martedì 13 dicembre 2016

Il sistema proporzionale: l'unico a favore dei cittadini

 

Il voto del 4 Dicembre è stato interpretato in molti modi diversi, anche andando oltre ciò che è stato l’oggetto del referendum. Sono sempre convinto sull’attribuire un significato principale a questo appuntamento: un giudizio da parte dei cittadini sulla riforma costituzionale. Tenendo conto dell’affluenza registrata si può assumere che il cittadino, quando percepisce il potere nelle proprie mani, partecipa e decide. Questa lezione, che ha gettato sconforto in molti ambiti della politica, deve essere tenuta in considerazione in quella che si potrebbe definire come la “seconda fase”: l’introduzione di una legge elettorale, possibilmente costituzionale, che consenta il rinnovo del Parlamento.
Una legge elettorale che deve essere formulata e proposta dal Parlamento come dispone la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il Porcellum, la quale ha dichiarato legittimo questo parlamento per consentirgli di produrre una legge elettorale qualora non accettasse il residuo risultante dalla sentenza. A parte il clamoroso fuoristrada della riforma costituzionale frutto di una pericolosa forzatura del Governo Renzi, la legge elettorale sarebbe l’unico obiettivo della legislatura.

Il sistema che risponde al desiderio, nonché al diritto, di partecipazione dei cittadini è il proporzionale. Con questo sistema elettorale si attuerebbero diversi principi costituzionali come ad esempio: la partecipazione, il voto eguale, la sovranità nelle mani del popolo.  Considero questo sistema l’unico in grado di rispettare la volontà popolare nel sistema politico italiano. La mia considerazione parte dal concetto di rappresentanza: il Parlamento deve essere specchio della società, solo così rappresenterà realmente i cittadini. Per un momento non pensiamo al panorama internazionale, si rischierebbe di paragonare sistemi sociali, politici e partitici differenti. Consideriamo il sistema sociale, politico e partitico italiano, con la sua cultura e la sua storia. Oggi, come agli inizi della repubblica, viviamo in una società estremamente complessa, piena di sfumature, idee e culture difficili da sintetizzare. Forse questa difficoltà ci può suggerire di non sintetizzarle, ma di farle esprimere dando a tutti la possibilità di essere rappresentati nell’organo legislativo. Siamo abituati a pensare “l’offerta politica” solo come l’insieme dei partiti che attualmente siedono in Parlamento, mentre la società è composta da molte altre sfumature. C’è un terribile scollamento, prodotto dal Porcellum, fra Parlamento e società. Fattore che potremmo far rientrare fra le molte cause della disaffezione alla politica. Quando si inizia a maneggiare la volontà popolare fabbricando rappresentanze di comodo può accadere che, il potere percepito dal cittadino nelle proprie mani, si abbassi fino a provocare atteggiamenti di rifiuto.
Con il referendum del 4 Dicembre, nel quale il cittadino poteva realmente dare un indirizzo senza che fosse rimaneggiato, la partecipazione è aumentata. Spero che la politica faccia buon uso di questo elemento.

Il Governo Gentiloni, non rappresentativo perché frutto di una maggioranza eletta con una legge elettorale incostituzionale - questa è l’espressione più dettagliata che solitamente viene sintetizzata con “governo non eletto” - lo preciso perché non vorrei mai che i “riformatori” mi accusassero di non conoscere la Costituzione, dovrebbe stare il più possibile immobile riscoprendo il ruolo esecutivo lasciando al Parlamento il legittimo compito di formulare una legge elettorale.
La fase nella quale stiamo entrando potrebbe essere l’occasione per riallineare la Costituzione sostanziale a quella formale: un governo meno forte favorirebbe la riappropriazione, da parte del Parlamento, del potere legislativo. Dopo la bocciatura della riforma che voleva formalizzare la prassi sbagliata degli ultimi anni, è necessario ritrovare il dettato costituzionale e attuarlo. Cominciando da un sistema elettorale proporzionale.

martedì 6 dicembre 2016

La Costituzione è salva



 
La Costituzione è salva.
Mi sembra il modo migliore per iniziare questo articolo. Dopo una campagna referendaria sbilanciata, arrogante, presuntuosa, aggressiva, i cittadini hanno scelto di tenere la Costituzione vigente.
Il dato da cui iniziare è l’affluenza. Con il 68% i cittadini hanno dimostrato di voler partecipare e di voler affermare un’idea. Abbiamo dimostrato di essere una cittadinanza partecipante qualora ci venga chiesto un’opinione. L’affluenza a questo livello rafforza di più il risultato del voto, che dice come il popolo sia contrario a questa riforma.
Abbiamo votato a un referendum costituzionale: è importante ricordarlo. L’oggetto era la riforma costituzionale presentata dal Governo Renzi. Non nego che, la forte personalizzazione, possa aver creato sacche di oppositori del Governo, tuttavia mi trovo in assoluto disaccordo con chi sostiene che sia stato un voto politico. O meglio, se per “voto politico” intendiamo la scelta sulla qualità della democrazia, sì; ma non è stato un voto sulle politiche. Almeno per la maggior parte dei cittadini. Ci tengo molto a questo concetto: ne va della dignità del cittadino che è in grado di esprimersi sulla Costituzione, approfondendo la materia, informandosi e scegliendo. Se pensassi il contrario insulterei me stesso e i miei concittadini.

La natura di questo voto mi fa esprimere un’altro concetto: in questo appuntamento elettorale non esistevano programmi politici da votare; c’era una riforma costituzionale da bocciare o promuovere. Il comitato per il No e il Comitato per il Sì non erano due partiti che si presentavano alle elezioni. Sono stati organizzazioni promotrici di due visioni diverse, ma non si può attribuire la responsabilità del futuro a questi. In un referendum si confrontano due idee sull’oggetto del quesito. E’ un’assurdità imputare il futuro del Paese al NO, perché non era questo il compito  del No. Il No non si è presentato alle elezioni, il No era una delle risposte alla domanda. E’ il funzionamento di qualsiasi referendum.
Il futuro del Paese è in mano al sistema democratico, alle forze politiche, alle istituzioni. Se vogliamo discutere delle proposte di alcuni componenti del comitato per il No, lo possiamo fare ma valutandole singolarmente. Il Comitato per il No si è già sciolto, ha raggiunto l’obiettivo, non ne aveva altri. Adesso sta alle forze politiche.

Non sono preoccupato per il futuro, tutt’altro. Con le garanzie della nostra Costituzione non dobbiamo temere nulla. Lo sarei stato se fosse passata la riforma ma, nella situazione attuale, non mi spaventa. Certo, adesso è necessario procedere con alcune azioni, come ad esempio produrre una legge elettorale decente per Camera e Senato possibilmente in Parlamento. Il sistema migliore è il proporzionale che incrementa la partecipazione e dà eguale rappresentanza. A chi cita la “governabilità” bisogna ricordare che un governo non si può fabbricare in provetta, ma necessita di un consenso sociale. Se la società presenta conflitto, è bene rappresentarlo in Parlamento e costruire un governo partendo da quel conflitto. Personalmente non disprezzo i governi di coalizione se questi sono costruiti con il criterio della rappresentanza. L’Italicum va archiviato immediatamente, anche per evitare un’altra bocciatura da parte della Consulta. A meno che a questa classe politica non piaccia farsi bocciare le leggi dalla Corte costituzionale. Sarebbe la seconda.

Sono un cittadino che ama la Costituzione, a cui piace la politica nella quale credo fermamente. Non posso fingere di non essere contento e essere preoccupato perché mentirei. Sono convinto che si debba tornare a una discussione politica rispettosa, non arrogante e a favore dei cittadini. Questo voto comunica un messaggio chiaro all’élite, alle agenzie di rating, ai grandi speculatori finanziari. Comunica il bisogno di politica che guardi alle persone, ai bisogni e ai diritti di esse. E da questo messaggio bisogna cominciare.

venerdì 2 dicembre 2016

Io dico No!




Ci siamo. Dal 2015 ho seguito la campagna per il No in questo referendum: prima aderendo al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, poi aderendo al Comitato per il No.
Ci siamo, il voto per la democrazia è a pochi passi di una maratona che ho corso insieme a compagni straordinari, provando emozioni incredibili. Mi sembrerebbe superfluo spiegare perché Domenica voterò No, ne ho parlato molto provando ad esporre cosa non va di questa riforma.

Continuo a pensare che da questo referendum passi la democrazia, la sua qualità, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Da questo referendum passa il diritto di partecipare alle scelte di questo Paese. Nell’ultimo articolo ho voluto approfondire il pericoloso sottotesto di questa riforma che a mio parere sintetizza i motivi per cui dire No.
Con questa riforma si vuole escludere il cittadino dalla politica, si vogliono consegnare le sorti del Paese ad un’élite di potere che ci fanno credere di poter eleggere, di poter scegliere. Ci stanno dicendo di affidarci, di fidarci di non occuparci più di politica. Noi cittadini intralciamo i grandi lavori: pretendiamo diritti, lavoro, welfare, istruzione, mentre la grande finanza dei numeri deve comandare.  La JP Morgan ce l’ha detto: la nostra Costituzione democratica intralcia l’economia e la finanza. Attenzione: ci dice che ostacola, non le politiche economiche, bensì gli interessi economici dei grandi potentati.
Solo che i loro interessi non combaciano con quelli dei cittadini. E allora ci vorrebbero togliere il diritto di eleggere i senatori, di eleggere decentemente la Camera, di proporre referendum, di proporre leggi, di incidere sulle politiche locali. Ci vogliono togliere i diritti di scelta, i diritti che rendono vivo il cittadino consegnandolo a una rassegnazione perenne.

Si sono inventati la storiella del “cambiamento”, si sono scordati però di dirci come sarà: se in meglio o in peggio. Perché di per se il cambiamento non è positivo per definizione. E’ necessario capire come si vuole cambiare e verso dove. Nel caso di questa riforma è chiaro come si voglia andare verso un peggioramento della qualità della democrazia. E allora io dico No!

