giovedì 30 marzo 2017

Un po' di numeri su Sasso Marconi



E' stato approvato il bilancio di previsione 2017 del Comune di Sasso Marconi. Da un'analisi generale si osserva come, la progressiva diminuzione di trasferimenti dallo Stato, continui impietosa. A questo elemento a cui io propongo di dare molto peso, si aggiunge il mancato pagamento della TASI prima casa, abolita dal Governo Renzi, e dell'IMU prima casa. Un quadro che accomuna chi oggi si trova ad amministrare comuni dovendo far fronte al crescere della richiesta di servizi da parte dei cittadini coinvolti dalla crisi economica e di sistema presente nel Paese.
Vi propongo, per chi fosse interessato a un po' di numeri sul bilancio sassese, il mio intervento al Consiglio Comunale di approvazione del bilancio 2017.

"Leggendo questo bilancio mi è scaturita una riflessione su un tema che è bene cominciare a portare all’opinione pubblica. Penso sempre che qualcuno si incuriosisca al bilancio comunale e nel farlo, un cittadino, potrebbe interrogarci sui motivi di tanti piccoli tagli, diminuzione di spese, che questo bilancio presenta. E nel dire questo comprendo lo sforzo fatto nella redazione di questo bilancio. Non è una critica, per capirci. 

Siamo abituati a percepire il comune come l’istituzione più vicina ai cittadini: le amministrazioni comunali hanno in capo i servizi più sensibili e dei quali c’è sempre più bisogno. In qualche modo, ogni anno, si cerca di quadrare i conti. Si deve, per onor di cronaca, riconoscere che Sasso Marconi ha sempre mantenuto un alto standard di servizi ai cittadini.
Per fare questo ci vogliono le risorse, ci vuole la spesa pubblica contro cui contraddittoriamente, a volte, ci scagliamo.

In questi anni abbiamo assistito a un progressivo taglio dei trasferimenti statali contemporaneamente a un aggravamento delle condizioni sociali ed economiche dei cittadini che  perciò hanno sempre più bisogno dell’intervento dell’ente locale. Qui troviamo il primo problema: a fronte di un aumento della richiesta di aiuto da parte dei cittadini, vediamo un progressivo calo dei contributi statali. Preparando questo intervento mi sono imbattuto in un grafico molto esemplificativo: tratteggia l’andamento dei trasferimenti dallo Stato al nostro Comune dal 2009 al 2015. L’elemento preoccupante  che faccio notare è il progressivo calo degli introiti.  Dal 2016 al 2017, poi, vediamo un ulteriore calo.
Da un annetto a questa parte, per l’effetto di una scelta politica nazionale che non mi interessa qui adesso giudicare, i comuni non possono più contare sul contributo TASI per la prima casa che è stato abolito in compagnia di quello dell’IMU prima casa.  L’effetto sui numeri si osserva confrontando la TASI 2015, 2.005.436 euro, e quella del 2016, 835.058 euro che persiste anche nel 2017. Se poi si confronta la voce “Fondo di solidarietà e trasferimento 1° casa” si registra un calo dal 1.095.407,20 Euro del 2016 a 997.923,79 Euro di quest’anno.
La differenza mi sembra ben percepibile e, come possiamo immaginare, incide sulla minor spesa dell’ente. Il totale delle entrate da trasferimenti sono dunque passate da 1.126.151, 36 Euro del 2015 a 1.023.273, 26 Euro di quest’anno. 

Dopo aver citato tutti questi dati, sperando di averli riportati correttamente, mi pongo diverse domande: come potrebbe evolvere questa situazione? Il galleggiamento per quanto può continuare? Quando avremo malauguratamente buttato a mare tutti i nostri salvagenti, come procederemo? Il Comune di Sasso Marconi ha un patrimonio disponibile ma, anche ammesso che accettassimo di sacrificare qualcuno dei nostri “gioielli”, quando saranno finiti come procediamo? L’orizzonte è oscuro; si stanno chiedendo sacrifici ai comuni mentre altre strutture non sono soggette a restringimenti.  Ci delegano servizi senza poi procedere a un corrispettivo economico sufficiente a sostenerli. Credo che di questo se ne debba discutere, anche un po’ per demandare qualche responsabilità. Se il nostro compito è quello di guardare al futuro, possibilmente senza farci sostituire da uffici sterili erogatori di pochi servizi come qualche buontempone prima o poi potrebbe suggerire, bisogna che iniziamo a portare questo tema: se aumentano i bisogni, la centralizzazione delle risorse crea qualche disagio. Un problema di gestione quotidiana e un problema politico di programmazione e risposta a nuovi bisogni. 

