venerdì 8 dicembre 2017

L’appello



Sul finale di questa legislatura nell'elenco delle cose non fatte non potrà mancare la legge sul reato di tortura. Se prima era una constatazione adesso è un fatto: l’ONU ha bocciato il testo approvato dal Parlamento indicando corpose modifiche. 
Il Comitato contro la tortura ritiene che la definizione del reato disegnato dalla legge approvata dall’Italia sia “incompleta” in quanto non contiene lo scopo dell’atto in questione. Inoltre ritiene che sia assente il riferimento all’autore del reato, con attenzione ai pubblici ufficiali, e che il testo contenga una definizione significativamente più ridotta del reato rispetto a quella riportata nella Convenzione introducendo, inoltre, una soglia più elevata dello stesso. 

Si tratta evidentemente di un fatto imbarazzante, soprattutto dopo l’atteggiamento saccente con il quale, i relatori della legge, hanno risposto alle critiche nel momento dell’approvazione. In quell’occasione intervenne il magistrato che si occupò della macelleria del G8 di Genova; disse che il testo in esame sarebbe stato inapplicabile ai fatti del 2001. Il Partito Democratico in quella sede, per bocca del Senatore Vazio, rispose che si sarebbe potuta applicare perfettamente facendo intendere l’attacco al magistrato.

Ci sarebbe da metterla in politica se non fosse che si sta parlando di un tema che tocca la carne viva delle persone. Mi viene il franco sospetto che i relatori di quel provvedimento non abbiano mai ascoltato i parenti delle vittime di tortura. Sennò non li avrebbero umiliati approvando una legge pericolosamente ridicola. Se avessero letto dei casi di tortura accaduti in Italia, non avrebbero utilizzato giri di parole per non definire il reato; non avrebbero mancato di definire gli autori e non si sarebbero nascosti dietro a un’ipocrita alleanza di Governo. 

Quando ascolti le storie di chi dalla tortura c’è passato e non ne è più tornato, ti rendi conto di quanto lavoro ci sia da fare in tema di diritti umani. 
Di questo tema non ne riesco a fare una questione di colore politico, ne faccio una questione di civiltà. Sul tema dei diritti umani la politica ha insultato i parenti delle vittime: prima con le parole, poi con i fatti. E’ vergognoso come, dopo la bocciatura della legge da parte dell’ONU, nessuno abbia chiesto scusa. E’ vergognoso come stia aumentando il debito morale della politica nei confronti delle famiglie delle vittime.

Siccome ci troviamo in un momento di scrittura: la politica sta, si spera, costruendo qualcosa da presentare agli elettori; vorrei fare un appello. Si inserisca, fra le priorità politiche della prossima legislatura, l’approvazione di una legge seria sul reato di tortura. Un testo da scrivere insieme a chi dalla tortura è passato; una legge che tenga conto dei consigli di chi sta portando avanti battaglie immense per la ricerca della verità. Un disegno complessivo, che introduca controlli sui controllori; che impedisca il ritorno in servizio di chi commette atti di tortura indossando una divisa. Qualcuno si assuma l’impegno di rendere obbligatorio il numero di matricola sulle divise; di introdurre l’obbligo delle video camere per le forze dell’ordine in grandi manifestazioni. Qualcuno si impegni a scoperchiare l’omertà vigente.

E’ arrivato il momento di smetterla con i giri di parole. E’ il momento di iniziare a parlare di diritti umani come di una priorità, non come qualcosa da mettere alla fine dei programmi. Il ritardo è clamoroso: facciamo almeno il primo passo. 

giovedì 7 dicembre 2017

Il disperato bisogno di programmi


Le stiamo attendendo da tempo e finalmente stanno arrivando. Questa è una delle certezze che abbiamo.
Le prossime elezioni politiche avverranno in un clima pericoloso e deleterio, nel “piattume” programmatico. Il clima è pesante: le élite che hanno governato in questi cinque anni non sembrano aver percepito i segnali che i cittadini gli hanno mandato. Nella sfiducia più totale dell’elettorato, i primi approcci alla campagna elettorale sono sconfortanti: le idee e i programmi lasciano spazio al terrorismo reciproco delle forze politiche. Nella condizione in cui ci troviamo saranno gli estremi a movimentare la passione politica, il centro sarà troppo impegnato a far crescere il Movimento Cinque Stelle grazie al tema che sembrano avere scelto all’unisono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Quando ci si prepara ad una campagna elettorale bisognerebbe ricordare l’assetto costituzionale nel quale ci si muove. Il nostro è una democrazia parlamentare nella quale la rappresentanza è l’elemento centrale: il potere legislativo spetta al Parlamento che è l’istituzione per la quale votiamo. Questo elemento è offuscato dal desidero di governabilità che, da un po’ di tempo a questa parte, sembra essersi impossessato della politica. Nonostante quello di cui alcuni esponenti politici sono convinti, sarà il Parlamento che eleggeremo. Più che una campagna sulle persone, c’è bisogno di una campagna sulle idee. Una campagna in cui, le forze politiche candidate a rappresentare i cittadini, raccontino che idea hanno della prospettiva del Paese. La ricerca del governo verrà dopo; non può essere l’oggetto della proposta elettorale. 
La narrazione del voto utile, che è destinata a essere il ritornello di una prossima campagna elettorale, configge con il principio di rappresentanza. Non ci può essere un voto utile, ci sono voti rappresentativi. Il voto utile è un magnifico pretesto per non avere un’idea da proporre. Il voto utile non consente un vero confronto, pone le idee su piani differenti.

La prossima legislatura si potrebbe passare a smantellare quanto fatto dagli ultimi governi e a portare un progetto prospettico che vada a toccare la condizione delle persone. I dati e le variazioni percentuali lasciamoli agli statistici, pensiamo piuttosto a come vivono le persone. Non importa soltanto avere un lavoro, ma importa anche quali sono le condizioni di quel lavoro. Non importa solo la variazione decimale dell’occupazione, importa anche come quel decimo è costretto a lavorare. Quali saranno le prospettive del lavoro: dovremo diventare tutti scienziati per programmare le macchine che ci sostituiranno, o possiamo pensare di gestire il progresso?
Quale sarà il modello di welfare del futuro: ci trasferiremo in America dove ci si cura strisciando la carta di credito, o vogliamo incentivare lo stato sociale stabilendo che esiste una spesa pubblica positiva? Poi i diritti civili, una legge sul reato di tortura da riscrivere; le carceri con un cambiamento della cultura punitiva; la cittadinanza a ragazzi nati in Italia ai quali si sta rispondendo che il loro diritto forse verrà calendarizzato nell’ultimo giorno di legislatura.

In questa dimensione ci si dovrà muovere, e a poterlo fare sono solo le forze radicali: quelle che credono ancora nella rappresentanza e in un’idea di società. C’è un disperato bisogno di tornare a parlare, a proporre qualcosa che parli alle persone e non alle banche o alla UE. C’è un disperato bisogno di considerare le donne e gli uomini, non come materiale per statistiche, ma come esseri umani con una qualità della vita di cui la politica si deve occupare.

domenica 3 dicembre 2017

Neofascismo. Vomito a cui va posto un argine

Immagine a titolo esemplificativo
La cronaca di questi ultimi mesi dovrebbe far accendere una seria attenzione sulla galassia nera presente in Italia. Da decenni qualcuno va dicendo che fare memoria non serve più; che ormai il ventennio fascista rientra nel passato remoto. Tutta questa narrazione viene smentita platealmente dai fatti che continuano a susseguirsi nel Paese, che evidenziano la presenza di forze neofasciste dalle attività sdoganate.