Dico No a una riforma che ci vuole togliere il diritto di partecipare. Dico No a un rafforzamento dei poteri del Governo e a un indebolimento del Parlamento; dico No all’inversione del rapporto fra potere legislativo e esecutivo. Dico No al vantaggio iniquo sul referendum abrogativo che lo rende uno strumento facile per le grandi organizzazioni a scapito del cittadino. Dico No all’aumento del numero di firme richiesto per la presentazione di leggi di iniziativa popolare: non mi bevo la falsità della certezza dell’esame da parte della Camera.
Dico No al nuovo Senato, composto male e nominato ancora peggio. Dico No alla riduzione di potere dei territori, non credo alla bugia della loro rappresentanza nel nuovo Senato, è una falsità. Dico no al pestaggio dei territori in nome de “l’interesse nazionale”.

Dico No all’imposizione di una stabilità che non guarda all’interesse dei cittadini; dico No alla pretesa, peraltro impossibile da realizzare, di incidere sulle questioni politiche modificando la Costituzione. C’è l’idea sbagliata che cambiando la Costituzione si migliori la qualità della politica. E’ falso. Modificando la Costituzione si incide sulla qualità della democrazia. Dico no a una riforma che divide la società, imposta dal Governo che non tiene conto dello scarso appoggio da parte dei cittadini.

Sono un cittadino che vuole continuare a poter esercitare i diritti previsti dalla nostra Costituzione; sono un cittadino che vuole continuare a contare con tutti gli altri. Amo la Costituzione. Ecco perché voto NO!

Buon voto a tutti.

mercoledì 23 novembre 2016

Il pesante sottotesto di una riforma dannosa



La riforma costituzionale che ci apprestiamo a giudicare contiene un sottotesto che deve essere preso in considerazione. Finora ci siamo occupati di descrivere la riforma in ogni suo aspetto; tuttavia, è presente un tema che rappresenta il comune denominatore di tutta la riforma: la limitazione del potere del cittadino e la sua estromissione dalla politica. Sostanzialmente la riforma ci dice di affidarci a un governo forte, grazie a tutta la serie di meccanismi previsti, che starà in carica cinque anni e su cui i cittadini non avranno il benché minimo potere di controllo e di indirizzo.
Per approfondire il ragionamento mi riferirò a tre aspetti distinti che, però, costituiscono un unico disegno.

Iniziamo dall’istituzione principale della rappresentanza democratica in una democrazia parlamentare: il Parlamento. Per questa istituzione la riforma prevede una trasformazione del Senato, che sarebbe composto da 95 membri, fra consiglieri regionali e sindaci, nominati secondo un sistema di elezione di secondo livello ancora da definire. A far compagnia a questi 95 membri, ci saranno forse 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Ai nuovi senatori rimarrebbe l’assenza di vincolo di mandato, ciò significa che ogni senatore rappresenta sé stesso e non, come si vuole far credere, l’ente locale di provenienza. La Camera dei deputati si eleggerà attraverso l’Italicum: un sistema maggioritario che falsa il voto degli elettori trasformando in maggioranza assoluta una minoranza.
Il Senato, dalla composizione non certo rappresentativa delle istanze territoriali, acquisirebbe grossi poteri al pari della Camera; perderà solo il voto di fiducia al governo e il voto sul  bilancio generale, cosa strana per una camera che dovrebbe rappresentare i territori. Resteranno in capo al Senato tutti gli altri attuali poteri, aggiungendo la competenza in materia europea, valutazione delle politiche pubbliche, parere nel procedimento legislativo. In sostanza potremmo avere un ramo del Parlamento eletto non si sa bene in che modo, considerato che i sistemi di elezione dei consigli regionali cambiano da regione a regione; e l’altro eletto con un sistema che altera il voto.
Possiamo ben riassumere che, con questa riforma, la composizione del principale istituto di rappresentanza democratica sarebbe gravemente compromessa.

La volontà di tenere lontano i cittadini dalla politica e dalla vita del Paese si può constatare inoltre dalle nuove modalità di presentazione di referendum abrogativi e di proposte di legge di iniziativa popolare. In entrambi i casi il cittadino viene trattato con la formula “c’hai provato…”: infatti per i referendum abrogativi è previsto l’abbassamento del quorum all’affluenza delle ultime elezioni al raggiungimento delle 800.000 firme. Un vantaggio teorico che chiama in campo la disparità dei mezzi per la raccolta delle firme che, come si può osservare dalla campagna attuale, è questione seria e rilevante. In questo modo non si rafforza lo strumento d’indirizzo a disposizione del cittadino bensì, lo si mette a disposizione delle forze predominanti, per mezzi, del Paese.
Stessa dinamica per l’istituto di presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare per il quale, le firme da raccogliere, passerebbero da 50.000 a 150.000 con la promessa, del tutto ipotetica, dell’obbligo di presa in esame da parte della Camera.
Ciò che viene fatto è mettere più ostacoli possibili all’utilizzo di questi strumenti da parte del cittadino che, contemporaneamente, sarà mal rappresentato alla Camera e non rappresentato affatto al Senato. Quindi: un cittadino espropriato dei suoi poteri.

Il terzo aspetto di questo sottotesto è riscontrabile nella riforma del Titolo V, la parte che regola il rapporto fra Stato e regioni. Con l’accentramento di molte materie e lo spezzettamento in diversi aspetti delle stesse fra Stato e regioni, vediamo una riduzione di potere delle assemblee legislative regionali, organi elettivi, che si potrebbero vedere estromettere da alcune competenze. In questo campo inoltre il governo si è costruito una norma a proprio vantaggio: la “clausola di supremazia”. Con questo meccanismo lo Stato può richiamare a sé tutte le competenze ove ci fosse la necessità per “l’interesse nazionale”. Pensiamo ad esempio alle grandi opere, ai grandi pozzi fossili che un governo potrebbe poter attuare superando il parere degli enti locali e dei cittadini. Prendendo l’esempio più recente della battaglia contro le trivelle: se passasse la riforma, lo Stato potrebbe facilmente superare il parere contrario dei cittadini o degli organi regionali.

Da questi tre aspetti, coincidenti con le parti modificate dalla riforma, si può ben intuire come il cittadino ne uscirebbe fortemente indebolito dall’aumentare del potere della governance. La stessa che si sta costruendo i meccanismi per barricarsi non consentendo al cittadino di esercitare i diritti fondamentali sanciti dalla prima parte della Costituzione. La costruzione di un cittadino neutralizzato con una possibilità ridotta all’osso di incidere sulla vita pubblica del Paese. E’ questo il pesante sottotesto, da tenere ben presente, della riforma Renzi-Boschi.

venerdì 11 novembre 2016

L'elitarismo della Leopolda e il danno alla democrazia



Si è da poco conclusa la Leopolda: il raduno dei renziani a Firenze. Vorrei esprimere un ragionamento che mi fa credere, e sostenere, che ci troviamo difronte a una realtà pericolosa.
Ogni anno, quando sento parlare di questa manifestazione mi interrogo sulla sua natura. Ogni volta giungo alla stessa conclusione, cioè che si tratta di un abbrutimento della politica e di una chiusura elitaria.

Vorrei iniziare dalla prima definizione che mi fa utilizzare il termine “raduno” per definire la Leopolda. Di fatto si tratta del ritrovo dei fan, degli appassionati appassionanti di Renzi in cui non si fa altro che acclamare il leader. I contenuti sono sempre gli stessi seguendo quello stile di superiorità, un po’ presuntuoso e arrogante, di Matteo Renzi. Un abbrutimento della politica che,  con questo stile, si svuota del rispetto reciproco necessario all'interno del confronto pubblico. Veniamo alla seconda definizione che si lega a quanto appena detto, chiusura elitaria: gli interventi, le interviste, sono proposti da personalità appartenenti all’elite di questo Paese che si confrontano fra loro, se non poi scoprire immancabilmente la reciproca affinità ideale. Il problema è che al di fuori di quella sala, piena di “fighi", di smart, di “progressisti” che strizzano l’occhio al liberismo, ci sta il popolo che non ha la tessera di questo club ristretto e si vede tenuto lontano dalla celere. Perché, come ogni club che si rispetti, anche la Leopolda ha i buttafuori: chi controlla l’invito all’ingresso. I fortunati “leopoldini” si sentono forti, sicuri, protetti da un cordone di sicurezza d’onore: la polizia. Misura prodotta dalla natura elitaria di questo appuntamento.

E’ questo che mi fa dire che non ci troviamo difronte ad una manifestazione politica ma ad altro di non ben identificato. In una manifestazione politica ci si confronta, si discute, si dà voce al popolo, ai cittadini. Alla Leopolda, chi ha qualcosa da dire, viene tenuto fuori, guai farlo arrivare sul palco, rovinerebbe quella menzogna ottimista allucinogena che ci vogliono far credere. E allora, i precari precarizzati dal Jobs Act fuori; gli insegnanti della cattiva scuola fuori, i pensionati fuori.

Mi chiedo se questo si addica ad una democrazia, sistema che pretende il confronto. Mi chiedo se sia corretto che il Presidente del Consiglio continui a farsi acclamare su quel palco discreditando chi non ha la sua stessa idea.
Ci troviamo difronte a una manifestazione di governo alla quale non sono graditi tutti i cittadini. Su questo elemento conviene fare una riflessione perché, mi sembra evidente come la Leopolda non sia più la manifestazione di una parte del Partito Democratico, bensì una manifestazione del Governo, se non altro perché i suoi protagonisti sono diventati nel frattempo il Presidente del Consiglio e i suoi ministri. Un dettaglio sostanziale che modifica il contesto e il significato dell’appuntamento.
Se in quel luogo c’era il Governo di questo Paese, perché si sono tenuti fuori i cittadini per i quali, quel palco, rappresenta il potere esecutivo? Perché a quel microfono sono arrivati solo gli apologeti affascinati e profeti dell’ottimismo come Farinetti? Perché il Governo, presente in quella sala e su quel palco, ha utilizzato parole offensive e irridenti verso l’opposizione?  Non è un elemento di poco conto, forse va oltre all’abbrutimento della politica che, alla Leopolda, ha visto espressione.
Chi in questo momento detiene il potere si riunisce in un luogo pubblico e non permette, a chi avrebbe il diritto di manifestare la sua situazione, di farlo. Questo, mi sembra, non appartenga certo a un sistema democratico. Appartiene ad altri sistemi.

