domenica 23 aprile 2017

Un atteggiamento inaccettabile che pretende una spiegazione

 

Alla vigilia del 25 Aprile è giunta la notizia che il Partito Democratico romano non parteciperà al corteo organizzato da ANPI perché ritenuto “divisivo”. Notizia che ha mosso molte polemiche immediatamente smorzate per rispetto del Giorno della Liberazione.
Per buona pace dei moderati miti mitigati, però, il problema resta ed è anche molto corposo e ingombrante. Sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista istituzionale.

Partiamo dai fatti. La comunità ebraica di Roma ha annunciato che non parteciperà al corteo organizzato da ANPI perché sarà presente una delegazione palestinese. ANPI ha fatto sapere, mostrandosi dialogante con la comunità ebraica, di non poter escludere la delegazione palestinese perché questo andrebbe a inficiare il valore del pluralismo dell’organizzazione. A questo punto la comunità ebraica di Roma ha deciso autonomamente di non partecipare alla manifestazione data la presenza della rappresentanza palestinese. Nessuno ha escluso nessuno. In tutto ciò il PD, per bocca dei suoi esponenti romani, ha dichiarato di non aderire perché giudica “divisiva” la manifestazione. Seguendo questa logica si evince che il PD volesse l’esclusione della delegazione palestinese, perché condizione necessaria per far aderire la comunità ebraica. La domanda sorge spontanea: in questo caso, la manifestazione sarebbe stata giudicata corretta?

Poiché è impossibile credere che il Partito Democratico non abbia capito la dinamica dei fatti,  siamo difronte a un clamoroso pretesto al fine di non aderire al corteo di ANPI. D’altronde, da quando ANPI ha aderito alla campagna per il No nel referendum costituzionale, il PD ha irrigidito il rapporto con l’Associazione.  Gli attriti ci sono e a mio parere saranno insanabili e tutto sommato non è un grave danno: di fatto ANPI è un’associazione apartitica ed è bene che mantenga un distacco dai partiti.

Quello che non è accettabile, politicamente e istituzionalmente, è il rifiuto di partecipare a un corteo importante, in un giorno significativo per il Paese, da parte di un partito che dice di riconoscere i valori della Costituzione, della Resistenza e dell’antifascismo nel proprio statuto. Questo è il tema politico da non insabbiare perché merita una riflessione da parte degli iscritti del Partito Democratico, da parte dei suoi elettori e da parte dei dirigenti nazionali. In politica gli atteggiamenti hanno il medesimo significato delle parole; e in questa vicenda ci sono sia atteggiamenti indecorosi che parole offensive e mistificatrici della realtà.
Il tentativo di smorzare la polemica per il giorno del 25 può avere un senso, a patto che dal giorno dopo si vada a fondo alla questione. Non si lasci cadere la polemica: si tratta di una questione seria capire che atteggiamento sceglie di avere il PD su questi temi. Perché, non si tratta più dell’imbarazzante atteggiamento nei confronti di ANPI che peraltro è il soggetto riconosciuto come autorevole sul tema della Resistenza, c’è bensì di mezzo il rispetto per il 25 Aprile. Giorno in cui si festeggia un evento storico immensamente grande e importante per il Paese, per le libertà, per la pace, per la democrazia. E se si crede in questi valori si scende in piazza a fianco degli antifascisti e  delle antifasciste.

Se si trovano pretesti imbarazzanti prendendo in giro i cittadini c’è un evidente problema che va chiarito nel rispetto dell’elettorato. Questione che meriterebbe un congresso concreto e non fluttuante, che si sa non avverrà affidandosi soltanto al vincitore trionfante del 30 Aprile. Per scongiurare la scesa del velo pietoso, sarà necessario che l’opinione pubblica punzecchi i rappresentanti nuovi, vecchi, futuribili del PD al fine di avere una chiara risposta. E’ impossibile, quanto inaccettabile, limitarsi alla motivazione pretestuosa comparsa sulla stampa. E’ inaccettabile per il rispetto che si deve al 25 Aprile e ai valori da esso espressi.

giovedì 13 aprile 2017

Le primarie: un’importazione che non fa i conti con il sistema politico italiano




La politica italiana sembra aver trovato una nuova trama di scontro: la battaglia, a colpi di dichiarazioni, fra Pd e il Movimento Cinque Stelle sulla democrazia interna ai partiti. Un argomento che potrebbe appassionare qualcuno ma che nasconde insidie per l’attaccante.