Pochi mesi fa gli ultras della Lazio usavano immagini di Anna Frank per “schernire” la tifoseria rivale. Poco dopo un calciatore, esultando per il goal del vantaggio sul Marzabotto, ha esibito il saluto romano indossando una maglietta con il simbolo della Repubblica di Salò. Nell’elezione del Consiglio municipale di Ostia, Casapound si è attestata al 7% entrando nell’assemblea. Pochi giorni fa, un portavoce di Forza Nuova intervistato dalla trasmissione “La Zanzara” su Radio 24, ha esordito con dichiarazioni negazioniste e apologete del fascismo. Non ultima l’irruzione, con atteggiamento squadrista, di Veneto Fronte Skinhead nella sede di Como Senza Frontiere.

Se interpretassimo tutti questi fatti come sconnessi fra loro, perderemmo di vista il quadro complessivo: un progressivo sdoganamento dell’ideologia fascista. Si sta diffondendo la normalizzazione dell’essere fascista. Mentre prima la galassia della destra nostalgica si rintanava in sgabuzzini, adesso stiamo assistendo alla sua esposizione platealmente pubblica. A questo si aggiunge il tentativo di concorrere al dibattito democratico. Gruppi neofascisti cercano i giornalisti, le telecamere per entrare nell’offerta politica democratica del Paese. E Ostia ne è l’esempio emblematico: Casapound, un movimento che richiama esplicitamente la cultura fascista con simboli e idee, ha concorso in elezioni democratiche godendo di visibilità e canali mediatici. Un movimento incostituzionale è entrato nel Consiglio municipale con il 7% dei consensi. 

Ci sono parecchi problemi che dobbiamo affrontare: il primo è sicuramente come, movimenti che contraddicono la Costituzione e che si vantano di stare nell’illegalità, non vengano chiusi applicando le leggi di cui siamo dotati. Un secondo problema è interrogarsi sulla legittimità di dare spazio a dichiarazioni provenienti da questi movimenti. Pensando all’intervista de “La Zanzara” al portavoce toscano di Forza Nuova, ci si potrebbe domandare ad esempio se dare spazio a quelle frasi negazioniste e palesemente inneggianti al fascismo sia legittimo. Un terzo problema è di carattere lessicale: dobbiamo parlare di fascismo e di neofascismo sulla stampa, all’interno dei media, all’interno degli spazi politici e democratici. Non è più possibile considerare il neofascismo come folclore. Non è accettabile che il leader della Lega Nord, forza politica che concorre in elezioni democratiche, definisca “ragazzi” squadristi che entrano in un’assemblea interrompendola leggendo un proclama. Dobbiamo ritornare a utilizzare termini appropriati per definire la realtà, discutendone nelle assemblee elettive, promuovendo azioni che vadano a stigmatizzare e condannare il vomito fascista a cui assistiamo. Utilizziamo gli strumenti di cui siamo dotati per impedire la normalizzazione di idee incostituzionali. 

Non sono avvezzo ad allarmismi, provo sempre a non drammatizzare le situazioni ma, in questo caso, è la cronaca a parlare. A noi la scelta di considerarla come insieme di “ragazzate” o come un fenomeno preoccupante a cui porre un argine. 

sabato 28 ottobre 2017

Basta!


Il Rosatellum è legge. Lo è diventato attraverso uno scempio istituzionale, un maltrattamento delle istituzioni e della Costituzione. Approvare una legge elettorale attraverso trucchetti e voti di fiducia è incostituzionale: una proposta parlamentare è stata trasformata in un’iniziativa del Governo su cui porre ripetuti voti di fiducia non consentendo il dibattito politico. Un trucchetto fondato su una menzogna che molti, fra commentatori e politici, continuano a ripetere: cioè che non avevamo una legge elettorale. Falso perché, con i due dispositivi emessi dalla Corte Costituzionale per bocciare prima il Porcellum e poi l’Italicum, erano state disegnate due leggi elettorali, una per la Camera e una per il Senato. Esiste infatti un principio costituzionale che impone la costante presenza di un sistema elettorale. Secondo questo principio l’urgenza di approvare una legge elettorale non c’era. Chissà se qualcuno prima o poi lo ammetterà anziché continuare con le bugie.

Il percorso intrapreso dal PD per imporre questa pessima legge elettorale, è stato così stomachevole che anche il Presidente del Senato Grasso ha avuto un sussulto di indignazione uscendo dal gruppo dei Democratici. E Grasso non è certo personalità da guizzi di immagine, appare come uomo delle istituzioni, con una storia densa di valore civile. Se anche Piero Grasso intraprende simili gesti significa che la misura è davvero colma quasi da affogare. E’ da notare la spocchiosità del gruppo dirigente nazionale del Partito Democratico che, su questa vicenda, non sta proferendo parola dando l’impressione, quasi la certezza, di non essere interessato al caso. Manca giusto il “ciaone”, poi la rovina istituzionale è compiuta.

Mentre qualcuno si compiace del risultato ottenuto, ci troviamo a pochi mesi dalle elezioni con una legge elettorale aberrante, che trasforma l’elettore in acquirente e che potrebbe essere bocciata dalla Consulta se fosse presentato ricorso. Di fatto, il Rosatellum, non rispetta nessuna delle raccomandazioni dei giudici costituzionali: sì, ha i listini piccoli come la Corte suggeriva ma crea meccanismi per cui l’elettore non sceglie i propri rappresentanti. La fusione del maggioritario e del proporzionale crea un sistema “prendere o lasciare” costrittivo delle libertà nel voto. Se si traccia una croce sul candidato del collegio uninominale sarà ripartito anche fra le liste bloccate a lui collegate nel proporzionale; viceversa, se si seleziona una lista nella parte proporzionale andrà automaticamente anche al candidato di collegio. I candidati uninominali potranno essere candidati anche in cinque listini circoscrizionali bloccati. Insomma. se un elettore non è rappresentato da un candidato gli resta la scelta di cambiare opinione di voto o astenersi. Non consente inoltre il voto eguale infatti una lista non coalizzata sarà sfavorita rispetto ad accordi della domenica, sconfessabili il giorno dopo.

A poco più di un mese dallo scioglimento delle camere, quella che sarebbe potuta essere un’occasione per introdurre un sistema elettorale armonico e che ristabilisse quei principi democratici che latitano da anni, è stata sfruttata per l’ennesimo pastrocchio, l’ennesimo spettacolo disgustoso.

Verrebbe da dire che lo spettacolo possa finire, il sipario possa calare mettendo fine a una legislatura in cui è accaduto ciò che uno scrittore potrebbe inventare per un romanzo. Da una deriva del linguaggio politico allo svuotamento di significato delle parole; dai referendum guidati dal governo al tentativo di deformare la Costituzione; dall’Italicum, bocciato prima ancora del suo utilizzo, al Rosatellum che pone i presupposti ad un’astensione esponenziale. Dalla legge sul bio-testamento, stata sulla bocca di tutti per una settimana per poi essere rintanata nello scantinato, alla legge farsa sul reato di tortura che offende le famiglie delle vittime impegnate da anni nella ricerca della giustizia. E’ arrivato il momento di dire basta a tutto questo.

 

giovedì 26 ottobre 2017

Il fascismo è una realtà. Mettiamole un fermo


Mentre il dibattito sull’importanza della Memoria sembra non arrivare a una fine, in questo Paese succedono cose strane. Mentre una certa parte, riconducibile all’estrema destra, va sostenendo come non serva più fare memoria perché “tanto, ormai” sono fatti passati, in uno stadio si utilizza l’immagine di Anna Frank per “schernire” la squadra avversaria. Mentre quello che si rappresenta come il maggior partito del Centrosinistra, nelle sue più alte sfere, sembra aver perso la sensibilità verso l’antifascismo, una forza di “estrema destra” indice una manifestazione per celebrare l’anniversario della marcia su Roma.