E’ su questo aspetto che penso sia necessario soffermarsi: il reiterarsi del raduno renziano con il medesimo stile nonostante il differente ruolo di Renzi nel Paese. Penso sia pressoché logico, date le condizioni in cui ci troviamo, giungere alla conclusione preoccupante di essere difronte a una pericolosa gestione del potere, trasformato quasi in oligarchico, a scapito del principio democratico della partecipazione.

giovedì 20 ottobre 2016

Un No per democrazia e partecipazione




La riforma Renzi-Boschi riduce drasticamente gli spazi di democrazia. Del resto è quello che le elite finanziarie hanno chiesto al governo italiano con una lettera, neanche troppo ermetica, nel 2013. Ricordiamo la lettera di JP Morgan nella quale si chiedeva, identificando proprio l’Italia come destinatario, di ridurre lo spazio di rivendicazione, di intervento, di partecipazione dei cittadini.

Recentemente questo collegamento è stato definito come “lunare” dal fronte del Sì per mezzo di Fabrizio Rondolino, giornalista de l’Unità. Lasciamo da parte un attimo la propaganda facendo ciò che dovrebbe fare il suddetto giornalista: cioè informare. Mettiamo in fila tre misure che introduce la riforma Renzi-Boschi.

Aumento delle firme richieste per la presentazione di una legge d’iniziativa popolare: passano da 50.000 a 150.000. Si tocca il diritto di rappresentanza attiva rendendo più difficile presentare una proposta di legge da parte di cittadini; un diritto che è fondamentale per la partecipazione democratica in attuazione dell’articolo 1 della Costituzione. Si dice: però c’è la certezza dell’esame delle Camere, che detto in parole più comprensibili, sarebbe: prova a presentarmi una proposta di legge poi se, nel caso, quando, qualora ce la facessi la discutiamo.
Sappiamo bene quanto questo diritto sia importante per il collegamento fra cittadino e Parlamento che, in questo modo viene reso più difficile.

Referendum abrogativo: se la richiesta è supportata da 800.000 firme, il quorum passa dal 50%+1 degli aventi diritto all’affluenza alle ultime elezioni per la Camera dei Deputati. Anche in questo caso il presunto vantaggio scatta dopo aver superato l’ostacolo enorme delle 300.000 firme in più.
Stiamo parlando degli strumenti di democrazia diretta che servono a garanzia, a tutela, dei cittadini i quali possono intervenire nell’attività dei loro rappresentanti modificandola, correggendola, implementandola.

Lo statuto delle opposizioni: per tutelare le minoranze si prevede che il regolamento della Camera dei Deputati disciplini lo statuto delle opposizioni. Il regolamento della Camera è votato senza maggioranze qualificate quindi, i diritti delle opposizioni saranno stabiliti dalla maggioranza assoluta. Cioè, sempre per tradurre: chi esprime il governo disciplina anche il comportamento della sua opposizione.

Da queste tre misure si può vedere come sia una completa falsità “l’ampliamento della democrazia” sostenuta dai promotori della riforma. Siamo difronte a una modifica della Costituzione che riduce sensibilmente gli spazi di partecipazione, di intervento diretto dei cittadini consegnando il Paese nelle mani di un’oligarchia che governerà indisturbata per cinque anni fino al suo rinnovo.

Il sottotesto di questa riforma è una deriva tremendamente grave: l’estromissione dei cittadini dalla politica del Paese, dalle istituzioni costruendo le condizioni istituzionali per non rappresentare più il conflitto sociale. Ci stanno dicendo che non ci deve interessare la vita politica del nostro Paese; ci dobbiamo affidare, consegnando le nostre armi democratiche.

Ebbene, occorre un’inversione di rotta forte facendo sentire la nostra voce, la voce di chi non accetterà mai di consegnarsi nelle mani di qualcuno. La voce di chi vuole democrazia e partecipazione.

giovedì 13 ottobre 2016

E' un No. Anche senza Italicum



E’ possibile giudicare la riforma costituzionale dalla legge elettorale vigente? Questa è la domanda che potrebbe insinuare l’ultima apertura del segretario PD Renzi che, nell’ultima Direzione, ha riaperto la discussione sulla legge elettorale. Ammesso e non concesso che Renzi voglia veramente rivedere l’Italicum, è possibile giudicare diversamente la riforma costituzionale? Assolutamente no.

Il cosiddetto combinato disposto fra legge elettorale e riforma costituzionale è solo uno dei lati negativi dell’assetto istituzionale proposto. Un sistema istituzionale che ridurrebbe di molto la democrazia rappresentativa e lederebbe di fatto il diritto di rappresentanza dei cittadini. Infatti il Senato, che non sparirebbe, diventerebbe una seconda camera composta da consiglieri regionali e sindaci che, a tempo perso, acquisirebbero poteri enormi nella loro funzione di senatori. Come il voto su leggi di revisione costituzionale, nomina di due giudici della Corte costituzionale, elezione del Presidente della Repubblica, competenza in materia europea; per non parlare del potere monco sulla legislazione ordinaria. I senatori si occuperebbero di tutte queste materie senza essere eletti direttamente, ma nominati dai consigli regionali sulla base di un regolamento ancora da scrivere.

E’ impossibile credere a chi si è fatto promotore di provvedimenti per reintrodurre l’elezione diretta dei senatori, questo infatti implicherebbe una revisione della revisione costituzionale poiché, la non elezione, è contenuta nel testo della riforma Renzi-Boschi che prevede di fatto semmai l’elezione di secondo livello. Per fare ciò che la minoranza PD si sta convincendo di fare, è necessaria una revisione del testo approvato: possibilità che, in caso di vittoria del Sì al referendum, Renzi allontanerebbe immediatamente. Un po’ come il ponte sullo Stretto.

Un’altra ragione per votare NO indipendentemente dalla riforma bis della legge elettorale è il caos pasticciato del Titolo V . I rapporti fra Stato e regioni potrebbero diventare alquanto conflittuali grazie allo spezzettamento di materie per le quali i governi regionali dovranno interloquire con il Governo centrale. Per non parlare delle materie locali scippate ai consigli regionali e l’introduzione del diritto di supremazia.

Si dice che questa piccola riduzione sarà compensata nel Senato delle Regioni: la seconda camera che fungerà da dopolavoro per sindaci e consiglieri regionali che potranno esercitare il ruolo, datogli per grazia dai loro colleghi, senza vincolo di mandato. Quindi un consigliere regionale potrebbe fare scelte politiche non rappresentando il territorio da cui proviene. L’assenza di vincolo di mandato fa sentire ancora di più la mancanza di un’elezione diretta a suffragio universale. E’ possibile vederlo con un esempio pratico: un candidato al consiglio regionale farà campagna elettorale sui temi territoriali e locali. Questo candidato successivamente eletto, viene poi nominato senatore cioè, nella logica della riforma, rappresentante del suo territorio in Senato. Tuttavia il senatore non avrà nessun obbligo di portare a Roma l’indirizzo politico del consiglio regionale dal quale proviene. La sintesi è che questo senatore non è rappresentativo del territorio di provenienza perché, primo: non è stato eletto per sedere in Senato; secondo: potrebbe farsi interprete di politiche differenti da quelle che interessano il territorio.

Lo slogan populista dell’abolizione delle province non dice che, nel testo di riforma, viene riconosciuta l’istituzione della Città Metropolitana: la copia identica, sia per competenza che per struttura alla provincia. L’unica concreta differenza è la non partecipazione dei cittadini all’elezione dei consigli metropolitani, diritto attribuito all’élite di sindaci e consiglieri comunali che, per questo, interpretano sia l’elettorato passivo sia quello attivo. Possiamo dire che “l’abolizione delle province” è solo dal punto di vista lessicale e dal punto di vista democratico.

Pur mantenendo fede al presupposto di questo articolo che lascia da parte la discussione legge elettorale per la Camera dei Deputati, è possibile dire qualcosa anche su questo ramo del Parlamento. Infatti, leggendo il testo di “revisione” costituzionale ci si imbatte in un comma che sancisce il diritto del governo di chiedere l’approvazione in data certa di un disegno di legge. Il sistema attuale prevede che difronte a un decreto legge il Parlamento si esprima entro 60 giorni. Se passasse la riforma Renzi-Boschi, il governo avrebbe il diritto di chiedere, e imporre, l’approvazione  della Camera entro 70 giorni su tutti i provvedimenti deliberati. Questo provocherebbe una riduzione dei tempi di discussione e conseguentemente una prevaricazione del governo nei confronti della Camera.

Come vediamo da questo breve, e non certo esaustivo, elenco le trasformazioni sono molte; e’ perciò impossibile prendere in considerazione solo la legge elettorale per valutare questa riforma. E' necessario per questo ricordare, a quanti stanno rimettendo in discussione il loro giudizio, che anche senza Italicum si tratta di un vero e proprio stravolgimento dell’assetto politico-istituzionale del Paese; e se approvato avrebbe una pesante influenza negativa sulle pratiche democratiche e di partecipazione.

sabato 8 ottobre 2016

Consiglio Metropolitano: io mi astengo! Vuoi sapere il perché?




Domenica 9 Ottobre si svolgeranno le elezioni del Consiglio metropolitano di Bologna: l’assemblea della Città Metropolitana che, con questo voto, passerà dalla fase costituente all’operatività delle sue funzioni. Prima di dichiarare quale sarà il mio voto, è bene inquadrare la situazione.