E’ palese come il Movimento Cinque Stelle sia un partito azienda, pigliatutto e con un sistema verticistico all’interno: lo slogan “uno vale uno” è stato consegnato alla storia per far posto al decisionista e proprietario Grillo. I fatti recenti hanno evidenziato come la macchina pentastellare abbia da oliare molti ingranaggi nei suoi anfratti se desidera occuparsi di politica senza scivolare su temi di organizzazione interna.

Mentre il Movimento Cinque Stelle, qualora non contravvenga al dettato costituzionale, rimane un partito con metodi interni discutibili; il sistema di primarie del Partito Democratico, fatto passare come esempio di democrazia interna, apre a non poche questioni.
Importato dagli Stati Uniti nell’ottica della famosa americanizzazione del mondo, configge con la cultura politica italiana. Il modello americano infatti si basa su un bipartitismo liberale che, contestualmente al presidenzialismo, fa risaltare lo strumento delle primarie come metodo di partecipazione degli elettori di élite che poi si affideranno ai grandi elettori per l’elezione del presidente.

In Italia, con il parlamentarismo, i partiti hanno un rapporto differente con l’elettorato e le istituzioni. Un ruolo di rappresentanza e di associazione che non prevede lo status di Premier, termine che non dovrebbe essere usato. In questo il Pd porta un elemento alterante e provocatore di atteggiamenti individualisti. Non è peculiarità italiana l’elezione del “capo del governo”, bensì quella di rappresentanti che portino il panorama sociale in Parlamento. E, in tale contesto, non è motivata questa attenzione spasmodica verso la scelta del segretario politico di un partito tanto da farlo scegliere all'intero corpo elettorale.

Le primarie italianizzate del Pd mettono in competizione diversi personaggi fra i quali scegliere il segretario politico. Ora, se questo avvenisse fra gli iscritti tesserati, una certa coerenza ci sarebbe anche se andrebbe evidenziata comunque la personalizzazione della politica, ma se lo si estende a tutto l’elettorato entra in gioco un’altro tema: quel segretario non sarà più il dirigente politico del partito ma diviene il “segretario” dei suoi elettori. La relazione cambia radicalmente: i partecipanti alle primarie aperte non sono più elettori del Partito Democratico ma, nel caso specifico, elettori personali  di Renzi, Orlando ed Emiliano.

All’interno di questa logica è poi impossibile chiedere il rispetto del vincitore: perché non sarà il segretario della comunità politica, bensì sarà l’eletto di un insieme indefinito di elettori dai quali prenderà la forza. Chiunque vinca non farà il segretario ma il leader di un gruppo di cittadini che mal s’integrerà con le dinamiche della vita di partito. La costituzione di veri e propri comitati, da non confondere con le tesi congressuali che sono elemento ben diverso, evidenziano una competizione accesa esterna al partito. Il voto degli iscritti di qualche settimana fa è insignificante, lo hanno detto anche gli stessi candidati, la vera partita si gioca il 30 Aprile. Da questa constatazione discende una domanda: qual’è il ruolo dell’iscritto? La mia personale risposta è radicale ma credo supportata dai fatti: nessuno. 


Anche se le previsioni sono sempre pericolose, molto probabilmente Renzi vincerà e sarà il prossimo leader dei suoi elettori e fan osannanti. Stesso discorso potrebbe valere per l’insipido Orlando e il rosa stinto Emiliano. La comunità del Partito Democratico, dentro alla narrazione maggioritaria che cozza con il parlamentarismo italiano, si troverà a essere contenitore del comitato vincente e poco altro. Considerazioni che andrebbero fatte prima di ergersi a modello nel dibattito pubblico. Perché, mentre il Pd sogna l'America, sta venendo meno ai molteplici compiti che ha un partito politico in Italia.