C’è qualcosa che non va. A fronte del tentativo della Destra di sdoganare, di banalizzare una certa storia, i neofascismi sguazzano tessendo reti sociali, culturali riproponendo retaggi illegittimi per la nostra Costituzione. Faccio fatica a interpretare lo scempio visto allo stadio Olimpico e la manifestazione di Forza Nuova come slegati. O meglio, non può essere stabilito un legame diretto, tuttavia è presente una relazione contestuale. Il contesto nel quale viviamo permette questi episodi senza una vera reazione. Per reazione non intendo le dichiarazioni, pur con una significativa importanza, delle forze politiche; bensì una reazione che porti a un’attuazione delle norme presenti nel nostro ordinamento contro la riproposizione di idee fasciste. 
Bisognerebbe ad esempio iniziare a usare la lingua italiana in modo appropriato. Si continuano a identificare come “estrema destra”, con un’accezione costituzionale, soggetti che platealmente inneggiano a simboli, a retaggi culturali e semantici fascisti. Intitolare “Marcia su Roma” una manifestazione penso non lasci margini di dubbio su quale sia la matrice della forza promotrice. E non basta il no della prefettura, serve un no politico. Trovo impressionante come un parlamentare della Repubblica possa firmare la petizione, lanciata dal leader di Forza Nuova, in protesta con il diniego della piazza da parte del Prefetto. E’ questo il contesto nel quale stanno nuotando i neofascismi e, forse, dovremmo fare qualcosa che vada oltre l’indignazione quotidiana, pur necessaria. I vandalismi nei confronti di monumenti alla Memoria nelle città sono semplici atti vandalici o vanno letti in un contesto più ampio? A mio parere la seconda: vanno interpretati insieme ai fatti dell’Olimpico e alla manifestazione di Forza Nuova. Altrimenti il sistema di legittimazione innescato dalla Destra diventa dominante.

“Fare Memoria per interpretare il presente e migliorare il futuro”, frase che mi capita di pronunciare in occasioni pubbliche, significa questo: utilizziamo gli strumenti che abbiamo per capire cosa sta succedendo e provare ad arginarlo. Le immagini orribili della tifoseria laziale, Forza Nuova che celebra la marcia su Roma sono tutti pezzi dello stesso mosaico. Il neofascismo è una realtà attuale, infiltrata, mimetizzata nelle più diverse forme e formazioni, alla quale dobbiamo porre un fermo. 

Un fermo secco e intransigente per la cura che dobbiamo alla democrazia, alla pace, ala libertà che ci è stata consegnata con il sacrificio della vita.

giovedì 19 ottobre 2017

Una corsa giusta


Quando lo sport diventa il collante e veicolo di un sentimento, di una rivendicazione, ecco che allora esso assume una dimensione sociale. La competizione si dimentica, subentra la commozione, l’indignazione e la solidarietà.

E’ quello che ho provato partecipando al Terzo Memorial Stefano Cucchi il Primo Ottobre al Parco degli Acquedotti di Roma. Sensazioni che ho sentito fin dall’attesa del treno alla stazione di Bologna, avevo la percezione di non partire per un semplice viaggio verso Roma, ma l’idea di partire per un fine preciso e per partecipare a un evento che mi avrebbe emozionato. Ciò che non mi aspettavo l’ho vissuto sul posto amplificato rispetto alle mie aspettative.

Non mi aspettavo di trovare persone di età diverse: bambini, ragazzi, adulti e anziani lì per lo stesso scopo, la giustizia. Non mi aspettavo di vedere animali correre assieme ai loro amici umani. Non mi aspettavo di vedere bambini ai quali i genitori spiegassero il motivo di quella giornata. Non mi aspettavo neanche di assistere alla meravigliosa assenza dell’agonismo: i vincitori erano tutti, gli ultimi e i primi; i lenti e i veloci per affermare la centralità delle vittime di soprusi, di violenza da parte di potenti.
L’emozione si percepiva forte anche per la data in cui si è svolto l’evento: il compleanno di Stefano che ha dato l’occasione per ricordarlo da vivo, per festeggiarlo chiedendo contemporaneamente giustizia e verità.

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Grazie a Ilaria Cucchi
A volte mi chiedo cosa mi spinge ad essere così legato alla vicenda di Stefano Cucchi e non mi so rispondere precisamente. Non è solo la passione per i diritti, per la giustizia; è qualcosa di più che vive da quando ho sentito la notizia alla radio quella mattina di Ottobre del 2009. Forse è la paura, la tardiva consapevolezza che quello accaduto a Stefano non è solo una notizia data da un mezzobusto di un TG, è una vicenda che potrebbe accadere a ognuno di noi. E’ l’immediata solidarietà che ho provato nei confronti di Ilaria: una combattente, una persona che ha trasformato un dolore immenso in una battaglia per tutti noi, in un fatto collettivo.  Ecco perché considero l’evento “Corri con Stefano” immensamente importante. Contro la folle e inquietante sordità della politica, la partecipazione è il mezzo per non dimenticare, per ricordare cosa è successo e cosa non deve più succedere. Insieme, con tutte le nostre differenze ma uniti per pretendere il rispetto dei diritti.

Posso dire di essere tornato a Bologna con un bagaglio emozionale immenso che certamente alimenta ancora di più il mio desiderio di impegnarmi per il rispetto dei diritti umani qualsiasi sia lo status in cui si trova l’individuo. Penso che questo sia uno fra i temi trascurati e tremendamente allontanati da una certa élite di potere. 

Il prossimo anno porterò di nuovo il sostegno a Ilaria e mi piacerebbe partire da Sasso Marconi con dei compagni di viaggio per correre insieme fra le mille emozioni che il Memorial Stefano Cucchi scatena. Nel frattempo continuerò a seguire il caso di Stefano Cucchi nella speranza che lo Stato si decida a guardarsi dentro e a fare finalmente giustizia. 

domenica 15 ottobre 2017

Il Rosatellum e l'elettore acquirente



Dopo il Porcellum, l’Italicum, arriva il Rosatellum: il nuovo sistema elettorale con il quale saremo presumibilmente costretti a votare. Sembra non essere accaduto nulla nel frattempo: pare non esserci stato nessun 4 Dicembre e, tanto meno, nessun pronunciamento della Corte Costituzionale sull’Italicum. Questo Parlamento, frutto del Porcellum dichiarato incostituzionale, continua ostinatamente a confezionare sistemi elettorali avversi al cittadino e ai suoi diritti costituzionalmente riconosciuti.

Il Rosatellum è l’ennesimo pastrocchio pasticciato sul quale si stanno compiendo folli operazioni autoritarie perché venga approvato. Si è trasformata, una legge di natura parlamentare, in una di natura governativa blindandola con il voto di fiducia: metodo incostituzionale per le leggi elettorali.
Lasciando il metodo, passiamo ad analizzare il merito di questa nuova legge elettorale. Molti dicono che parlare di sistemi elettorale sia noioso; io credo invece che, conoscere il modello con cui si trasformeranno i nostri voti in seggi, sia essenziale.
Siamo nuovamente difronte ad un mostro a due teste. Il Rosatellum è per il 36% un sistema maggioritario e per il 64 un sistema proporzionale. Ciò significa che, siccome il sistema varrà sia per la camera che per il Senato, il 36% dei deputati e senatori sarà eletto con il maggioritario, il 64 attraverso il proporzionale. Non è tutto qui: i due sistemi si intrecciano creando un mostricciatolo informe con cui gli elettori potranno selezionare prodotti già confezionati da altri.
Per la quota maggioritaria, il territorio sarà diviso in collegi uninominali nei quali singoli partiti o coalizioni esprimeranno un nome che troveremo sulla scheda elettorale. Per la quota proporzionale, calcolata su base nazionale, saranno presentati listini bloccati da due a un massimo di quattro candidati per circoscrizione. Il candidato nel collegio uninominale sarà collegato a coalizioni o a singoli partiti nella parte proporzionale. L’elettore avrà dunque due opzioni: tracciare una croce sul candidato nel collegio, e in questo caso il voto sarà ripartito proporzionalmente fra le liste a lui collegate; oppure tracciare una croce sul simbolo di una delle liste candidate nella parte proporzionale, e in questo caso il voto sarà assegnato anche al candidato da essa sostenuto nel collegio uninominale.
Per la parte proporzionale ci saranno due diverse soglie di sbarramento valide su scala nazionale: il 3% per i singoli partiti, e il 10 per le coalizioni.
Non esiste inoltre un vincolo di coerenza fra i diversi collegi: le liste che appoggiano i candidati nei diversi collegi uninominali possono variare da collegio a collegio quindi, una lista potrebbe avere alleati differenti da territorio a territorio.