L’elezione del Consiglio metropolitano  si definisce “di secondo livello” cioè, non saranno i cittadini elettori a scegliere i consiglieri metropolitani ma i sindaci e i consiglieri comunali dell’area metropolitana di Bologna. Essi infatti interpreteranno sia l’elettorato attivo che passivo quindi, in altre parole, saranno sia elettori che eletti. Questa è la grande differenza sostanziale rispetto all’istituzione provinciale il cui consiglio era eletto a suffragio universale.

Entriamo un po’ più nel dettaglio. Trattandosi di elettori rappresentanti di altri elettori, per determinare i voti reali a ogni lista saranno utilizzati dei moltiplicatori associati alle fasce di popolazione dei comuni dell’area metropolitana. I voti che i sindaci e i consiglieri comunali attribuiranno ai candidati saranno moltiplicati per un numero che varierà a seconda della popolazione del comune da cui proviene l’elettore. Ad esempio il gruppo dei comuni con popolazione superiore ai 10.000 e inferiore o uguale a 30.000 abitanti avranno come moltiplicatore il numero 102. Ciò vuol dire che, tutti i voti dei sindaci e consiglieri dei comuni appartenenti a questa fascia, fra cui Sasso Marconi, saranno moltiplicati per 102.

Dal funzionamento di questo meccanismo emerge come, la Città Metropolitana di Bologna, non avrà un Consiglio rappresentativo dei cittadini dell’area metropolitana, bensì rappresenterà solo gli eletti negli enti locali. Il ragionamento sarebbe coerente se non si usasse il moltiplicatore: meccanismo che attribuisce la scelta del singolo elettore a un insieme di cittadini. I quali, verosimilmente, non sapranno neanche quale sarà la composizione del Consiglio. E’ chiaro come in questo la Città Metropolitana rappresenti una riduzione di democrazia imposta nel nome del contenimento dei costi. Non si sono abolite le province, sono state sostituite da questa nuova istituzione che non risponde ai cittadini, ma a un’élite di eletti.
Questo è il quadro nel quale sarei chiamato a esprimere il mio voto in quanto consigliere comunale di Sasso Marconi.

Per questa elezione sono candidate quattro liste: Rete Civica, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Uniti per l’Alternativa. E’ assente la rappresentanza della Sinistra, elemento non trascurabile politicamente.

La mia scelta sarà di astenermi. Questa scelta è fondata su due motivi principali: il primo tiene conto della modalità di elezione che mi costringe a scegliere per 102 cittadini, il che non mi sembra rientri nei compiti per cui sono stato eletto. Il secondo, più politico, tiene conto dell’offerta elettorale presente: l’assenza di una lista di riferimento della Sinistra, com’è stata invece per l’elezione del 2014 con Sinistra per i Beni Comuni, non consente di esercitare il voto in coerenza. Principio che, pur non togliendo dall’imbarazzo di scegliere per qualcun altro che potrà non sapere di questa scelta, può essere uno stimolo al voto considerando la propria provenienza politica. Tuttavia, in questo caso, non è possibile perché non è presente nessuna lista che rappresenti la mia idea di città metropolitana.

martedì 27 settembre 2016

Domenica 2 Ottobre io corro con Stefano

 

Domenica 2 Ottobre io corro con Stefano Cucchi. Tutta la mia vicinanza e il mio pensiero vanno al comitato Promotore Memorial Stefano Cucchi e a Ilaria Cucchi che, per Domenica 2 Ottobre, hanno organizzato una maratona in ricordo di Stefano al Parco degli Acquedotti a Roma.

Non potrò partecipare fisicamente ma tengo fortemente a promuovere questa iniziativa. Un evento di ricordo, di denuncia, di civiltà.
La ricerca della verità sulla morte di Stefano deve essere una priorità per questo Paese; non si può accettare l’idea che non ci siano colpe, che nessuno paghi per ciò che è successo. Stefano è morto mentre era sotto la tutela dello Stato e questo Stato deve fare di tutto per determinare la verità. Zittendo possibilmente quei politici che ancora accusano Stefano, non si sa bene per cosa.

Il 2 Ottobre io corro con Stefano per chiedere la verità; io corro con Stefano perché anche in Italia sia introdotto il reato di tortura; io corro con Stefano per ricordare alle istituzioni di non dimenticare.
Io corro con Stefano perché chi vestendo una divisa si sente più potente, venga fatto scendere da quel suo piedistallo.
Io corro con Stefano perché non si debba più assistere a casi simili. Corro con Stefano ricordando Uva, Aldrovandi.

Io, Domenica 2 Ottobre, corro con Stefano Cucchi. Unisciti anche tu.

#IoCorroConStefano

giovedì 22 settembre 2016

La salute a colpi di stereotipo

 
Confesso: al primo sguardo ero convinto si trattasse di satira, un manifesto che prendesse in giro il Fertility Day. Invece no. E’ tutto autentico, il Ministero della Salute ha emesso questo scempio corredato, per chi non ne comprendesse il significato, da una nota.

Se si analizza l’immagine emerge come promuova un concetto ideologico, anni ’20, che va contro persino ai principi costituzionali. Lorenzin: io scherzavo quando le ho detto che mancava solo il riferimento alla razza, non mi deve prendere sul serio e scaricare tutto sul responsabile della comunicazione. Stento a credere che, dopo il pasticcio sul Fertility Day, non le vengano sottoposte le campagne comunicative sul tema. Fosse così sarebbe preoccupante.

Il volantino, che mi sforzo di pubblicare solo per informazione, è composto da due immagini: quella in alto che raffigura una famiglia eterosessuale bianca; e quella in basso che rappresenta un gruppo di ragazzi, fra cui uno di colore e un rasta, in un momento di vita.  Quest’ultima immagine è inserita con l’effetto giallo ocra annebbiato che, comunicativamente parlando, trasmette un senso di sporcizia stantia. Già questo crea un contrasto forte tutto volto a marcare la differenza di valori, dandone un giudizio, fra le due situazioni. Non bastava la comunicazione per immagini già molto efficace, sia mai qualcuno non capisca; e così ci sono delle frasi che fanno chiarezza. Tutto per non lasciare dubbi.
Sulla prima immagine, raffigurante la classica famiglia Kinder o da dentifricio Colgate, la frase recita: "Le buone abitudini da promuovere"; sulla seconda, quella raffigurante il gruppo di ragazzi, la frase recita sempre testualmente: " I cattivi “compagni” da abbandonare ".
Sotto si legge lo slogan: "Stili di vita corretti per la prevenzione della sterilità e dell’infertilità".
 

Ora, siccome la punteggiatura serve a determinare il senso delle parole e delle frasi, quel compagni fra virgolette mi dà un’unica informazione: un giudizio di valore verso una parte politica ben precisa. Fosse stato senza virgolette si sarebbe potuto sostenere che si voleva sottintendere le compagnie amicali, ma virgolettato può avere solo un significato politico. In secondo luogo, l’immagine dei ragazzi, riprende uno stereotipo appartenente a momenti storici precisi e sui quali la Costituzione dice qualcosa.

Io faccio una proposta alla Lorenzin: vogliamo fare il terzo manifesto? Uomo seduto in poltrona con il giornale aperto e TV accesa e donna al secchiaio che lava i piatti. Se mi pubblica anche questo ha raggiunto buona parte degli stereotipi presenti in Italia frutto del retaggio culturale fascista.

Come sostengo all’inizio mi sembra strano che sia stata un’iniziativa autonoma del responsabile comunicazione e che questo venga detto solo dopo lo scoppio del caso politico. Mi sembra strano in quanto su questa materia c’è un’attenzione mediatica forte, visti i precedenti, che dovrebbe tenere in allerta il Ministro, Non è che la testa del responsabile della comunicazione è stata fatta cadere per coprire una scelta politica?


giovedì 1 settembre 2016

La colpa di non essere genitore



Trovo il manifesto della fertilità semplicemente scandaloso. Preciso, perchè ieri mi hanno accusato di offendere quando definisco "pastrocchio" la riforma costituzionale, che "scandaloso" è usato appropriatamente e vi spiego perchè.

Il Ministro Lorenzin esalta la maternità colpevolizzando chi di figli non ne fa o chi non ne ha avuti. E' semplicemente scandaloso perchè mistifica quella che è la realtà di questo Paese. Un Paese che si è fatto dire dalla consulta che il divieto alla fecondazione eterologa è incostituzionale; un Paese sempre più incerto, con un peggioramento del welfare; un Paese in cui non sai se domani lavorerai perchè il tuo padrone può decidere che non gli servi più. Lorenzin, questo è un Paese dove una donna appena assunta firma la lettera di dimissioni sulla quale, fra le motivazioni, c'è la maternità. Questo è un Paese nel quale molte categorie di lavoratrici non hanno diritto alla maternità.

Lorenzin, abbiamo ancora gli obbiettori di coscenza: un medico può rifiutarsi di garantire il diritto all'aborto riconosciuto da una legge dello Stato, un diritto conquistato viene così disatteso. Nel suo manifesto, Lorenzin, manca solo il riferimento alla razza e poi potremmo dire che la storia si ripete. Lei non è nelle condizioni politiche, sociali e culturali per colpevolizzare chi di figli non ne fa o non ne può fare: state sottraendo i diritti a una vita dignitosa. 

E non potete neanche più nascondervi dietro al Papa perchè è stato il primo a capire le coppie che non fanno figli. Lorenzin, non garantite neanche un'informazione imparziale: solo da poco tempo la TV riesce a divulgare i metodi contraccettivi, e non la TV pubblica.

Mi chiedo se quando stava scrivendo il manifesto provasse un accenno di vergogna. Perchè uno Stato che non garantisce determinati diritti, non può permettersi di stigmatizzare chi di figli non ne ha.

mercoledì 13 luglio 2016

Morire d'austerità



 

Molto spesso non ci si pensa, o non ci si fa caso, a quante persone prendono il treno ogni giorno. A quante di queste vivono in ferrovia, e non quella del Frecciarossa con Wi-Fi e poltrone condizionate. No, c'è un popolo che vive sui treni, quelli normali, quelli che fermano in ogni stazione, molto spesso affollati di studenti e lavoratori.