Per concludere: leggendo la parte investimenti appare come, per il 2018, sia prevista la vendita di alcuni dei nostri “gioielli di famiglia” più importanti.
 La lettura che ne faccio mi porta a pensare che sia la conseguenza dolorosa della realtà del Paese che non fornisce più le risorse passate ma che, contestualmente, ha sempre più bisogno degli enti locali. 

Detto questo auspico che si giunga a una soluzione alternativa non orientata a depauperare il patrimonio collettivo esauribile che questo comune possiede. Perché, se fossimo costretti a venderci pezzo pezzo contestualmente a questo calo progressivo di risorse, imboccheremmo la rapida verso un’abdicazione della politica a favore della sterile tecnica."

martedì 21 marzo 2017

Il sindacato non si rottama



Con il risultato del 4 Dicembre la “politica” ha visto un popolo attivo, presente e reattivo per difendere i diritti sociali e costituzionali. E’ stata talmente potente la reazione da far ritrovare una certa soggezione, da parte dei governanti, nei confronti dell’istituto del referendum.

I tre milioni di firme raccolte dalla CGIL per i tre quesiti referendari sono un messaggio inequivocabile che i cittadini hanno mandato al Governo. Un messaggio chiaro che faceva pensare a un’altra batosta per la maggioranza disaffezionata al popolo. Così l’obbiettivo dei due quesiti promossi dalla Corte Costituzionale, è stato strategicamente anticipato dalla presa di posizione della maggioranza parlamentare che, pur di evitare il referendum, ha dato risposta alla richiesta dei cittadini. Con un decreto che si spera non nasconda sorprese, il Governo Gentiloni, ha abolito lo strumento dei voucher e ripristinato la responsabilità solidale negli appalti. Difficile sostenere che sia stata una scelta politica, quanto più una scelta strategica per scongiurare un risultato negativo nelle urne. Non ci si può dimenticare, infatti, le dichiarazioni fatte dal Ministro Poletti poco dopo il secondo giuramento con le quali invocava le urne per non andare a referendum.

Da questa vicenda si può evidenziare un importante elemento sociale. I tre milioni di firme raccolti hanno creato le condizioni perché il Governo si mettesse al riparo ascoltando la sollecitazione della CGIL sostenuta da una fetta considerevole di popolo. Di fatto i voucher sono stati aboliti ed è stata ripristinata una tutela importante per i lavoratori soggetti ad appalti. Dal 2018, il lavoro acquistabile in tabaccheria, non sarà più possibile aprendo, perché no, un dibattito su un contratto che tuteli il lavoro occasionale. Ma che lo faccia davvero.
Non è possibile, per onore di cronaca, affermare che sia merito del Governo e del Parlamento: certamente, se non ci fossero stati i milioni di firme raccolte dal sindacato, non ci sarebbe mai stato questo cambiamento.. Tutti i tentativi di rivendicazione di questa scelta da parte della  maggioranza sono inutili e abbastanza surreali; la realtà che non si vuole ammettere è che si è difronte a un risultato del sindacato, lo stesso sindacato che Renzi avrebbe voluto rottamare e che invece dimostra la sua importanza nelle lotte di tutela dei lavoratori.

Non è da dimenticare poi che la CGIL è protagonista di un’altra iniziativa: la Carta dei diritti universali del Lavoro presentata alla Camera. Un’importante proposta di legge che andrebbe a introdurre un nuovo Statuto dei lavoratori, aggiornato, comprensivo di nuove categorie di lavoratori e disegnato da chi mette la tutela del lavoro al primo posto.

Chi ha scientificamente provato a liberarsi del sindacalismo, dei rappresentanti dei lavoratori definendoli come soggetti appartenenti al passato non smart, deve fare i conti con una realtà diversa: una realtà nella quale i sindacati sono ancora necessari e giungono a importanti risultati.

lunedì 13 marzo 2017

La Leopolda lingottata e l’insulto alla Sinistra




Nel fine settimana si è svolta la Leopolda torinese con cui Renzi ha lanciato la propria candidatura alla segreteria del PD. Struttura simile alla Leopolda fiorentina: tavoli tematici per discutere del programma da proporre al leader, e interventi dei suoi fan. Un Renzi che in questa tre giorni si voleva riprendere dall’ultimo periodo burrascoso. Per farlo ha scelto l’imitazione del suo maestro politico avendo la presunzione di poterlo eguagliare. Gli stessi slogan, pronunciati dal legittimo autore Berlusconi, sarebbero risultati più credibili.