Tale sistema pone perciò limiti importanti all’elettore che si potrebbe vedere costretto a scegliere un pacchetto confezionato di candidati e assegnare un voto a un candidato nel proprio collegio a lui non congeniale. Non è possibile sostituire le preferenze con listini corti e farlo passare come lo stesso meccanismo perché il risultato che si ottiene è radicalmente differente. Con le preferenze un elettore può esprimere un nome preciso e circostanziato; con i listini bloccati esso si trova a dover scegliere un pacchetto imposto dai capi partito.
Cambia il rapporto fra eletto e elettore: se con le preferenze s’instaura un rapporto stretto fra il cittadino e il suo rappresentante in Parlamento; con il sistema architettato dal Rosatellum il cittadino si lega idealmente alle segreterie dei partiti che formano i listini bloccati.
Il risultato che produrrà questa nuova creazione sarà un parlamento di nominati, rispondenti ai vari leader che gli hanno candidati, non rappresentativo della realtà sociale del Paese; e un elettore acquirente in un supermercato che passeggia fra le scansie di prodotti impacchettati.

Quanto sta accadendo in questi giorni fra Camera e Senato è un colpo diretto alla futura rappresentatività del Parlamento. Si sta scrivendo la regola di accesso al gioco senza una discussione e un dibattito, collegandola ad altre questioni che con essa non hanno niente a che vedere. Assistiamo a un Presidente del Consiglio che ha palesato la sua totale incoerenza con le sue stesse parole: aveva annunciato che non si sarebbe occupato della legge elettorale per poi, adesso, trasformare una proposta di legge del Parlamento in una proposta governativa sulla quale ha posto il voto di fiducia. Merito e metodo in questa questione combaciano formando un risultato razionalmente confuso e non rispettoso del dettato costituzionale.

Tutti i segnali che i cittadini hanno mandato a questa élite di potere sembrano essere rimbalzati su un muro di gomma. L’ostinata strategia di limitare la partecipazione continua imperterrita per poi aprire la stonata cantilena sui motivi di un’astensione che, visti i presupposti, potrà solo che aumentare. 


giovedì 21 settembre 2017

Il Primo Ottobre corro con Stefano


Manca poco al terzo Memorial Stefano Cucchi. Si partirà il Primo Ottobre alle 10.00 al Parco degli Acquedotti a Roma per correre con Stefano. Una grande manifestazione per tenere viva la memoria di Stefano e di tutte le tante altre morti di Stato.
Credo che la giusta definizione sia questa: morti di Stato. Persone che hanno perso la vita mentre si trovavano nelle mani delle istituzioni; le stesse istituzioni che dovrebbero essere garanti della giustizia e dei diritti.

Mentre assistiamo all’adoperarsi di una parte trasversalmente cospicua della politica per nascondere sotto il tappeto queste macchie indelebili sulla reputazione dello Stato, è indispensabile che la cittadinanza mantenga accesa la memoria, il ricordo di tutte le persone che hanno perso la vita per l’aberrante aggressione da parte di pezzi dello Stato. Ha un’essenziale importanza la continua richiesta di giustizia. Questa manifestazione lo fa. Ciò non significa colpevolizzare un intero Paese, intendiamoci bene; è semmai l’esatto contrario: chiedere che si accusino e si allontanino quei soggetti con responsabilità nei fatti indegni accaduti per mano di uomini in divisa. Arrivare a questo, condannare e allontanare sistematicamente chi commette atti di violenza indossando una divisa, è l’unico modo che lo Stato ha perché si riacquisti fiducia nelle forze dell’ordine. Non c’è un altro modo. 
Mi duole costatare che dall’attuale politica, la stessa che ha approvato una legge sul reato di tortura inutile e inetta, non ci si possa aspettare nulla di buono. Siamo difronte a gigantesche propagande sulle speranze delle persone per poi assecondare i più forti, i potenti, i forzuti. 

Mi si perdoni l’insistenza ma credo che questo sia un tema serio, da affrontare immediatamente con lo sguardo rivolto verso i deboli, verso le vittime e non strizzando l’occhio ai carnefici. Sarebbe ora di mettere il naso dentro al sistema penitenziario, ai corpi di polizia e alle loro troppo frequenti stortura. Sarebbe ora di cambiare l’idea secondo cui, chi pretende il rispetto della dignità umana, è contro le forze dell’ordine; se si pensa questo forse un problema c’è; se si pensa che una vera legge sul reato di tortura possa danneggiare il lavoro degli agenti, mi permetto di evidenziare l’enorme problema che abbiamo; il quale, piaccia o no, si trova per forza nelle mani della politica. 
Si tratta di iniziare un processo di cambiamento culturale essenziale che rafforzi l’idea di essere umano sotto tutti gli status che può assumere lungo la vita. Si tratta di scrivere un disegno di legge degno, completo e rivoluzionario che parta dai casi purtroppo presenti in Italia. Senza giri di parole, senza locuzioni interpretabili; introducendo dispositivi di controllo e di deterrenza. 

Per questi motivi, per il ricordo di Stefano, Federico, Giuseppe e dei tanti altri, il Primo Ottobre sarò a Roma per correre con Stefano, per una vera giustizia. Per una legge sulla tortura scritta bene ed efficace; per il rispetto dei diritti umani sempre e comunque; per dire che è giunta l’ora di metterci il naso, metterci le mani schierandosi nettamente con le vittime, con i cittadini travolti da esperienze inaccettabili da uno Stato che ama definirsi civile.

Il Primo Ottobre corro con Stefano. Al fianco di Ilaria, al fianco della famiglia Cucchi.

domenica 17 settembre 2017

L'ambientalismo? Dei potenti

Pubblico il mio intervento alla serata sull'ambiente e l'ambientalismo organizzata dal Partito Comunista Italiano e Legambiente a Sasso Marconi.


"Buonasera, grazie per essere intervenuti a questa iniziativa.
Per quanti non mi conoscessero: faccio parte del Partito Comunista Italiano, attualmente svolgo il ruolo di Consigliere Comunale qui a Sasso Marconi.

Inizierei dal titolo della serata, ovvero: ci dovremmo chiedere se l’ambientalismo di cui sentiamo tanto parlare in questo periodo storico si rivolga realmente al rispetto dell’ambiente e del territorio.
Una prima risposta, così d’acchito, è no. Ho l’impressione di osservare una retorica ambientale che poi non vede attuazione nelle politiche pubbliche che i governi occidentali mettono in campo. In Italia vedremo fra poco come si stia lacerando il territorio e di conseguenza le vite delle persone. C’è una retorica dei potenti volta a costruire una narrazione ambientalista quando, invece, gli interessi che portano avanti sono ben altri.

Qualche mese fa a Bologna si è riunito il G7 Ambiente: l’incontro dei “grandi”, fra virgolette, del mondo in cui si sarebbe discusso delle strategie ambientali del prossimo futuro. Così ce l’hanno raccontato, no? Improvvisamente sono diventati tutti verdi, green…
In realtà si è trattato della riunione dei colonizzatori del mondo per colonizzare meglio. Un vertice costituito da particelle imperialiste con interesse nel fossile. Come si può discutere delle sorti del pianeta escludendo le nuove economie? Come discuti su come sarà il cambiamento climatico fra quarant’anni, senza coinvolgere chi fra quarant’anni avrà raggiunto un maggiore sviluppo? E soprattutto: come puoi affermare che diminuirai le emissioni se le politiche che stai portando avanti sono volte allo sfruttamento di vecchie risorse inquinanti? La risposta è che non discuti, poni delle asticelle comode ai tuoi interessi. E’ chiaro come, al G7 di Bologna, si sia discusso fra interessi economici che con il rispetto dell’ambiente hanno poco a che vedere. Anzi, sono gli stessi interessi per i quali si trivellano mari e si espiantano ulivi per il passaggio di gasdotti.