E' brutto accendere i riflettori solo quando succede una strage, ma forse solo in questo modo molti si accorgono che qualcosa non va in questo Paese.
Qualcosa non va perché non abbiamo priorità: spendiamo miliardi per costruire una ferrovia esclusivamente per spedire tonno in scatola ad alta velocità alla Francia. E non interessa il fatto che la Francia abbia detto che quel tonno non le interessa e che può arrivare anche con calma. E' puntiglio: nonostante ci sia un popolo che dica di no, la TAV si farà perché il tonno deve viaggiare comodo e soprattutto a velocità della luce. Perché questa è la motivazione più logica per cui non si molla. Almeno, se rispondessero così invece di tirare in ballo il PIL, ci crederei un po' di più.

Poi si scopre che in molte tratte ferroviarie, del sud ma non vorrei mettere limiti, non ci sono sistemi di sicurezza per tutelare ferrovieri e passeggeri. Lo si scopre, o ce lo fanno scoprire, dopo che 27 persone hanno perso la vita su due treni. C'è qualcosa che non va. E il sospetto mi viene ancora di più quando sento Renzi che dichiara: "Troverò i responsabili". No, se facessi un investimento pubblico sul sud, possibilmente senza secondi fini, sarebbe già qualcosa.

C'è qualcosa che non va se il Presidente del Consiglio si preoccupa più di indagare che di attuare politiche pubbliche in favore della sicurezza sulle ferrovie. L'errore umano ci può essere ma lì è mancata la sicurezza anche per la persona che potrebbe aver fatto l'errore.

C'è qualcosa di strano nelle dichiarazioni perchè, i "faremo" dopo le tragedie sono da manuale, ma non attecchiscono più, per il semplice fatto che fra due mesi, quando i media saranno di nuovo sulla Brexit, i "faremo" si trasformano in "potremmo fare" e poi forse in "avremmo potuto fare". Vedi L'Aquila. Lo dico con tutto l'amore possibile per la politica...

Probabilmente sarebbe da rivedere anche il concetto di spesa pubblica. La spesa pubblica si rileva necessaria, indispensabile per dare soluzione a situazioni pendenti di questo Paese. Senza trattare poi del fatto che in questo modo, forse, quelche posto di lavoro si creerebbe.

Possiamo continuare a vedere nella spesa pubblica il nemico del Paese con la folle idea del pareggio di bilancio ma con la possibilità di avere altre vittime in molti settori; oppure iniziare ad approcciare l'idea, secondo me naturale per uno Stato, che ci deve essere una spesa pubblica, un investimento pubblico sui servizi e sulla qualità della vita.

lunedì 4 luglio 2016

Il sì dei sindaci: fra slogan e realtà



Ho letto con grande interesse l'appello per il Sì firmato da molti sindaci italiani.

E' curioso perchè, a parte gli slogan che considero estremamente semplificativi, ho letto frasi del tutto fuorvianti.
Ad esempio si legge che con la riforma Renzi-Boschi si avrà un iter legislativo più semplice. Proprio in questo campo si crea un immenso pasticcio: il Senato resta, composto da sindaci e presidenti di regione, nominati attraverso una legge ancora da definire, che oltre a poter mettere mano alla Costituzione potranno intervenire nell'iter legislativo stoppando la Camera. Se alla Camera vanno bene le proposte degli pseudosenatori, catapultati a Roma a tempo perso, tutto bene; se però alla Camera non andassero a genio potrebbe tranquillamente superare il veto del Senato con un altro voto. Quindi il procedimento legislativo viene ulteriormente allungato, per chi pensa che già adesso sia lungo.

Continuando nella lettura mi stupisco ancora di più perchè: affermare che, con la nuova riforma del Titolo V diminuiranno i contenziosi fra Stato e Regioni, è un' assoluta falsità. Si spezzettano ancor di più le materie accennando ad una centralizzazione a metà, pasticciata, che porterà a un rapporto difficile fra Regioni e Governo.

E' vero che le opinioni sono egualmente rispettabili ma affermare che, con questa riforma diminuiranno i costi della politica non è un'opinione: è uno slogan che non corrisponde al vero. Quali costi diminuiscono? La struttura del Senato, che comprensibilmente è quella più ampia e costosa, rimane; gli pseudosenatori non avranno stipendio, per ora. Con un minimo di realismo si può immaginare che qualche emolumento arriverà, anche solo per il tempo sottratto ai territori per l'espressione di un parere a Roma.

Quando si accenna all'abolizione delle province la lettura mi affascina tantissimo. Sì, si elimina la parola "provincia" ma sappiamo tutti che abbiamo un nuovo sostituto imprecisato: il mito della città metropolitana. La definizione della città metropolitana si potrebbe esprimere in modo semplice come: la provincia senza elettività, la provincia nominata. Chi sta scrvendo ha partecipato "all'elezione di secondo livello", detta così fa più figo, dei consiglieri metropolitani e, posso svelare serenamente, che un pizzico di senso di colpa l'ho provato. Ecco, ci sarebbe poi il problema del personale da ricollocare ma, in confronto alla rivoluzione lessicale che ci invidia tutta Europa, mi sembra un'inezia.
Ora, io sto un po' ironizzando ma questo appello ha contenuti, a mio avviso, piuttosto leggeri. Ognuno di essi ha mille sfaccettature, all'interno delle quali qualcuno potrebbe trovare anche delle novità positive, ma suonano molto come slogan. Non fraintendetemi, la mia è una critica sempre nel rispetto di tutti i firmatari che credono in quel testo. Però non posso non dire che assomiglia molto a un intercalare di slogan che accompagnano a un finale veramente stupendo, con il botto si potrebbe dire: "Perché l’Italia sia più bella, più forte, più moderna”.
Ognuno si farà la propria idea ma secondo me l'Italia è bella, può essere forte, può essere moderna anche senza questo pasticcio istituzionale. Poi ho come il vago sospetto che la Costituzione del '48, se applicata porterebbe agli stessi risultati: un Paese bello, all'aggettivo "forte" preferisco giusto, e moderno...

martedì 28 giugno 2016

La necessità del PCi: fra analisi e cuore di militante



Lo scorso week-end con mio grande piacere ed emozione ho partecipato all'assemblea costituente del PCI. Incontro fra più di 500 delegati al quale si è arrivati dopo più di un anno di incontri sui territori.
Oltre a esercitare il mio ruolo di delegato, mi sono divertito a osservare il dibattito che ha visto più di 90 interventi, più di 90 opinioni diverse, tutte egualmente rispettate.
Qui secondo me vediamo la prima grande differenza: quest'epoca ci sta abituando a una politica di sopraffazione, ci sta insegnando a prevaricare l'altro. Per non parlare della cultura dell'uomo solo al comando che, pur convocando qualche direzione, le usa per prevaricare chi ha idee differenti. Qualcuno mi potrà criticare per questa affermazione d'altronde, se si osserva analiticamente una direzione renziana, l'elemento che emerge è la prevaricazione degli "innovatori" sui "gufi".
A fare da contraltare a tutto ciò, che sembra essere la nuova politica, i tre giorni di assemblea del nuovo PCI hanno riportato all'ascolto reciproco e a un sano dibattito; che non vuol dire non arrabbiarsi, ma mantenere il rispetto dovuto nei confronti dei tuoi compagni.

Il processo avviato ha un intento molto ambizioso per il quale ci si sta impegnando da 25 anni. Un intento necessario in una società che ha abbandonato la forma partito e soprattutto la rappresentanza di una certa classe sociale. Di tutto questo c'è necessità per riportare la politica nella società, per tornare a dare una rappresentanza unitaria alla classe lavoratrice di questo Paese. Inoltre, essendo io un sostenitore della politica solida, di sezione, di strada; guardo con piacere a un soggetto solido che riapra le sezioni di quartiere dove sì, si parli di politica, ma si provi anche a socializzare e a fare integrazione.

Proprio ieri sera, guardando una trasmissione televisiva, il Ministro Orlando ha bellamente dichiarato che si sta andando verso i comitati elettorali. Noi questo processo lo dobbiamo fermare, lasciamolo agli americani; torniamo alla politica quotidiana, ai partiti, alle discussioni.
Anche per questo vedo con estremo piacere la rinascita del PCI che, certo si dovrà occupare dei problemi del presente e del futuro, avendo però una cultura politica di massa per la massa.

Dopo la passione per l'analisi, arriva il cuore di militante emozionato nel vedere nascere un nuovo soggetto che prende lo spirito da quel partito al quale, se fossi nato un po' prima, avrei sicuramente aderito. Sempre lo stesso militante spera che tutti gli altri compagni, provenienti da esperienze diverse, si riconoscano in questo nuovo partito al fine di costruire un'unica casa comune per i comunisti.

A chi mi ha fatto notare la nostalgia del progetto posso provare a rispondere in questo modo: in un Paese nel quale, per scegliere le politiche, si guarda allo spread e ai mercati finanziari, mi sembra più che necessario costruire un soggetto che guardi al popolo..

lunedì 20 giugno 2016

Il "menopeggismo" al ballottaggio, la risposta



Dopo la riflessione sul voto ai ballottaggi sento di dover fare una precisazione.

Ho preso ad esempio le città di Bologna e di Roma: due realtà molto diverse sia dal punto di vista amministrativo che politico. La riflessione espressa aveva come presupposto la non astensione, specificità che sovviene da un principio, secondo me molto importante,, che è il diritto di voto. Dato per assunto questo, nell’articolo ho espresso quale avrebbe potuto essere la mia scelta se avessi dovuto votare in quelle due realtà.
Provo a spiegare meglio il concetto che m’interessava esprimere: che è un concetto critico dal quale discende la definizione del “menopeggismo”.

