mercoledì 23 novembre 2016

Il pesante sottotesto di una riforma dannosa



La riforma costituzionale che ci apprestiamo a giudicare contiene un sottotesto che deve essere preso in considerazione. Finora ci siamo occupati di descrivere la riforma in ogni suo aspetto; tuttavia, è presente un tema che rappresenta il comune denominatore di tutta la riforma: la limitazione del potere del cittadino e la sua estromissione dalla politica. Sostanzialmente la riforma ci dice di affidarci a un governo forte, grazie a tutta la serie di meccanismi previsti, che starà in carica cinque anni e su cui i cittadini non avranno il benché minimo potere di controllo e di indirizzo.
Per approfondire il ragionamento mi riferirò a tre aspetti distinti che, però, costituiscono un unico disegno.

Iniziamo dall’istituzione principale della rappresentanza democratica in una democrazia parlamentare: il Parlamento. Per questa istituzione la riforma prevede una trasformazione del Senato, che sarebbe composto da 95 membri, fra consiglieri regionali e sindaci, nominati secondo un sistema di elezione di secondo livello ancora da definire. A far compagnia a questi 95 membri, ci saranno forse 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Ai nuovi senatori rimarrebbe l’assenza di vincolo di mandato, ciò significa che ogni senatore rappresenta sé stesso e non, come si vuole far credere, l’ente locale di provenienza. La Camera dei deputati si eleggerà attraverso l’Italicum: un sistema maggioritario che falsa il voto degli elettori trasformando in maggioranza assoluta una minoranza.
Il Senato, dalla composizione non certo rappresentativa delle istanze territoriali, acquisirebbe grossi poteri al pari della Camera; perderà solo il voto di fiducia al governo e il voto sul  bilancio generale, cosa strana per una camera che dovrebbe rappresentare i territori. Resteranno in capo al Senato tutti gli altri attuali poteri, aggiungendo la competenza in materia europea, valutazione delle politiche pubbliche, parere nel procedimento legislativo. In sostanza potremmo avere un ramo del Parlamento eletto non si sa bene in che modo, considerato che i sistemi di elezione dei consigli regionali cambiano da regione a regione; e l’altro eletto con un sistema che altera il voto.
Possiamo ben riassumere che, con questa riforma, la composizione del principale istituto di rappresentanza democratica sarebbe gravemente compromessa.

La volontà di tenere lontano i cittadini dalla politica e dalla vita del Paese si può constatare inoltre dalle nuove modalità di presentazione di referendum abrogativi e di proposte di legge di iniziativa popolare. In entrambi i casi il cittadino viene trattato con la formula “c’hai provato…”: infatti per i referendum abrogativi è previsto l’abbassamento del quorum all’affluenza delle ultime elezioni al raggiungimento delle 800.000 firme. Un vantaggio teorico che chiama in campo la disparità dei mezzi per la raccolta delle firme che, come si può osservare dalla campagna attuale, è questione seria e rilevante. In questo modo non si rafforza lo strumento d’indirizzo a disposizione del cittadino bensì, lo si mette a disposizione delle forze predominanti, per mezzi, del Paese.
Stessa dinamica per l’istituto di presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare per il quale, le firme da raccogliere, passerebbero da 50.000 a 150.000 con la promessa, del tutto ipotetica, dell’obbligo di presa in esame da parte della Camera.
Ciò che viene fatto è mettere più ostacoli possibili all’utilizzo di questi strumenti da parte del cittadino che, contemporaneamente, sarà mal rappresentato alla Camera e non rappresentato affatto al Senato. Quindi: un cittadino espropriato dei suoi poteri.

Il terzo aspetto di questo sottotesto è riscontrabile nella riforma del Titolo V, la parte che regola il rapporto fra Stato e regioni. Con l’accentramento di molte materie e lo spezzettamento in diversi aspetti delle stesse fra Stato e regioni, vediamo una riduzione di potere delle assemblee legislative regionali, organi elettivi, che si potrebbero vedere estromettere da alcune competenze. In questo campo inoltre il governo si è costruito una norma a proprio vantaggio: la “clausola di supremazia”. Con questo meccanismo lo Stato può richiamare a sé tutte le competenze ove ci fosse la necessità per “l’interesse nazionale”. Pensiamo ad esempio alle grandi opere, ai grandi pozzi fossili che un governo potrebbe poter attuare superando il parere degli enti locali e dei cittadini. Prendendo l’esempio più recente della battaglia contro le trivelle: se passasse la riforma, lo Stato potrebbe facilmente superare il parere contrario dei cittadini o degli organi regionali.