Allora siamo di fronte a un fantastico ossimoro: il capitalismo verde. Più o meno gira così: abbiamo cura del pianeta con lo sguardo attento sui nostri interessi, se ci scappa qualcosa di poco verde ci saranno le banconote a inverdire. E’ chiaramente un ossimoro perché quelle potenze, compresa l’Italia, non hanno nessuna intenzione di abbandonare gli interessi succulenti del fossile.

Tutto ciò può avere riscontro nei fatti italiani. Ad esempio il referendum del 17 Aprile 2016, quando si sarebbe potuto porre un punto fermo bloccando le trivellazioni nei nostri mari. E’ indubbio come in quell'occasione il Governo sia entrato a gamba tesa nel dibattuto dando un’indicazione ben precisa: non andate a votare perché le trivelle devono continuare la loro attività. Con quel referendum avremmo potuto sancire un punto importante, forse andando verso altre risorse energetiche, per non parlare del sollievo che avrebbe potuto avere il territorio nazionale.
Questo è solo uno dei molti segnali che fanno comprendere come gli ultimi governi stiano affrontando il tema dell’ambiente in un modo assolutamente pericoloso e da condannare. Pensiamo solo al DDL “Sblocca Italia” con il quale si è dato il via a opere vecchie, inutili, fuori da ogni logica.

Quest’incontro cade alla fine di un’estate drammatica che ha visto mangiate molte zone del nostro territorio nazionale da incendi, da calamità naturali che hanno acceso di nuovo il faro sull’ambiente. Come sempre però, l’argomento è durato poco: è già uscito dalle agende dei telegiornali, da quelle dei giornali. Viviamo le emergenze ma non il dopo, parliamo del territorio solo quando, vergognosamente, una scossa di 3.6 butta giù case e spezza vite; ma dopo tutto passa e tornano gli interessi dei potenti, del capitale che passa sopra alla dignità del pianeta, alla sicurezza delle persone.

Mentre ogni estate le terre italiane bruciano, il precedente governo ha cancellato il corpo Forestale dello Stato accorpandolo all’arma dei Carabinieri. La classica riorganizzazione che assomiglia molto a un taglio di un servizio fondamentale. Il risultato di questa operazione è l’incertezza e l’assenza di controllo: non si conosce più la procedura per attivare i canadair, preziosi mezzi per controllare gli incendi che molte volte sono stati costretti a rimanere a terra; non si sa chi deve intervenire sulla pulizia dei boschi per una buona prevenzione.

Un altro tema che dobbiamo avere sempre presente è quello delle morti a causa di ambienti malsani. Muoiono lavoratori perché mettono piede nel loro posto di lavoro; muoiono cittadini perché vivono nei pressi di industrie inquinanti. L’Italia è il Paese dell’ILVA di Taranto che ha martoriato un’intera città creando il conflitto criminale fra lavoro e salute. Stesso conflitto creato nelle Officine Grandi Riparazioni di Bologna, proprietà di Ferrovie dello Stato, dove si è arrivati a 257 morti, fra gli ex operai, per esposizione all’amianto riconosciuti dall’AUSL. Il dato sale se consideriamo quelle non certificate, si parla di 600 vittime.
Il problema degli ambienti di lavoro, che i vari governi degli ultimi anni continuano a ignorare provocando il devastante aumento delle morti bianche, non coinvolge solo chi opera nei siti inquinanti, bensì anche tutte le comunità che vivono attorno a quei luoghi di lavoro percepiti, a volte, come fondamentali per l’economia del territorio.
Porre un freno a questa inquietante realtà sarebbe fattibile e sarebbe anche la giusta risposta al cambiamento climatico che ci sta investendo. Tuttavia continua a rimanere un tema morto, citato solo in grandi occasioni. Il tema di come operano le imprese è ben più complesso di come è stato compreso dalla legge sugli eco reati: è un aspetto essenziale che nei fatti non viene affrontato. Interessa l’ambiente interno ed esterno, riguarda la vita di chi deve lavorare negli stabilimenti. L’ILVA ne è drammaticamente la dimostrazione.

E’ necessario dunque cambiare passo, rotta: da un lato per porre riparo ai segnali che il pianeta ci sta mandando; dall’altro per migliorare la qualità della vita della popolazione giovane e anziana, di quella dei lavoratori che non possono lavorare con la paura della morte causata dal loro stesso lavoro.  Bisogna cambiare l’approccio culturale e politico all’ambiente. Quello che vediamo fare dai governi occidentali oggi non è ambientalismo, per rispondere all’interrogativo contenuto nel titolo della serata.
E’ indispensabile considerare l’ambiente come investimento pubblico, come bene collettivo sul quale non è possibile tagliare e sul quale, la mano dello Stato, deve essere preponderante. Solo con investimenti pubblici strategici, volti a ricercare energie alternative riusciremo a rimettere al centro l’ambiente.
Personalmente non mi piacciono gli slogan; non mi piacciono soprattutto quando sono accompagnati da politiche contraddittorie e devastanti. Allora mettiamo veramente al centro l’ambiente, facendo investimenti, ricercando nuove risorse che ci consentano di spegnere le trivellazioni abbandonando il fossile. Facciamo una lotta seria all’abusivismo: il terremoto non è reato, l’abusivismo sì. Costruire una casa in zone ambientalmente delicate non deve essere più possibile; la pulizia dei boschi, dei fiumi, dei canali deve essere sistematica e deve rientrare culturalmente e finanziariamente nell’investimento per l’ambiente.
Mettiamo un punto fermo alle grandi opere inutili. Non significa bloccare tutto come mistificano le élite di governo: significa ragionare, scegliere e instradare lo sviluppo in una direzione diversa, più sostenibile e rispettosa del territorio. Opere come la TAV, il ponte sullo Stretto risultano come pugni all’ecosistema e alle casse pubbliche. Con gli stessi denari potremmo attivare politiche ambientali serie, che guardino alla ricerca e allo sviluppo. Soffriamo la mancanza di politiche pubbliche per le biodiversità del nostro magnifico territorio nazionale, scelte strategiche per controllare l’inquinamento elettromagnetico e molto altro che, se volete, dopo possiamo approfondire.

Come Partito Comunista abbiamo le idee molto chiare: la tutela del territorio non deve essere una spesa ma un investimento. Un investimento sul futuro e per le nuove generazioni. Non possiamo più tollerare tagli in questo settore che deve essere percepito, non più come un capitolo di spesa all’interno dei bilanci, ma come tema centrale sul quale fare investimento pubblico. Perché solo con una gestione realmente pubblica è possibile raggiungere risultati per la collettività senza poi pagare un prezzo alto come accade nella nuova veste del capitalismo verde. Va perciò costruita una cultura ambientale, che passi dalla legalità, la tutela e il rispetto del territorio.

Dunque, tornando alla domanda iniziale: le attuali politiche guardano realmente all’ambientalismo? No. Lo dimostrano i fatti, anche tremendamente dolorosi, che abbiamo sotto gli occhi; è solo una gigantesca narrazione dei potenti i quali, sventolando qualche slogan, continuando a perpetrare i loro interessi.

Naturalmente, se c’è qualche osservazione, domanda o commento sono felice di provare a rispondere.
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domenica 3 settembre 2017

L'ambientalismo? Dei potenti. Il PCI e Legambiente si incontrano per discutere di ambiente


Giovedì 14 Settembre, alle 20.30 in Sala Renato Giorgi a Sasso Marconi parleremo di ambiente. Il PCI e Legambiente discuteranno di uno dei temi centrali per la nostra vita presente e futura.