E’ bene passare prima dalle due tipologie di voto secondo me in campo in elezioni con ballottaggio: il voto di appartenenza, che presumibilmente si esercita al primo turno laddove è più probabile poter sostenere un candidato e una lista più accostabile ai valori politici, sociali dell’elettore; e il voto d’opinione che potrebbe entrare in gioco qualora non vi siano, al ballottaggio candidati che rappresentino l’elettore.
Come ho detto la scorsa settimana, a Bologna, avrei scelto Coalizione Civica, perché rappresentante di valori in cui credo e espressione della Sinistra. A Roma avrei votato Sinistra Italiana per gli stessi motivi.  Tuttavia, nessuno dei due candidati sindaci, fra Bologna e Roma, è arrivato al ballottaggio.
In questo caso come si procede se non si è avvezzi all’astensione? Entra in gioco il voto d’opinione, non più supportato d valori e ideali, ma mosso da spirito critico valutando i pro e i contro dei due candidati ai ballottaggi.

A Bologna avevamo la sfida fra Merola, PD Centrosinistra, e Borgonzoni, Lega e estrema destra. Su questi due ho applicato la teoria dei pro e i contro; Merola: scelte amministrative sbagliate e simbolo renziano a Bologna, Borgonzoni: espressione di azioni xenofobe repressive e sostenuta da forze palesemente fasciste. Fra questi due soggetti, con opinione critica, avrei scelto Merola. Non perché sia sostenitore delle sue politiche, ma perché dall’altra parte c’era chi alza il braccio destro in piazza e sempre per opinione unita, questa volta a un insieme di valori in cui credo, non mi sembrava una scelta opportuna per Bologna.

A Roma avevamo uno scenario diverso: la sfida era fra Giachetti, PD, e Raggi, Movimento Cinque Stelle. Anche in questo caso applico il voto d’opinione e analizzando i pro e i contro dei due candidati. Il primo, Giachetti, espressione della classe dirigente che a Roma non ha dato bella prova di sé portando alla cronaca accordi con la criminalità organizzata. Potremmo discutere sulla pessima scelta strategica del PD sapendo esattamente chi poteva essere il probabile avversario ma il tema meriterebbe un altro spazio.
La seconda, Raggi, espressione di non si sa quale classe specifica, votata al partito pigliatutto come del resto è il M5S, ma con un grande vantaggio datogli dalla novità. Il fatto che non sia riconducibile alla classe dirigente romana, quella balzata sulle prime pagine, indubbiamente le consentiva un vantaggio.
La scelta d’opinione fra Raggi e Giachetti è la prima, non perché sostenga il Movimento Cinque Stelle, dal quale mi vedo a una distanza incolmabile, ma perché rappresenta un’alternativa al sistema costruito nella capitale.
Se fossi un cittadino romano, premesso che si tratta di un’ipotesi poiché mi manca la conoscenza del tessuto politico e sociale di Roma, avrei visto la Raggi come un’alternativa all’astensione.
Più che una scelta di rappresentanti di idee e valori, qui si mette in evidenza un’alternativa all’astensione. Non credo né a Merola a Bologna, né alla Raggi a Roma: entrambi distanti dal mio voto ideale, tuttavia rappresentano due alternative, simbolo del “menopeggismo”, al non voto.

Mi è stato fatto notare che sceglierei il PD solo in caso di alternativa alla destra ricordandomi che sono alleato con il PD nel comune dove esercito il ruolo di consigliere. Qui dovrei aprire un altro ragionamento includendo anche la possibilità di astensione la quale non è da escludere tuttavia, spero sia chiaro a tutti che l’articolo in questione si riferisce a un ambito territoriale diverso, nel quale non intercorre nessuna alleanza. Vedi ad esempio Bologna e Roma. Mi sembrerebbe particolarmente strano, poiché non sono iscritto al PD, se lo elogiassi genericamente solo in virtù del ruolo da me ricoperto in un territorio dove si sta lavorando sulla base di un programma condiviso specifico. Tenderei a differenziare i due piani.

Spero di aver risposto ai dubbi che sembra aver suscitato il precedente articolo manifestati da più parti. Tuttavia, la conclusione alla quale arrivo è sempre la stessa: sia a Bologna che a Roma, si è giocato un ballottaggio sotto l’insegna del “menopeggismo”.

lunedì 13 giugno 2016

Il menopeggismo al ballottaggio




Domenica le principali città italiane andranno al ballottaggio per scegliere i sindaci che amministreranno per i prossimi cinque anni.
Personalmente non sarò chiamato al voto ma mi sono divertito a immaginare cosa voterei se fossi residente a Bologna o a Roma. La scelta di queste due città è dovuta dalla complessità dell’offerta elettorale e dal conflitto fra idee e candidati al ballottaggio.

Se avessi votato a Bologna al primo turno avrei sicuramente scelto Coalizione Civica: lista con valori e idee nette i cui principi si rifanno alla tradizione della Sinistra. Non ci sarebbe stato neanche bisogno di riflettere, Coalizione Civica sarebbe stata la mia scelta perché rispecchia i valori e le idee per cui mi batto. Per questo non posso non fare i complimenti per il risultato ottenuto, per nulla scontato, che permetterà di avere rappresentanti della Sinistra in Consiglio Comunale.
Tuttavia, non è al ballottaggio lasciando il posto a Merola, PD, e a Borgonzoni, Lega e Centrodestra. Molti pensano che l’astensione sia un’espressione di voto: in molti casi lo è ma in appuntamenti elettorali dovremmo essere mossi dal dovere di scegliere una strada, magari schizzando debolmente una croce sulla scheda.
Nel caso di Bologna il menopeggismo è lo spirito predominante: al ballottaggio si sfidano due candidati che non hanno niente a che vedere con la Sinistra. Borgonzoni è espressione di Salvini e dell’estrema destra; Merola del PD che, per onestà intellettuale, lo definirei di Centro.

Con questo quadro politico che si fa? Stare a casa? Ho già detto che, a mio parere, non è una scelta da prendere in considerazione. Per decidere si può usare una logica a esclusione: Borgonzoni? Così poi ci ritroviamo una città militarizzata xenofoba e con un colore culturalmente non adatto a Bologna? No, evidentemente non è la scelta giusta. L’unico che rimane è Merola che sta privatizzando la quasi totalità dei servizi ma almeno non alza il braccio destro in Piazza Nettuno. Potremmo definirla una scelta democristiana ma che fa un po’ meno paura della Lega e della Destra con il braccio alzato. Pur ricordando le pessime scelte in ambito scolastico e la pessima gestione dell’emergenza abitativa, Merola sarebbe la mia scelta. Non convinta, sapendo perfettamente che continuerà nel suo lavoro di privatizzazione portando a Bologna il vento renziano.

Se a Bologna entrerei in cabina non convinto, a Roma lo sarei ancora meno ma forse con un accenno di speranza. Il ballottaggio romano sarà fra Giachetti, PD, e Raggi, M5S. Se avessi votato a Roma al primo turno, avrei scelto Sinistra Italiana perché più vicino ai valori sociali e politici in cui credo.
Purtroppo, anche sulla scena romana, possiamo dire che il menopeggismo sarà una delle caratteristiche del voto di domenica. Roma, grandi scandali: mafia  capitale con coinvolgimento del PD e Alemanno; Marino fatto decadere senza una seduta consiliare, vittima della prepotenza di Renzi.
Considerati gli scandali, le indagini, il PD ha sfoggiato Roberto Giachetti di cui, tutto si può dire, meno che sia un nome nuovo. Scelta molto discutibile avendo dall’altra parte il Movimento Cinque Stelle con Virginia Raggi che, per lo meno agli occhi dell’opinione pubblica, sembra una candidatura nuova.
Il Movimento Cinque Stelle l’ho criticato e lo continuerò a criticare per la sua opacità e la sua non scelta di campo. Tuttavia, se dovessi votare a Roma voterei Virginia Raggi: non perché creda in lei ma è meno peggio di Giachetti, espressione di Renzi, e per di più del PD: partito balzato alle cronache giudiziarie romane per accordi con la criminalità organizzata. Non voterei certo con convinzione, sceglierei non avendo aspettative, conscio della fumosità dei Cinque Stelle. Appunto, voterei il meno peggio.

Ci sarebbe da riflettere, soprattutto a Roma, sul menopeggismo che amministrerà la città. Chi dice che il meno peggio è Giachetti e chi dice che il meno peggio è la Raggi. L’unico dato di fatto, se vincesse il Movimento Cinque Stelle. è che potrebbe essere un bel banco di prova per dimostrare l’annunciata solidità del movimento alle prese con una città complessa come Roma.

venerdì 13 maggio 2016

La politica del meno peggio si è abbattuta sulle unioni civili



Ha vinto il “menopeggismo". Sono state approvate le unioni civili con l'ennesimo voto di fiducia posto dal Governo. Sebbene la legge introduca alcuni diritti, non mi sento soddisfatto. La mia insoddisfazione non è dovuta al mio ruolo di "gufo", seppur allo status ci tenga molto, bensì ai contenuti che sanciscono una netta differenza fra i cittadini.
La mia insoddisfazione è dovuta anche dal fatto che, guardando l'iter parlamentare del ddl Cirinnà, era possibile giungere a un'approvazione realmente rivoluzionaria. E' bene dire che il testo approvato non è lo stesso proposto dalla Senatrice Cirinnà che avrebbe visto favorevoli SEL e M5S solo attendendo ancora un po', ma è una riformulazione governativa scritta dopo che Renzi si è risentito del possibile torto ad Alfano. Vuoi tradire l'amico con cui hai tanta sintonia? No, allora concediamo ad Alfano ciò che vuole, cioè: un ampliamento dei diritti facendo però notare sempre e comunque la differenza fra amore di serie A e amore di serie Z.

Se andiamo in profondità ci accorgiamo che mentre si danno diritti certamente importanti, si marca ancor di più la differenza fra gli affetti. Prendiamo ad esempio il non obbligo di fedeltà. Non vorrei arrivare a facili generalizzazioni ma possiamo dire che una delle cause della fine dei matrimoni sia il tradimento del coniuge. Quindi la fedeltà non è solo un fatto etico-morale, ma diviene un importante dovere giuridico, tant'è che si ricorre al giudice presentando l'istanza di divorzio per tradimento. Allora perché non estendere questo dovere alle unioni civili? Per marcare la differenza: una coppia omosessuale è considerata di fatto come una coppia di amici, relazione per la quale non esiste obbligo di fedeltà. Non è un elemento di poco conto culturalmente parlando, siamo ben lontani dall'equiparazione culturale che deve, e può, essere aiutata dalla legge.

