mercoledì 8 marzo 2017
Dopo l’8 Marzo
E’ arrivato anche quest’anno l’8 Marzo, staremo facendo discorsi pieni di parole importanti, con passione dicendo quanto sia importante l’eguaglianza fra uomini e donne, quanti diritti sono stati conquistati, e quante lotte sono state fatte. Non smetterò mai di chiedermi cosa ci accade allo scoccare del 9 Marzo quando abbandoniamo i discorsi sulle scrivanie e torniamo a vivere quotidianamente. Ci siamo indignati un giorno, può bastare.
Mentre gli altoparlanti delle aule emetteranno discorsi entusiasti, dati statistici, vorrei affrontare un tema dimenticato nonostante sia legge da molti anni. Il diritto all’aborto frutto di lotte, di impegno, per il quale bisognerebbe avere rispetto, viene maltrattato nel nome della coscienza personale. Un’assurdità per la quale un medico può rifiutarsi di effettuare l’interruzione di gravidanza se non la considera in linea con i propri valori. Un elemento di assoluta umiliazione che in alcuni casi porta anche alla morte di donne per le quali l’aborto è vitale.
Sia l’8, ma anche il 9, il 10, l’11 Marzo questo è aberrante. Il fatto che in Italia ci siano regioni nelle quali l’obiezione di coscienza sull’aborto arriva al 70%, è un’aberrazione. E’ un deficit enorme da colmare per rendere completamente attuabile un diritto umano, di civiltà.
Si tratta di una limitazione autorizzata alla quale si deve porre fine impedendo l’obiezione di coscienza almeno nelle strutture pubbliche nelle quali i servizi devono essere garantiti senza nessun discrimine.
Mi si perdoni la riflessione un po’ approssimativa ma, non si tratta di esprimere la propria opinione o la propria reazione a una determinata condizione, qui si tratta di completare un diritto incompleto, di renderlo totalmente attuabile. Se non si dovesse risolvere sul piano nazionale perpetrando questa assurda sordità, sarà indispensabile che le regioni seguano l’esempio del Lazio.
Recentemente dati ISTAT hanno mostrato il calo delle nascite: un fenomeno che ha spiegazione nella crisi profonda nella quale viviamo ma non solo. La disparità di trattamento creata dalla maternità sul lavoro è fenomeno frequente, che provoca un limite al desiderio di avere figli. La maternità è annoverata spesso fra l’elenco dei motivi di licenziamento, se poi ci aggiungiamo un welfare non felice per le future mamme, ci si accorge come sia complicata una maternità. Non servono imbarazzanti fertility day per incentivare la gravidanza, serve uno stato sociale adeguato che assista le cittadine e che non conduca alla scelta fra lavoro e essere genitore.
In alcuni discorsi non mancherà poi l’approfondimento sul lessico di genere che continua a essere monco. Gli manca un pezzo fondamentale per cui le parole abbiano un senso: il processo culturale che porti al rispetto fra uomo e donna valorizzando le differenze. E’ necessario prima lavorare per un rispetto della persona umana modificando un certo retaggio culturale che ancora è presente. Solo così si arriverà al ragionamento sul lessico di genere, magari anche spontaneamente senza aver bisogno di delibere che introducano nuovi termini, a volte forzando la lingua.
Regaleremo un fiore, simbolo delle molte lotte fatte, useremo tante belle parole, magari per un giorno non ci saranno notizie di donne uccise dal padrone ma il problema è quello che succederà dal 9. Se sapremo porre rimedio seriamente ai grandi problemi che ci sono in questo Paese, di disparità sociale, di violenza, di possesso renderemo omaggio all’8 Marzo, altrimenti sarà il solito giorno cerimonioso pieno di parole consegnate al vento.
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