Per l'occasione mi troverò in compagnia di Ubaldo Radicchi, componente dell'esecutivo del circolo di Legambiente Setta Samoggia Reno, e di Fiorella Belpoggi, dottoressa, ricercatrice dell'istituto Ramazzini


venerdì 25 agosto 2017

L'illegale legalità



Lo sgombero avvenuto a Roma ha mostrato tutta la crudeltà, la cattiveria, l'inumanità di cui sappiamo farci interpreti. Se ci si limita alla lettura delle agenzie, degli articoli non se ne comprende l'aberrazione. Guardiamo i filmati, abbiamone il coraggio. 

E' struggente capacitarsi di come si pretende di ristabilire la legalità con azioni palesemente illegali, selvagge, lesive della dignità umana. Non è legalità quella che queste azioni vorrebbero produrre. Picchiare donne e uomini, impaurire bambini sono condotte inaccettabili e ingiustificabili, se poi ad averle sono agenti delle forze dell'ordine si deve gridare alla catastrofe, allo scempio rispondendo ai vari Tonelli e Salvini che pretendono di difendere i carnefici.
Le forze dell'ordine dovrebbero essere emblema di legalità, di supporto e non manovratori di manganelli addosso alle persone o cacciatori di uomini e donne. Per carità: con tutti i distinguo del caso, non tutti gli agenti si fanno interpreti di simili azioni. Ciò va sempre ricordato ma, non si può negare la pesante stagione di violenza a cui assistiamo. Da Bologna a Roma stiamo assistendo a un sistematico utilizzo della violenza ingiustificato con il pretesto di “ristabilire la legalità”. Io la definirei legalità illegale. Il disegno è lo stesso: si sgombera con violenza inaudita senza avere una strategia per il futuro, senza una proposta plausibile. Per mostrare i muscoli muscolosi della “legalità”.



Abbiamo video, audio che mostrano l’aggressività dell’azione di polizia che dovrà avere per forza conseguenze. Altrimenti lo Stato perderà la propria immagine. O forse l’ha già persa.
Le persone sgomberate a Roma sono rifugiati eritrei, vivono in Italia da tempo, i bambini vanno a scuola, gli adulti lavorano. Con questo scellerato sgombero si è distrutto tutto questo senza una soluzione alternativa: se prima vivevano nell'illegalità come qualcuno suole affermare, adesso si peggiorerà la loro condizione. Ci sono responsabilità politiche precise, le stesse di Bologna. Fra qualche settimana i bambini potranno tornare a scuola? Nelle loro scuole dove hanno amici, compagni, insegnanti? Gli adulti potranno tornare ai loro mestieri con i quali guadagnavano e vivevano?

Io non sono per niente sicuro che sia stata ripristinata la legalità. Sono invece sicuro dell'illegalità filmata, della frase criminale di un funzionario di polizia che incitava a esercitare violenza. Del resto, della "legalità ripristinata" no.

martedì 22 agosto 2017

Il terremoto: un fenomeno naturale che ci stupisce sempre



E poi, d'incanto, ci accorgiamo di vivere su una cosa viva che ha anche un nome. A scuola ce lo spiegano: ci insegnano che viviamo su un pianeta rotondo, che ruota e che è in continua evoluzione. 
Di tutto ciò ce ne dimentichiamo un minuto dopo: ci sale la smania di pontificare, di costruire, di prendere possesso della natura. Infondo siamo i padroni, la specie più evoluta del pianeta, perché non dovremmo farci la villa con vista su un cratere di un vulcano. O risparmiare su un po' di cemento. La terra è nostra e ci facciamo quello che vogliamo.

Poi però scopriamo che trema, che quel piano su cui facciamo i nostri interessi è vivo, si muove perfino.
E non ce ne basta uno per capire, l'indomani sembra che abbiamo capito ma invece è solo l'effetto della paura che, dopo un po', si attenua lasciando spazio alla quotidianità e ai nostri magnifici interessi. Addirittura facciamo cadere chi prova a dirci che in certi punti le case non devono essere costruite.
Aborriamo i piani di risanamento ambientale, troppa spesa pubblica: sia mai che arrivi Stella che ci accusa di fare debito. Ci piace dirlo, scriverlo nei discorsi pubblici per poi custodirli nei cassetti delle scrivanie. Non ci capacitiamo dell'esistenza del terremoto: entità che non è possibile arrestare, processare, imputare perché è qui da molto tempo prima di noi e, molto probabilmente, è il responsabile delle bellezze naturalistiche del Paese. Lo dovremmo anche ringraziare…

Mi sorge un dubbio: non sarà mica che, invece del terremoto, ci dovremmo stupire di come siano possibili crolli con scosse di 3.6? Forse faremmo meglio a chiederci questo piuttosto che il motivo per cui la terra trema. E magari faremmo un gesto altrettanto positivo parlando di terremoto quando questo non si verifica per ricordarci che non si tratta di un evento straordinario: si tratta di un evento che esiste e fa parte della vita sulla terra. Si tratta di un dato di fatto, c’è e siamo noi a doverci attrezzare per sopravvivergli. Non è lui l’intruso: siamo noi che, magari, a volte costruiamo pensando di aver a disposizione un immenso piano, immobile, fermo, che aspetta soltanto che qualcuno ci costruisca sopra qualcosa.

Al di là del sarcasmo, dovremmo seriamente chiederci come sia possibile che crollino degli edifici con una scossa di quest'entità. Come sia possibile che muoiano persone schiacciate da case per un evento naturale. E' vero che è sempre tutto relativo ma, è altrettanto preoccupante la suscettibilità del nostro territorio a scosse così basse.

Si dice sempre che le tragedie insegnino qualcosa. Mi sa che a noi non hanno insegnato ancora niente.

giovedì 27 luglio 2017

La mia comunicazione in Consiglio Comunale sul ddl tortura



Nella seduta del 26 Giugno il Consiglio Comunale di Sasso Marconi ha approvato un'ordine del giorno nel quale invitava il Parlamento ad approvare una legge sul reato di tortura. Fatalmente, pochi giorni dopo, è avvenuto. E' avvenuto con un disegno di legge umiliante, inutile, che non introduce nessuna novità costruendo una definizione di "tortura" inapplicabile.

Così ho sentito l'esigenza di fare, nella seduta di ieri, una comunicazione personale per dichiarare la mia insoddisfazione verso la legge approvata dal Parlamento. 
Di seguito il testo letto in Consiglio Comunale.

"Colleghi, concittadini uditori,
Sottrarrò poco tempo ai lavori odierni, penso però sia doveroso che io faccia questo intervento. Lo penso perché la difesa dei diritti dell’essere umano, qualsiasi sia la sua condizione, rientra fra quei temi che mi toccano profondamente; l’introduzione del reato di tortura nel nostro Paese è una di quelle battaglie per le quali mi impegno nel tempo libero. E, siccome penso di avere una sola personalità, ritengo indispensabile fare una precisazione. 

Nella scorsa seduta abbiamo votato un ordine del giorno nel quale chiedevamo che il Parlamento dotasse l’ordinamento italiano del reato di tortura. Ebbene, per coincidenza questo è avvenuto. O meglio, è avvenuto in quanto il Parlamento ha introdotto il termine “tortura” nel codice penale, ma in realtà non è avvenuta la rivoluzione epocale di cui tanti si fregiano. Si tratta di una legge da vetrina, serve a dire “abbiamo il reato di tortura”, poi però non si sa come applicarlo nei casi concreti. Si è costruita una definizione di “tortura” arzigogolata; non si sono ascoltate le richieste delle famiglie delle vittime, neanche udite, né le critiche dei magistrati ai quali si è avuto il coraggio di fare anche una lezione di diritto. 

Poiché penso che il nostro Paese qualche vittima di tortura ce l’abbia, e si tratta di morti di Stato, anche se facciamo manifestazioni per cosa accade negli altri Paesi poi siamo restii a indignarci per ciò che accade in Italia; non mi sento per niente soddisfatto dalla legge partorita dal nostro Parlamento. Quindi non ritengo raggiunto l’obiettivo. Era meglio continuare nel nostro dolce sonno sornione piuttosto che approvare una legge chiaramente insufficiente.