Poi c'è un problema istituzionale: si è posta la fiducia su un provvedimento che aveva riacceso il dibattito parlamentare e extra parlamentare. All'interno della società si sono risvegliati gli animi, si discute, si riflette, si manifesta; allora perché zittire l'aula con il voto di fiducia? Istituto che sposta, per sua natura, l'attenzione su tutta l'attività del governo e non potrà mai avere il consenso delle opposizioni, anche nel caso condividessero parte del provvedimento al voto.

Si ha l'impressione che alla politica 2.0 non interessi più il miglior risultato possibile, ma intestarsi la vittoria a qualunque costo, anche nel caso la vittoria frettolosa porti con sé un pesante esito culturale lasciandosi alle spalle molte realtà in attesa di risposta.

giovedì 5 maggio 2016

Tornare a una politica solida


 In questi giorni si è riaccesa la discussione sulla "questione morale". Dalle notizie che stanno arrivando copiose, possiamo trarre molti spunti di riflessione; per esempio partendo proprio dal concetto di questione morale associato ai singoli politici ma, forse in dose maggiore, alla forma partito. La domanda che mi pongo e, sulla quale mi piacerebbe ragionare, è: in una società liquida, nella quale i principali partiti sembrano aver scelto lo stato gassoso, chi è l’organo deputato a diffondere e a far rispettare la “questione morale”? La prima risposta spontanea potrebbe essere: i singoli secondo la propria moralità.
Tuttavia, prima ancora mi sorge un’altra domanda: chi seleziona e forma la classe dirigente, intesa come rappresentanti della cittadinanza all’interno delle istituzioni?

Per come intendo i ruoli politici all’interno della società, l’interprete dovrebbe sentirsi caricato di una forte responsabilità che chiama moralità e trasparenza. Non intendo fare il “pentastellato” tuttavia, vedo la trasparenza come una caratteristica importante per chi svolge un ruolo politico, senza giungere allo streaming di ogni operazione, altrimenti cadrebbe il concetto di democrazia rappresentativa.

I fatti di questi giorni, che riprendono molti altri episodi, dimostrano che non sono così scontati quei concetti di cui si parlava poco fa. Talvolta sono proprio assenti. Lo vediamo quando, un sindaco indagato per turbativa d’asta viene arrestato e, membri del partito dal quale si è auto sospeso, si scagliano contro i magistrati. Un partito, con all’interno una situazione pericolante dal punto di vista giudiziario, dovrebbe chiedersi come risolverla, cosa si è sbagliato e interrogarsi sull’assenza di una struttura solida di controllo interno. Anche se viene spontaneo, la difesa di un proprio rappresentante, potrebbe mettere in cattiva luce l’intero partito il che non mi sembra molto saggio. Forse più saggio sarebbe non toccare la magistratura concentrandosi sul perché molti dei rappresentanti del partito sono indagati. Forse potrebbe essere più utile fare questo ragionamento piuttosto che svolgere la funzione di avvocati, imitando peraltro un altro schieramento che, della difesa dei propri membri, ne ha fatto un fine politico.

Per una discussione interna però sono necessarie le sedi, i dibattiti, le segreterie; non funzionano le newsletter, i “Matteo risponde”, i tweet, le interviste radiofoniche, tutti strumenti che attengono alla comunicazione esterna non certo sostitutivi di un’analisi interna. Lo stato gassoso in cui versano alcuni partiti non crea le occasioni per questo; assistiamo a una dialettica che utilizza un lessico calcistico attraverso il quale pretende di arrivare a soluzioni spendibili. Come si può rimettere al centro la “questione morale” in strutture che non esistono, in strutture coscientemente distrutte.

Forse avrò un pensiero poco cool dato dal mio amore, dalla mia passione, per il partito di massa che mi sembra una soluzione plausibile verso l’immoralità. Partiti strutturati nei quali è presente un controllo, una discussione politica e un sentimento di appartenenza da sviluppare giorno dopo giorno secondo l’insieme di valori e il riferimento sociale scelto. Potrebbe essere un deterrente verso l’illecito in politica rispetto al quale c’è una responsabilità che va oltre al codice penale, che tocca la propria passione, la propria moralità. Non basta promulgare leggi con l’intenzione di sancire per legge la moralità, peraltro presente nella nostra Costituzione. La moralità fa parte della cultura, dell’identità, tutti ambiti nei quali la legislazione, seppur sofisticata, non potrà mai coprire l’infinità di casi possibili. Il compito di educare alla moralità è dei soggetti stessi: se parliamo politicamente, sono i partiti a dover avere in sé la “questione morale. E’ evidente la difficoltà di questo compito in strutture che non esistono, sarebbe molto più fattibile tornando a organizzazioni solide, percepibili da chi si trova all’interno, esercitando il diritto di rappresentare, e da chi si trova all’esterno, esercitando il diritto di essere rappresentato.

Continuo ancora ad essere convinto dell’effetto positivo che si avrebbe in termini di affezione rientrando nelle sezioni, ridando un ordine,  un orientamento alle idee; ricominciando a usare le parole per il loro significato.

Molti considerano la politica di oggi come il nuovo, lo sbarazzarsi ti tutte quelle strutture che qualcuno definisce inutili, parassite. Osservando gli ultimi tempi ribadisco il concetto che scrissi qualche anno fa: se questo è il nuovo, io voglio essere considerato “vecchio.

lunedì 18 aprile 2016

Cari concittadini


Mi piacerebbe molto formulare analisi sul voto di ieri. Tuttavia purtroppo non è possibile, l’affluenza mostra un altro problema che va al di là delle analisi politiche.
Quindi ho deciso di rivolgermi ai miei, ai nostri concittadini.

Cari concittadini,
il concetto di democrazia è astratto: un insieme di valori astratti, non sempre ben specificati, che però hanno manifestazione nei diritti e doveri del cittadino.
Uno di questi è il voto, un diritto conquistato con il sangue di migliaia di persone che viene considerato uno dei simboli più alti del concetto di democrazia.  Il voto, per le democrazie rappresentative come quella italiana, è il motore del sistema, la fonte di tutto. La nostra Costituzione, fin quando ce la lasceranno, all’articolo 75 prevede il referendum abrogativo sancendo, perché sia valido, che partecipino il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Non è un dettaglio discrezionale, è la precondizione per prendere in considerazione il risultato del referendum.

Cari concittadini,
prendendomene tutta la responsabilità, credo che per i referendum, come del resto anche negli altri appuntamenti elettorali, l’astensione non sia neanche da contemplare come opportunità: si va a votare, si invita ad andare a votare dopodiché si valuta il risultato. Il fatto di non andare a votare a un referendum abrogativo fa si che, qualsiasi sia il risultato, non possa venire preso in considerazione.
Sì, analizzando il risultato, potrei riferirmi agli atteggiamenti di Renzi, Napolitano e di altre figure politiche che hanno invitato all’astensione. Però, gettando su di loro tutta la colpa, faremmo un torto alla nostra intelligenza, alla nostra autonomia decisionale. Non voglio credere che la maggior parte dei cittadini non abbia partecipato al voto perché gliel’ha detto Renzi o Napolitano. Mi rifiuto di crederlo seppur in qualche caso, probabilmente, sarà vero.
Non credo neanche che fossimo difronte a un quesito complicato: è stato spiegato in tutte le salse dai media ufficiali e non. La complessità non è una giustificazione accettabile perché, a questo punto, entra in gioco un altro dovere del cittadino: informarsi; dovere valido sempre ma ancora di più alla soglia di un appuntamento elettorale.

Cari concittadini,
si dice sempre,  quasi come fosse uno slogan: “attuare la Costituzione”. Questa volta ce ne siamo bellamente fregati, ne dobbiamo essere terribilmente consapevoli. Potevamo attuare l’articolo 75 e non l’abbiamo fatto, o meglio: molti non l’hanno attuato.

Sempre assumendomene la responsabilità, credo che alcune posizioni, prese pubblicamente da dirigenti locali di partito, siano state scorrette. Penso che si debba fare politica sempre nel merito prendendo posizioni nette, questo vale ancora di più per chi ha incarichi politici, bassi o alti che siano. Mai sbeffeggiare un appuntamento elettorale, mai prendere in giro le posizioni che si confrontano in esso.

Cari concittadini,
che dire concludendo. Questo referendum è una sconfitta pesante messa in atto in una splendida collaborazione fra cittadini, politici e non

giovedì 14 aprile 2016

Domenica voterò Sì e vi spiego perché

 


Siamo giunti al termine di una campagna referendaria iniziata sotto silenzio che, grazie anche alle inquietanti intercettazioni dell’ex Ministro Guidi, si è fatta più incalzante.
Ho già espresso i motivi per cui andare a votare, purtroppo stiamo ancora assistendo a imbarazzanti dichiarazioni che invitano all’astensione. Semplicemente credo che sia un diritto, e un dovere, del cittadino rispondere a un quesito schierandosi secondo la propria opinione e le proprie ragioni. Devo dire che non credo di essere difronte a un quesito complicato che non si possa porre ai cittadini; sta nel ruolo del cittadino informarsi, costruirsi un’opinione e esprimere infine il proprio voto.

Posto questo sento l’esigenza, anche in ragione del ruolo pubblico che mi trovo a interpretare localmente, di esprimere chiaramente quale sarà la mia scelta domenica. In parte l’ho già manifestata, ma vorrei esplicitarla meglio.
Il principio generale, per quanto banale possa sembrare, è che si tratta di una scelta di area: il principio di coerenza mi impone, dopo aver sottoscritto programmi elettorali con cospicue sezioni dedicate all’ambiente, di votare sì. Troverei bizzarro propagandare l’utilizzo di energie rinnovabili e la necessità di politiche in questo senso e votare no.  Con questo referendum si può mandare un forte messaggio politico in perfetta coerenza con ciò che ci diciamo da anni: un Paese che intende investire in energie rinnovabili, non concede di estrarre a vita dalle sue coste. Quindi un primo motivo è questo.