Una retorica umiliante volta alla distruzione di storie, valori, canzoni che Renzi non vuole portarsi dietro, perché non lo rappresentano. Un continuo svilimento di lotte storiche alle quali, lo smart leader, preferisce il modello Marchiane con cui si è più volte complimentato per il suo operato. Il prossimo leader del PD è stato chiaro: preferisce chi comanda, magari  chi delocalizza e paga le tasse all’estero, ai lavoratori necessitanti di tutele, welfare e diritti. 

Il leopoldino in trasferta a Torino ha utilizzato parole dalle quali è possibile tratteggiare il suo modello economico di riferimento. In più passaggi si è soffermato sul “gioco della vita” fatto di rilanci, come a evidenziare la positività del rischio. Stesso rischio che ritroviamo nella logica capitalistica della società contenuta nel Jobs Act. Quella logica secondo la quale bisogna essere multitasking, flessibili, imprenditori di sé stessi senza però mezzi, istruzione e possibilmente senza lagnarsi per i diritti. E’ quella logica secondo cui, siccome il lavoro sta diventando dei robot, non si prova a governare il processo limitandolo ma si pretende che tutti diventino ingegneri attraverso la “Buona Scuola” e l’alternanza scuola-sfruttamento. E’ questa la narrazione fatta in questi tre giorni dagli ottimisti renziani.

Non è mancata poi il pessimo tentativo di convincere che il modello renziano sia la Sinistra. Lo smart leader ha sottolineato marcatamente la propria distanza dai canti partigiani, roba da rottamati, che ha umiliato declinandoli a “macchiette”. Un insulto a tutti gli uomini e le donne che hanno combattuto per un’idea della quale si sente ancora il bisogno. 
E’ passato con la sua ruspa sopra la storia, alle lotte, ai diritti che quei canti ricordano; ha diretto il suo sfascio contro parte della storia di questo Paese. 

Quella di Renzi non è Sinistra, scegliete voi la miglior collocazione. Tuttavia non è sinistra perché la Sinistra non è un cartellino da appuntarsi all’occhiello della giacca ma è storia, passione, amore per le persone, per il rispetto. La Sinistra è giustizia, è eguaglianza, è lavoro, è ideale. La Sinistra sono anche quei canti, pregni di avvenimenti, che Renzi ha insultato. 

mercoledì 8 marzo 2017

Dopo l’8 Marzo


 
E’ arrivato anche quest’anno l’8 Marzo, staremo facendo discorsi pieni di parole importanti, con passione dicendo quanto sia importante l’eguaglianza fra uomini e donne, quanti diritti sono stati conquistati, e quante lotte sono state fatte. Non smetterò mai di chiedermi cosa ci accade allo scoccare del 9 Marzo quando abbandoniamo i discorsi sulle scrivanie e torniamo a vivere quotidianamente. Ci siamo indignati un giorno, può bastare.

Mentre gli altoparlanti delle aule emetteranno discorsi entusiasti, dati statistici, vorrei affrontare un tema dimenticato nonostante sia legge da molti anni. Il diritto all’aborto frutto di lotte, di impegno, per il quale bisognerebbe avere rispetto, viene maltrattato nel nome della coscienza personale.  Un’assurdità per la quale un medico può rifiutarsi di effettuare l’interruzione di gravidanza se non la considera in linea con i propri valori.  Un elemento di assoluta umiliazione che in alcuni casi porta anche alla morte di donne per le quali l’aborto è vitale.

Sia l’8, ma anche il 9, il 10, l’11 Marzo questo è aberrante. Il fatto che in Italia ci siano regioni nelle quali l’obiezione di coscienza sull’aborto arriva al 70%, è un’aberrazione. E’ un deficit enorme da colmare per rendere completamente attuabile un diritto umano, di civiltà.

Si tratta di una limitazione autorizzata alla quale si deve porre fine impedendo l’obiezione di coscienza almeno nelle strutture pubbliche nelle quali i servizi devono essere garantiti senza nessun discrimine. 
Mi si perdoni la riflessione un po’ approssimativa ma, non si tratta di esprimere la propria opinione o la propria reazione a una determinata condizione, qui si tratta di completare un diritto incompleto, di renderlo totalmente attuabile. Se non si dovesse risolvere sul piano nazionale perpetrando questa assurda sordità, sarà indispensabile che le regioni seguano l’esempio del Lazio.

Recentemente dati ISTAT hanno mostrato il calo delle nascite: un fenomeno che ha spiegazione nella crisi profonda nella quale viviamo ma non solo. La disparità di trattamento creata dalla maternità sul lavoro è fenomeno frequente, che provoca un limite al desiderio di avere figli. La maternità è annoverata spesso fra l’elenco dei motivi di licenziamento, se poi ci aggiungiamo un welfare non felice per le future mamme, ci si accorge come sia complicata una maternità. Non servono imbarazzanti fertility day per incentivare la gravidanza, serve uno stato sociale adeguato che assista le cittadine e che non conduca alla scelta fra lavoro e essere genitore.