Credo che ci voglia rispetto per chi ha perso un figlio, un fratello, un parente o un amico mentre lo sapeva nelle mani dello Stato e questa legge non ne ha. Non ne ha perché è un magnifico giro di parole che sì, non permetterà più che l’Italia venga multata dalle corti di giustizia internazionali (anche se qualche commissario si è già accorto cosa c’è dietro il giro di parole), ma che non introduce un vero reato. E questo mi indigna profondamente

Mi si perdoni ma personalmente non posso accettare, dopo aver conosciuto le storie, sentito i racconti atroci dei testimoni di fatti accaduti, che si approvi una legge si fatta. Perché credo che quelle famiglie si meritino una risposta chiara, non un testo di legge che mira esplicitamente a non toccare le condotte, pur illegittime, di qualcuno. Perché è inumano. 
Credo che non possa cadere mai nel dimenticatoio il G8 di Genova, come non possiamo fare finta di non vedere i Cucchi, gli Aldrovandi, i Magherini: cittadini che hanno vissuto esperienze atroci per le quali hanno perso la vita.  Forse è il caso di metterci mano, e questa legge non lo fa; forse per la paura da parte della politica di infilare la testa, le mani, gli occhi in questo tema. 
Andando a concludere, come Consigliere comunale, come cittadino non trovo la benché minima soddisfazione dal disegno di legge approvato dal Parlamento.
Grazie"

giovedì 6 luglio 2017

Tortura: una legge vetrina



Se l’avessero buttato nel trita documenti avrebbero fatto un favore ai cittadini invece, il disegno di legge che introduce il reato di tortura, è stato approvato dalla Camera in via definitiva. E’ legge. 
Una legge inapplicabile, che introduce un reato difficile da riscontrare e che non recepisce nulla di quanto molti cittadini e associazioni, molte neanche udite dalle commissioni parlamentari, stanno chiedendo da tempo. Infatti, il testo, configura come tortura una violenza reiterata nel tempo; cioè: non basta che avvenga una violenza, questa deve essere esercitata più volte perché ci sia l’accusa di tortura. Una follia che non ha riscontro in nessun caso, di conclamata tortura, accaduto in Italia. In poche parole si sta dicendo che non ci può essere tortura singola ma dev’essere sistematica. 

Come ho detto nell’articolo precedente, su questo tema non si possono utilizzare mezze parole: si tratta di una plateale presa in giro nei confronti delle vittime di tortura e delle loro famiglie. E’ una legge buona solo ad entrare nelle medagliette che si appunterà al petto chi l’ha costruita e chi l’ha votata. E’ un provvedimento vetrina da far bere alle corti di giustizia internazionale nella speranza che non multino più il nostro Paese. Un magnifico esercizio di stile in barba a chi ha diritto di vedere nell’ordinamento italiano un reato di tortura vero.  

Questa politica ha dimostrato di non voler aprire il pentolone, perché di questo si tratta. Si tratta di riconoscere gli errori atroci dello Stato, di alcuni dei suoi rappresentanti e funzionari; prevedere, per chi sbaglia, non solo una pena, ma anche un provvedimento disciplinare radicale. Si tratta di prevedere dei metodi di controllo verso chi veste una divisa che deve essere identificabile e controllato. Tutto questo, se si vuole un disegno di legge incisivo, bisogna tenerlo in considerazione. Bisogna considerare i casi di cui la cronaca italiana è piena e da questi prendere spunto. 

E’ prova di un’immensa ipocrisia il fatto che per i casi, che coinvolgono Stati politicamente antipatico all’Italia, ci siamo istituzionalmente indignati tutti, abbiamo appeso striscioni ovunque, e per le morti del nostro Stato non ci indigniamo a tal punto da non ascoltare le richieste delle famiglie. Così non vale. Non vale indignarsi solo per i crimini commessi da altri Stati.

Sono rimasto molto colpito da una frase pronunciata da Ilaria Cucchi in un incontro alla Spezia. Dice: “Abbiate il coraggio di indignarvi per le morti di Stato”. Credo sia proprio questa la questione: stiamo nascondendo il problema sotto una montagna, non vogliamo vederlo; denunciamo indignati i crimini degli altri. 

Il pentolone è pieno e puzza, non basta aggiungerne ipocritamente un’altro per non sentirla più. Bisogna aprirlo e guardarci dentro. E spetta soprattutto alla politica che, da ieri, ha un debito ancor più grande con le vittime: il debito di chi ha dimostrato tutta la sua paura ipocrita di chiamare quei crimini con il nome che gli si addice. Un po’ di vergogna, chi ha schiacciato il pulsantino verde, forse dovrebbe provarla. 

martedì 27 giugno 2017

Un ddl vetrina da gettare nel trita documenti



Si torna a parlare di tortura: è approdato alla Camera in seconda lettura il disegno di legge sul reato di tortura. 
Su questo tema non bisogna utilizzare mezze parole o espressioni diplomatiche: si tratta di un ddll da vetrina, per rispondere con le parole all’ennesima sentenza della Corte di Giustizia Europea che, recentemente, ha condannato il nostro Paese a pagare una multa per non avere ancora introdotto il reato di tortura. 

Ci troviamo difronte a un puro esercizio di stile che produce un’impianto di legge inapplicabile e che non prende in considerazione i molti casi di tortura accaduti in Italia. Nel testo si legge, infatti, che è considerata “tortura” un atto di violenza fisica o psicologica ripetuto in situazione di ridotta libertà del soggetto. Ciò significa, per cogliere il senso del testo, che un singolo atto di violenza, che si verifica in condizione di libertà, non consiste in tortura. Quindi, il provvedimento in esame, non considera tortura violenze avvenute singolarmente e in situazioni di libertà. Vale, di fatto, solo in situazioni di prigionia. 

La prova dell’inutilità di questo testo è affermata anche dai magistrati che hanno indagato sui fatti accaduti alla scuola Diaz, i quali sostengono che il provvedimento in esame sarebbe stato inapplicabile in quel frangente. E, quando si parla del G8 di Genova, non sussistono dubbi sul fatto che si tratti di tortura.

Siamo difronte a un’assurda e ignobile presa in giro nei confronti dei cittadini, dei richiedenti di un provvedimento che introduca il reato di tortura, ma soprattutto una colossale e imbarazzante presa in giro nei confronti delle vittime di tortura che l’Italia conta nella sua storia recente.  Si tratta di un provvedimento vetrina, tanto per legiferare nella speranza che le corti di garanzia si bevano questo palliativo dall’aspetto squallido.

Perché non puzzasse fino infondo, è presente anche una parte relativa agli atti di violenza compiuti da pubblici ufficiali per i quali, tenendo sempre presente la definizione di “tortura” citata precedentemente, la pena è raddoppiata. Ma nulla di più. Oltre a questo inciso non si sancisce nulla che vada a punire incisivamente quei pubblici ufficiali che esercitano violenza: ad esempio non viene detto niente sul loro futuro.

Sconcertante poi è leggere interviste al relatore del ddl Franco Vazio, PD, il quale si vanta del lavoro svolto non curante delle critiche avanzate da tecnici come i magistrati del G8 di Genova ai quali anzi risponde che, secondo lui, questo testo sarebbe stato applicabile all’epoca dei fatti.

E’ evidente come ci sia la volontà metodologica di non arrivare ad introdurre un reato di tortura che risponda alle richieste avanzate da cittadini, associazioni e istituzioni. E’ evidente l’utilizzo scientifico del lessico per circoscrivere attentamente i casi imputabili, creando anche scenari dalla complessa dinamica. E’ evidente come l’attuale politica non voglia introdurre il reato di tortura: la metterebbe a confronto con comportamenti poco edificanti dello Stato e nessuno vuole scontentare i Giovanardi sparpagliati per l’emiciclo.