Da questi tre aspetti, coincidenti con le parti modificate dalla riforma, si può ben intuire come il cittadino ne uscirebbe fortemente indebolito dall’aumentare del potere della governance. La stessa che si sta costruendo i meccanismi per barricarsi non consentendo al cittadino di esercitare i diritti fondamentali sanciti dalla prima parte della Costituzione. La costruzione di un cittadino neutralizzato con una possibilità ridotta all’osso di incidere sulla vita pubblica del Paese. E’ questo il pesante sottotesto, da tenere ben presente, della riforma Renzi-Boschi.

venerdì 11 novembre 2016

L'elitarismo della Leopolda e il danno alla democrazia



Si è da poco conclusa la Leopolda: il raduno dei renziani a Firenze. Vorrei esprimere un ragionamento che mi fa credere, e sostenere, che ci troviamo difronte a una realtà pericolosa.
Ogni anno, quando sento parlare di questa manifestazione mi interrogo sulla sua natura. Ogni volta giungo alla stessa conclusione, cioè che si tratta di un abbrutimento della politica e di una chiusura elitaria.

Vorrei iniziare dalla prima definizione che mi fa utilizzare il termine “raduno” per definire la Leopolda. Di fatto si tratta del ritrovo dei fan, degli appassionati appassionanti di Renzi in cui non si fa altro che acclamare il leader. I contenuti sono sempre gli stessi seguendo quello stile di superiorità, un po’ presuntuoso e arrogante, di Matteo Renzi. Un abbrutimento della politica che,  con questo stile, si svuota del rispetto reciproco necessario all'interno del confronto pubblico. Veniamo alla seconda definizione che si lega a quanto appena detto, chiusura elitaria: gli interventi, le interviste, sono proposti da personalità appartenenti all’elite di questo Paese che si confrontano fra loro, se non poi scoprire immancabilmente la reciproca affinità ideale. Il problema è che al di fuori di quella sala, piena di “fighi", di smart, di “progressisti” che strizzano l’occhio al liberismo, ci sta il popolo che non ha la tessera di questo club ristretto e si vede tenuto lontano dalla celere. Perché, come ogni club che si rispetti, anche la Leopolda ha i buttafuori: chi controlla l’invito all’ingresso. I fortunati “leopoldini” si sentono forti, sicuri, protetti da un cordone di sicurezza d’onore: la polizia. Misura prodotta dalla natura elitaria di questo appuntamento.

E’ questo che mi fa dire che non ci troviamo difronte ad una manifestazione politica ma ad altro di non ben identificato. In una manifestazione politica ci si confronta, si discute, si dà voce al popolo, ai cittadini. Alla Leopolda, chi ha qualcosa da dire, viene tenuto fuori, guai farlo arrivare sul palco, rovinerebbe quella menzogna ottimista allucinogena che ci vogliono far credere. E allora, i precari precarizzati dal Jobs Act fuori; gli insegnanti della cattiva scuola fuori, i pensionati fuori.

Mi chiedo se questo si addica ad una democrazia, sistema che pretende il confronto. Mi chiedo se sia corretto che il Presidente del Consiglio continui a farsi acclamare su quel palco discreditando chi non ha la sua stessa idea.
Ci troviamo difronte a una manifestazione di governo alla quale non sono graditi tutti i cittadini. Su questo elemento conviene fare una riflessione perché, mi sembra evidente come la Leopolda non sia più la manifestazione di una parte del Partito Democratico, bensì una manifestazione del Governo, se non altro perché i suoi protagonisti sono diventati nel frattempo il Presidente del Consiglio e i suoi ministri. Un dettaglio sostanziale che modifica il contesto e il significato dell’appuntamento.
Se in quel luogo c’era il Governo di questo Paese, perché si sono tenuti fuori i cittadini per i quali, quel palco, rappresenta il potere esecutivo? Perché a quel microfono sono arrivati solo gli apologeti affascinati e profeti dell’ottimismo come Farinetti? Perché il Governo, presente in quella sala e su quel palco, ha utilizzato parole offensive e irridenti verso l’opposizione?  Non è un elemento di poco conto, forse va oltre all’abbrutimento della politica che, alla Leopolda, ha visto espressione.
Chi in questo momento detiene il potere si riunisce in un luogo pubblico e non permette, a chi avrebbe il diritto di manifestare la sua situazione, di farlo. Questo, mi sembra, non appartenga certo a un sistema democratico. Appartiene ad altri sistemi.

E’ su questo aspetto che penso sia necessario soffermarsi: il reiterarsi del raduno renziano con il medesimo stile nonostante il differente ruolo di Renzi nel Paese. Penso sia pressoché logico, date le condizioni in cui ci troviamo, giungere alla conclusione preoccupante di essere difronte a una pericolosa gestione del potere, trasformato quasi in oligarchico, a scapito del principio democratico della partecipazione.