversari”. candidati per non lasciare solo il padroncino dell’ormai ex “ditta”, hanno già deposto le loro maschere del duello Sky entrando in quello che sarà il famoso, il più volte nominato, PDR.
Una dinamica prevista, anche se non con queste proporzioni, che renderà complicato il dibattito interno gestito dall’arroganza rinvigorita dal 70%.

Bisogna frenare l’entusiasmo di chi vorrebbe vendere il format ad altre forze politiche pronunciando anche alcune assurdità. Il sistema di primarie non è nella cultura politica italiana: attuarlo significa distruggere definitivamente lo status di iscritto e di partito solido. Tutti elementi che iniziano a scarseggiare nel panorama politico.