In alcuni discorsi non mancherà poi l’approfondimento sul lessico di genere che continua a essere monco. Gli manca un pezzo fondamentale per cui le parole abbiano un senso: il processo culturale che porti al rispetto fra uomo e donna valorizzando le differenze. E’ necessario prima lavorare per un rispetto della persona umana modificando un certo retaggio culturale che ancora è presente. Solo così si arriverà al ragionamento sul lessico di genere, magari anche spontaneamente senza aver bisogno di delibere che introducano nuovi termini, a volte forzando la lingua.

Regaleremo un fiore, simbolo delle molte lotte fatte, useremo tante belle parole, magari per un giorno non ci saranno notizie di donne uccise dal padrone ma il problema è quello che succederà dal 9. Se sapremo porre rimedio seriamente ai grandi problemi che ci sono in questo Paese, di disparità sociale, di violenza, di possesso renderemo omaggio all’8 Marzo, altrimenti sarà il solito giorno cerimonioso pieno di parole consegnate al vento.

giovedì 2 marzo 2017

Questioni non affrontate



In quest’ultima settimana sono riemersi i grandi temi etici che dovrebbero arrovellare la politica. In questi casi l’informazione sta al gioco della politica: scoppia il caso, si tiene sui quotidiani per due settimane e poi si dimentica seguendo l’agenda della politica che evidentemente, di questi temi, non sente il bisogno di parlarne.
Prima con il bando della Regione Lazio per assumere due ginecologi non obiettori, poi con l’esperienza di Dj Fabo che è dovuto arrivare in Svizzera per vedere ascoltata la volontà di suicidarsi, sono stati riportati in superficie due temi importanti razionalmente insabbiati.

E’ difficile, se non impossibile, prendere le difese della politica dominante in questi casi, e non è assolutamente mia intenzione farlo. Siamo difronte a due realtà diverse ma accomunate dall’indifferenza da parte di una certa politica. Da un lato abbiamo il problema drammatico dei medici obiettori che impediscono l’attuazione di una legge su un diritto fondamentale per le donne; dall’altra abbiamo l’assenza di normative che regolino il diritto alla morte.  A differenza del primo, sul quale un testo c’è e servirebbero solo alcune modifiche per porre rimedio alla realtà, per il secondo non esiste una legge. I progetti di legge di cui sentiamo parlare, fra cui quello per l’introduzione del testamento biologico ripreso in mano sull’onda dell’emozione, non danno risposte al diritto assente al suicidio. Si tratta di un’altro tema, differente, che va affrontato in quanto è già nei fatti. Molte persone vanno a morire in altri Paesi, pagando e perseguiti dalla giustizia italiana che accusa chi li supporta in questa scelta. Una scelta che non si può pretendere venga capita, ma si deve pretendere venga rispettata introducendo gli strumenti per dare la possibilità di poterla attuare nel proprio Paese. Non importa che la politica comprenda le scelte personali del singolo, ma è indispensabile che dia risposte sulla giurisprudenza.

E’ un tema etico, e da tale richiede una discussione approfondita; attenzione però. che la discussione legittima non si sposti da che cosa chiedono i cittadini a che cosa ritengono giusto per sé stessi i legislatori. Questa sottile differenza è il punto centrale: perché si deve vietare qualcosa di richiesto per un credo del legislatore? Sui temi etici quasi tutte le opinioni sono legittime e rispettabili, tuttavia non devono trasformarsi in ostacoli nell’affermazione di diritti reclamati dai cittadini. Ecco perché sostengo che non si tratti solo di temi di coscienza; si parla di richieste dei cittadini sulle quali la politica deve esprimersi per il  benessere collettivo.
Sul tema del fine vita ad esempio, c’è un discorso di diseguaglianza economica da affrontare: perché le pratiche di fine vita all’estero devono creare disparità fra i cittadini? Il costo elevato provoca una discriminante di accesso che, se affrontata in Italia, sarebbe interessante sciogliere.

Non si incolpi il sistema istituzionale di questa sordità della politica perché sarebbe umiliante nei confronti dei cittadini. Si dica piuttosto che ci si trova difronte a una determinata politica non all’altezza per affrontare questi temi. Si dica che il principio di laicità dello Stato in Italia è ancora da sedimentare. S’incolpi la scarsa profondità del dibattito parlamentare che non consente la giusta civiltà per discussioni di temi alti. Non si banalizzino però questi argomenti affermando che i problemi sono altri. Ogni volta che avviene questo l’umiliazione dei cittadini aumenta.