Non servono ordini del giorno pesati, l’ipocrisia viene presto smascherata. Servono fatti concreti; serve un testo vero, che non soddisfi solo burocratiche sentenze ma un testo applicabile che non abbia paura di mettere in luce le terribili contraddizioni italiane. Serve una legge sul reato di tortura che prenda spunto dai fatti avvenuti, che condanni fermamente i pubblici ufficiali violenti con l’espulsione dal corpo di appartenenza. Una legge che introduca un’identificativo per ogni addetto delle forze dell’ordine, non perché siano tutti cattivi e perversi, ma per trovare coloro che adottano un comportamento sbagliato e lesivo dei diritti umani.

Non si legifera per passarsi le giornate, si hanno fra le mani le vite e le speranze delle persone. Non ci si può permettere di consegnare un testo beffardo. 
Vogliamo una legge vera, che contenga tutti i temi aperti, che abbia rispetto delle vittime, che prospetti un futuro migliore. 

Questo disegno di legge non lo è, ci dobbiamo augurare solo che venga gettato nel trita documenti. 

martedì 13 giugno 2017

Il G7 non è il luogo per parlare di ambiente. Il mio voto contrario



Penso che informare i cittadini delle prese di posizioni operate lungo un mandato, sia un modo per far sentire tutti partecipi della vita politica di una comunità. Da un po' di tempo ho iniziato a pubblicare i miei interventi in Consiglio Comunale a Sasso Marconi. Spero che possa essere utile e un contributo d'informazione.
Nel Consiglio Comunale di ieri sera è stato presentato un'Ordine del Giorno (il testo lo trovate di seguito) su temi ambientali. Premesso che quando si parla di rispetto e tutela dell'ambiente il mio accordo c'è in modo indiscutibile, ci sono elementi di questo testo che mi hanno fatto propendere verso un voto contrario. Un voto contrario, tengo a precisare, limitato al contesto e al merito del testo presentato. 
Nel corso della seduta ho depositato agli atti le motivazioni del mio parere contrario con l'intervento che trovate di seguito.

ORDINE DEL GIORNO A DIFESA DEI CONTENUTI E DEGLI IMPEGNI ASSUNTI
NELLA XXI CONFERENZA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI (COP21)

La scelta del presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump di ritirarsi dall'accordo internazionale di COP 21 sui cambiamenti climatici risulta incomprensibile e inaccettabile alla luce dei rischi concreti che gli effetti dell'impatto umano e delle attività produttive stanno avendo sul nostro Pianeta.
L'impegno sottoscritto a New York con altri 194 Paesi il 22 aprile 2016 di ridurre le emissioni di C02 e contenere il riscaldamento globale del pianeta entro i due gradi centigradi, era un piccolo ma decisivo passo verso una maggiore consapevolezza e un importante segnale di compromesso offerto dalle grandi economie ai Paesi emergenti.
Nella fase degli accordi il ruolo degli Uniti d'America è stato determinante per negoziare l'impegno con le economie in via di sviluppo, perché solo attraverso una concreta presa di coscienza globale possiamo cercare di porre rimedio ai danni ambientali che abbiamo causato in poco più di un secolo.
Il ruolo degli USA non può solo essere quello di "grande inquinatore" in nome di uno sviluppo effimero e momentaneo, basato su modelli economici che sono oggi in discussione, bensì anche di "guida e modello" grazie agli alti livelli di ricerca e di civiltà aggiunti in questi anni in tema di sostenibilità.
Quella che Papa Francesco chiama "la cura della Casa Comune" nella lettera Enciclica Laudato Sì non può più essere rimandata: preservare l'ambiente in cui viviamo significa tutelare la salute e la sopravvivenza nostra e delle prossime generazioni, significa rispettare gli equilibri naturali da cui ricevere in cambio tutto ciò che ci serve per vivere, significa pensare al presente e al futuro.  La politica ha il dovere di guidare questo percorso indicando le priorità: la sopravvivenza del Pianeta in cui viviamo è una priorità assoluta. 

Consideriamo gli accordi di COP21 un passaggio fondamentale verso l'attuazione di politiche ambientali ed economiche che mettano al centro la sostenibilità, ovvero la possibilità di crescere e sviluppare comunità rispettose degli equilibri naturali avendo anche la possibilità di crescere e di migliorare il proprio stile di vita. Esprimiamo dunque grande preoccupazione per la decisione degli USA di ritirarsi dall'accordo, chiediamo al Presidente Trump di rivedere la sua decisione, invitiamo i Ministri e i delegati del G7 Ambiente di Bologna di attuare tutte le possibili forme di pressione sul governo degli Stati Uniti d'America affinché possa rientrare nell'accordo di COP21.

Questo ci aspettiamo da un grande Paese e a questo intendiamo collaborare con tutte le risorse che abbiamo a disposizione.

Il mio intervento:
"Ci troviamo a discutere un ordine del giorno che mi pone in grande difficoltà. E’ un’ordine del giorno squisitamente politico, uno dei pochissimi entrati in questa sala in questo mandato. E in un certo senso mi emoziona. 
Tuttavia, proprio perché si tratta di un tema politico, sarebbe il caso forse di discuterne.

E’ un tema sul quale non ci si può trovare in disaccordo: il benessere e la tutela del pianeta sono punti essenziali che la politica deve solcare. Ecco, non penso che si solchino con un G7 dove sono chiamate le cosiddette “maggior potenze mondiali” escludendo quelli che saranno i veri protagonisti del futuro di questo pianeta. i BRICS, oltre a essere un bellissimo tema proposto per il saggio breve agli esami di maturità, sono una realtà molto importante che deve essere presa in considerazione. Se non sarà così la discussione si terrà sempre nella parte occidentale del mondo con secondi fini. Pensiamoci un attimo: come può essere gestita la politica ambientale dell’intero pianeta da sette Paesi che, in tutta franchezza, con il clima litigano tutti i giorni? Non mi sento di affermare che l’Italia, con l’ILVA, gli ulivi espiantati per un gasdotto, la TAV, il gas estratto dal nostro mare, le vicende lucane, possa porsi ad esempio su questo tema insieme ad altri giganti che, come dire, con i gas serra ci tirano avanti la loro economia senza accennare a uno sviluppo sostenibile.

Quello che questo documento chiede mi sembra molto pretenzioso e, soprattutto, lo fa con l’interlocutore sbagliato.
Non ci sto a affermare una contraddizione, a elogiare chi sfrutta gli altri Paesi per inquinare di più. Non ci sto a sostenere che “noi” siamo i migliori, perché non è vero e lo dimostrano i dati degli investimenti in idrocarburi. Lo dimostrano le lotte che stanno portando avanti i cittadini delle terre inquinate, dove i lavoratori muoiono perché si recano sul posto di lavoro, lo dimostra il magnifico territorio italiano piegato sempre di più al volere delle multinazionali. Non è passato troppo tempo da quando i cittadini pugliesi bloccavamo i camion del TAP. Com’è che ci dimentichiamo? Com’è che ci scordiamo che dietro ai bei discorsi c’è una realtà che fa a pugni con l’ambiente? Non ci si può dimenticare.
Io non voglio dimenticarmene.

Il capitalismo verde è un magnifico ossimoro che non porterà nulla di buono perché si basa sulla logica che tutto ciò che mi arricchisce è bello. Poi se non è proprio verde, di verde ci sono sempre le banconote. Questa grande manifestazione che Bologna ospita, scusate, mi sembra una commissione ristretta a scapito di quanti sono esclusi che, guarda il caso fortuito: sono gli stessi Paesi che all’Occidente non sono simpatici. Non può essere una discussione seria e profonda, semmai è il momento per organizzare meglio il prossimo sfruttamento. 

Premesso tutto questo, consapevole che si tratta di una posizione politica che sia personalmente sia come forza politica, giudico sbagliata perché rivolta all’interlocutore sbagliato, annuncio voto contrario. E’ un voto contrario su questo testo e la logica che evidenzia. L’ambiente è un tema serio, che deve coinvolgere tutti, non i colonizzatori. E probabilmente Papa Francesco, siccome viene citato, l’ha capito dicendo il contrario di quanto si sta dicendo a Bologna. "