lunedì 30 settembre 2013
Fra Letta e un futuro ancora ignoto
Il padrone ha ordinato ai propri dipendenti, i ministri PDL, di lasciare l’esecutivo. Si è aperta, di fatto, la crisi del Governo Letta. I capigruppo del PDL di Camera e Senato hanno inoltre raccolto le firme dei parlamentari del gruppo che, in tal modo, vogliono lasciare il seggio. Molti di questi però, hanno differito dalla scelta causando una spaccatura nel partito che nel frattempo, riavvolgendo il nastro, è ritornato al ’94.
In questo periodo storico è presente un elemento di fondamentale importanza al fine di percepire la perversità dei ragionamenti proposti dal Pd e da qualche voce del PDL: si è aperta una crisi di governo, non perché esso è inefficiente e non ha risolto nessuno dei problemi del Paese, ma per la condanna per frode fiscale a un leader politico che non vuole arrendersi neanche di fronte ad un giudizio definitivo della Cassazione. In tutto ciò leggo una leggera confusione sui motivi manifesti da allegare a una crisi di governo: si deve far cadere Letta, e tutto il suo plastico, perché non ha risolto, nulla, anzi, ha aggravato la situazione mettendo in discussione l’unica bella certezza che deve avere l’Italia: la Costituzione; e non per i motivi personali di un singolo.
Il parteggiante Napolitano ha dichiarato che il voto sarà “l’ultima spiaggia” e che prima proverà a comporre un’altra maggioranza. Questa scena, con qualche particolare differente, si è già vissuta a fine 2011 ed è terminata con l’arrivo a Palazzo Chigi di un economista, bocconiano che ha spalancato le porte, stendendo anche il tappeto rosso, alle agenzie di rating e all’alta speculazione finanziaria. Se fosse possibile, questa volta, non utilizzare la genialità perversa di Napolitano, si ritroverebbe la fisiologia democratica.
Uno degli obiettivi del prossimo governo, magari dopo una tornata elettorale senza passare per le allucinazioni di Napolitano, dovrà essere la riconfigurazione dei ruoli fra finanza e politica. Il mondo delle speculazioni deve ritornare al proprio posto permettendo alla politica di svolgere il proprio ruolo senza essere condizionata dai mercati, che in questo momento, la stanno sottomettendo attraverso le variazioni strategiche degli indici borsistici. Senza parlare dell’indegno programma, comparso sul documento di un’agenzia di rating, il quale dichiara la volontà di spazzare via le costituzioni antifasciste per ottenere più potere sugli stati.
Il nuovo governo dovrà mettere mano a questo, altrimenti la politica rischia di essere totalmente sottomessa dalla speculazione finanziaria, la quale non ha molta simpatia per l’equità sociale. È necessario abbandonare le politiche di austerità, investendo sul’assistenza sociale, sugli ammortizzatori, sull’istruzione pubblica sistemando anche gli edifici pericolanti al cui interno lavorano tutti i giorni studenti e professori; è indispensabile rielaborare radicalmente il sistema fiscale che finora ha pesato solo sulle classi più deboli e disagiate: sarebbe il momento di lavorare a una tassa sui grandi patrimoni e con essa finanziare lo Stato
Sociale al declino.
Il prossimo esecutivo dovrà progettare una nuova riforma del lavoro, buttando al macero la riforma Fornero, la quale ha soltanto privato lavoratori di diritti come ad esempio l’articolo 18, nella sua forma originale.
Insomma il prossimo governo dovrà applicare la Costituzione: legge troppo spesso dimenticata.
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