Un’altra ragione per cui voterò Sì è il mantenimento di un potere statale e territoriale nella scelta del rinnovo delle concessioni già esistenti. E’ un errore imperdonabile concedere a aziende private il potere di estrazione eliminando quelle scadenze che permettono alla politica di fare altre scelte giudicando i parametri di salute dei cittadini, i parametri ambientali e tutte quelle misure che potrebbero mostrare un problema. Il terzo motivo è frutto di quello che il Paese rischia concedendo le estrazioni sul territorio. In alti discorsi politici ci diciamo di investire sul nostro territorio, di investire sul turismo, sull’arte; la precondizione per attuare queste buone intenzioni è tutelare, proteggere il territorio e l’ambiente. Se sfortunatamente dovessimo rompere il clima ambientale che fa dell’Italia una meta turistica privilegiata, perderemmo gran parte della nostra ricchezza.

Il tema occupazionale è presente ed è da tenere certamente in considerazione. Tuttavia fa parte degli alti discorsi programmatici il fatto di riconvertire il lavoro verso un settore ancora poco esplorato. Credo immensamente che il mondo delle energie rinnovabili non sia totalmente considerato dalle politiche nazionali. Almeno non quanto lo è in altri Paesi. Questo referendum è anche questo: aprire una porta verso un settore che ancora non abbiamo chiaro cosa possa offrirci e che, a causa di sistemi lobbistici, fatichiamo a esplorare.

Voterò sì perché, il programma politico più chiaro che esista, all’articolo 9 ci obbliga a proteggere il territorio. Voterò sì perché credo nel turismo e nella grande ricchezza che porta, e può portare, al Paese; voterò sì per applicare realmente politiche ambientali alternative. Voterò sì perché è possibile creare energia senza mettere in pericolo la vita e la salute dei cittadini. Voterò sì perché si tratta di un passo da fare, sarebbe un vero cambiamento. Voterò sì per coerenza. Voterò sì perché lo dice la Costituzione.

martedì 5 aprile 2016

Caro Presidente, vada a L'Aquila




Ogni anno, all'avvicinarsi del 6 Aprile, provo una sensazione di paura, vergogna, solidarietà, ricordo. Vado immediatamente al 6 Aprile 2009 quando, alle 3.32, un devastante terremoto distrusse L’Aquila e i paesi limitrofi.
Quel giorno lo ricordo molto bene, stavo male e mi misi a vedere le maratone televisive che tutti i canali misero in piedi per raccontare quel fatto terribile. Sappiamo tutti cosa successe dopo: dai set cinematografici per la consegna delle case di Berlusconi ai campi per gli sfollati; dagli scandali mostrati dalle intercettazioni alla mala gestione del post emergenza. Poi più niente, L’Aquila è sparita dalle pagine dei giornali, dai telegiornali tranne qualche sporadico servizio; è sparita letteralmente una città.

Tre anni fa mi trovavo in Abruzzo e una mezza giornata l’ho trascorsa a L’Aquila non avendo la più pallida idea di come si presentasse quella città. Non riesco a trovare aggettivi adeguati per descrivere lo stato del centro storico, forse non ne esistono;. Ci si trova improvvisamente in un altro mondo, ho percorso vicoli dai quali non si riesce a vedere il cielo da quante impalcature sono in azione. Si cammina nel silenzio più profondo, accompagnati dal suono dei passi nella calce, dai cani abbandonati che vagano forse in cerca del loro padrone, da quei pochi attrezzi in movimento. La piazza è deserta, è possibile sentire solo un filo di musica da un piccolo bar. Attraversando i pochi vicoli accessibili si possono immaginare, guardando all’interno delle abitazioni abbandonate, gli istanti precedenti la scossa: cucine ancora apparecchiate per la cena, lavandini con piatti e tegami sporchi; qualcuno stava scaldando un pentolino sul fornello. Passeggiando fra quei vicoli il tempo sembra rimasto fermo a quel 6 Aprile.

Invece sono sette anni, sette anni di silenzio. Allora mi viene quasi voglia di rivolgere qualche riga al Presidente Renzi che, è andato ovunque, meno che lì.

Caro Presidente,
sono sempre io, orgogliosamente gufo. E’ la seconda lettera che le rivolgo pubblicamente, magari qualche suo amico gliela può far leggere.
Presidente, vada a fare un giro a L’Aquila, si sporchi le scarpe nella calce, odori anche lei quella puzza, senta i cani, guardi il cielo fra le impalcature. Ascolti l’assordante silenzio di quella città, vada alla Casa dello Studente, vada in quell’unico bar nella piazza. Faccia un giro a L’Aquila senza Twitter e Facebook; vada a L’Aquila Presidente. Vada là Presidente, vada a L’Aquila dove non c’è nulla da inaugurare in pompa magna ma, da ricostruire c’è tanto.

Non faccia i teatrini con Marchionne Presidente; non ci distrugga il mondo del lavoro; non tocchi la Costituzione che ci va benissimo com’è; vada piuttosto a L’Aquila dove del lavoro ce ne sarebbe molto; vada laddove un suo predecessore ha costruito due casette e poi ha insabbiato tutto. Trascorra una giornata a L’aquila se sa dove trovarla. Invece di ingaggiare campagne offensive contro i suoi oppositori attraverso giornalisti vada là. Le venisse mai voglia di fare qualche investimento pubblico per ricostruire una città senza più cittadini. Vada a fare un giro, magari ritrova la solidarietà.
Inserisca L’Aquila nella legge di stabilità, senza un vero aiuto pubblico non si riuscirà a far rivivere quella città. Presidente, vada a L’Aquila pensando ai ragazzi agli anziani che potrebbero godere di un centro storico. Riapra il caso, non zittisca chi alza la testa; costruisca un progetto positivo, l’unico che giudicherei tale, per ridare vita a L’Aquila.

Faccia un atto alternativo: dia retta a un gufo. Vada a L’Aquila.

La saluto Presidente ricordandole sommessamente che L’Aquila esiste. Forse non farà ascolto, forse non sarà abbastanza cool, ma esiste….

sabato 2 aprile 2016

Il 17 Aprile vota Sì per rinnovare l'Italia


Ormai ci siamo, ci stiamo avvicinando al 17 Aprile: il giorno del referendum sulle trivelle.
Avrei potuto scrivere un articolo dichiarando cosa sceglierò e invitarvi a fare altrettanto. Poi ho visto questo spot, registrato da una persona che stimo molto, nel quale spiega perchè votare Sì. Invece di scrivere, vi propongo questo video che contiene tutti i motivi per i quali farò questa scelta.

Voterò Sì perchè....



lunedì 21 marzo 2016

Il 17 Aprile attuiamo la Costituzione: andiamo tutti a votare



 
Nel silenzio della maggior parte dei mass media il  17 Aprile saremo chiamati a votare per il referendum detto “delle trivelle”.
Ci troveremo difronte a un quesito che, per com’è formulato, potrebbe suscitare dubbi.  La formulazione che leggeremo sulla scheda sarà questa:
 

"Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?".

Proviamo a comprendere il nucleo del tema. Si tratta di un referendum abrogativo, richiesto da diversi consigli regionali, 9 per la precisione, che chiede di abrogare parte di un articolo della legge di stabilità inerente all’estrazione fossile nei nostri mari. La norma in oggetto prevede il diritto, per le aziende attualmente concessionarie di giacimenti entro le 12 miglia dalle coste italiane, di estrarre materiale sino a esaurimento della risorsa. Di fatto è stato eliminato il limite temporale previsto dalle concessioni permettendo, alle multinazionali operanti sul territorio, di sfruttare tutto lo sfruttabile. 

Si tratta di un referendum abrogativo, come prevede l’art 75 della Costituzione, pertanto sarà valido soltanto se andrà a votare il 50% +1 degli aventi diritto; quindi il primo elemento da specificare è la necessità di partecipazione. Come prevede l’istituto del referendum abrogativo, si vota Sì per cancellare la legge in questione, o NO per mantenerla.

E’ bene ricordare che il referendum è lo strumento che consente a noi cittadini di intervenire e di modificare attivamente le scelte che vengono prese dai nostri rappresentanti. Per questo è fondamentale preservare questo strumento andando a votare. Qualcuno, autoritariamente, ha già deciso che ci si dovrà astenere dal partecipare a questo appuntamento avendo, molto probabilmente, l’aspirazione di farlo fallire per poi magari costruire la campagna sulla spesa inutile. Anche su questo vorrei specificare un dettaglio che dovrebbe essere ormai chiaro: la democrazia costa. Il suo funzionamento prevede dei costi che non possono essere erroneamente annoverati come spesa negativa. E’ un investimento al fine di attuare i principi costituzionali. Credo che sia necessario ribadirlo in quanto sarebbe un errore terribilmente grave dire che, promuovendo i referendum, “si buttano soldi”. Organizzando referendum si investono risorse in favore della democrazia. Questo è un principio troppe volte messo in discussione, per questo è bene essere chiari.

Contrariamente a chi invita all’astensione, sento invece di fare un appello alla partecipazione: andiamo tutti a votare e scegliamo secondo la nostra opinione che, nel caso fosse ancora confusa, ci costruiremo in queste settimane. Non partecipare significherebbe non usufruire di un nostro diritto costituzionale. Questo appuntamento aprirà una stagione che rimetterà al centro il cittadino chiedendo direttamente a lui di esprimersi su materie come: scuola, lavoro, Costituzione; iniziamola bene questa stagione. Mandiamo un messaggio chiaro a chi vorrebbe un Paese meno partecipe.  Andiamo a votare prendendo posizione. Facciamo funzionare la Democrazia attuando la Costituzione.