venerdì 13 maggio 2016

La politica del meno peggio si è abbattuta sulle unioni civili



Ha vinto il “menopeggismo". Sono state approvate le unioni civili con l'ennesimo voto di fiducia posto dal Governo. Sebbene la legge introduca alcuni diritti, non mi sento soddisfatto. La mia insoddisfazione non è dovuta al mio ruolo di "gufo", seppur allo status ci tenga molto, bensì ai contenuti che sanciscono una netta differenza fra i cittadini.
La mia insoddisfazione è dovuta anche dal fatto che, guardando l'iter parlamentare del ddl Cirinnà, era possibile giungere a un'approvazione realmente rivoluzionaria. E' bene dire che il testo approvato non è lo stesso proposto dalla Senatrice Cirinnà che avrebbe visto favorevoli SEL e M5S solo attendendo ancora un po', ma è una riformulazione governativa scritta dopo che Renzi si è risentito del possibile torto ad Alfano. Vuoi tradire l'amico con cui hai tanta sintonia? No, allora concediamo ad Alfano ciò che vuole, cioè: un ampliamento dei diritti facendo però notare sempre e comunque la differenza fra amore di serie A e amore di serie Z.

Se andiamo in profondità ci accorgiamo che mentre si danno diritti certamente importanti, si marca ancor di più la differenza fra gli affetti. Prendiamo ad esempio il non obbligo di fedeltà. Non vorrei arrivare a facili generalizzazioni ma possiamo dire che una delle cause della fine dei matrimoni sia il tradimento del coniuge. Quindi la fedeltà non è solo un fatto etico-morale, ma diviene un importante dovere giuridico, tant'è che si ricorre al giudice presentando l'istanza di divorzio per tradimento. Allora perché non estendere questo dovere alle unioni civili? Per marcare la differenza: una coppia omosessuale è considerata di fatto come una coppia di amici, relazione per la quale non esiste obbligo di fedeltà. Non è un elemento di poco conto culturalmente parlando, siamo ben lontani dall'equiparazione culturale che deve, e può, essere aiutata dalla legge.

Poi c'è un problema istituzionale: si è posta la fiducia su un provvedimento che aveva riacceso il dibattito parlamentare e extra parlamentare. All'interno della società si sono risvegliati gli animi, si discute, si riflette, si manifesta; allora perché zittire l'aula con il voto di fiducia? Istituto che sposta, per sua natura, l'attenzione su tutta l'attività del governo e non potrà mai avere il consenso delle opposizioni, anche nel caso condividessero parte del provvedimento al voto.

Si ha l'impressione che alla politica 2.0 non interessi più il miglior risultato possibile, ma intestarsi la vittoria a qualunque costo, anche nel caso la vittoria frettolosa porti con sé un pesante esito culturale lasciandosi alle spalle molte realtà in attesa di risposta.

giovedì 5 maggio 2016

Tornare a una politica solida


 In questi giorni si è riaccesa la discussione sulla "questione morale". Dalle notizie che stanno arrivando copiose, possiamo trarre molti spunti di riflessione; per esempio partendo proprio dal concetto di questione morale associato ai singoli politici ma, forse in dose maggiore, alla forma partito. La domanda che mi pongo e, sulla quale mi piacerebbe ragionare, è: in una società liquida, nella quale i principali partiti sembrano aver scelto lo stato gassoso, chi è l’organo deputato a diffondere e a far rispettare la “questione morale”? La prima risposta spontanea potrebbe essere: i singoli secondo la propria moralità.
Tuttavia, prima ancora mi sorge un’altra domanda: chi seleziona e forma la classe dirigente, intesa come rappresentanti della cittadinanza all’interno delle istituzioni?

Per come intendo i ruoli politici all’interno della società, l’interprete dovrebbe sentirsi caricato di una forte responsabilità che chiama moralità e trasparenza. Non intendo fare il “pentastellato” tuttavia, vedo la trasparenza come una caratteristica importante per chi svolge un ruolo politico, senza giungere allo streaming di ogni operazione, altrimenti cadrebbe il concetto di democrazia rappresentativa.

I fatti di questi giorni, che riprendono molti altri episodi, dimostrano che non sono così scontati quei concetti di cui si parlava poco fa. Talvolta sono proprio assenti. Lo vediamo quando, un sindaco indagato per turbativa d’asta viene arrestato e, membri del partito dal quale si è auto sospeso, si scagliano contro i magistrati. Un partito, con all’interno una situazione pericolante dal punto di vista giudiziario, dovrebbe chiedersi come risolverla, cosa si è sbagliato e interrogarsi sull’assenza di una struttura solida di controllo interno. Anche se viene spontaneo, la difesa di un proprio rappresentante, potrebbe mettere in cattiva luce l’intero partito il che non mi sembra molto saggio. Forse più saggio sarebbe non toccare la magistratura concentrandosi sul perché molti dei rappresentanti del partito sono indagati. Forse potrebbe essere più utile fare questo ragionamento piuttosto che svolgere la funzione di avvocati, imitando peraltro un altro schieramento che, della difesa dei propri membri, ne ha fatto un fine politico.

Per una discussione interna però sono necessarie le sedi, i dibattiti, le segreterie; non funzionano le newsletter, i “Matteo risponde”, i tweet, le interviste radiofoniche, tutti strumenti che attengono alla comunicazione esterna non certo sostitutivi di un’analisi interna. Lo stato gassoso in cui versano alcuni partiti non crea le occasioni per questo; assistiamo a una dialettica che utilizza un lessico calcistico attraverso il quale pretende di arrivare a soluzioni spendibili. Come si può rimettere al centro la “questione morale” in strutture che non esistono, in strutture coscientemente distrutte.

Forse avrò un pensiero poco cool dato dal mio amore, dalla mia passione, per il partito di massa che mi sembra una soluzione plausibile verso l’immoralità. Partiti strutturati nei quali è presente un controllo, una discussione politica e un sentimento di appartenenza da sviluppare giorno dopo giorno secondo l’insieme di valori e il riferimento sociale scelto. Potrebbe essere un deterrente verso l’illecito in politica rispetto al quale c’è una responsabilità che va oltre al codice penale, che tocca la propria passione, la propria moralità. Non basta promulgare leggi con l’intenzione di sancire per legge la moralità, peraltro presente nella nostra Costituzione. La moralità fa parte della cultura, dell’identità, tutti ambiti nei quali la legislazione, seppur sofisticata, non potrà mai coprire l’infinità di casi possibili. Il compito di educare alla moralità è dei soggetti stessi: se parliamo politicamente, sono i partiti a dover avere in sé la “questione morale. E’ evidente la difficoltà di questo compito in strutture che non esistono, sarebbe molto più fattibile tornando a organizzazioni solide, percepibili da chi si trova all’interno, esercitando il diritto di rappresentare, e da chi si trova all’esterno, esercitando il diritto di essere rappresentato.

Continuo ancora ad essere convinto dell’effetto positivo che si avrebbe in termini di affezione rientrando nelle sezioni, ridando un ordine,  un orientamento alle idee; ricominciando a usare le parole per il loro significato.

Molti considerano la politica di oggi come il nuovo, lo sbarazzarsi ti tutte quelle strutture che qualcuno definisce inutili, parassite. Osservando gli ultimi tempi ribadisco il concetto che scrissi qualche anno fa: se questo è il nuovo, io voglio essere considerato “vecchio.