martedì 14 dicembre 2010

Questo è Emilio Fede


Edizione del Tg 4 andato in onda la settimana scorsa in cui Emilio Fede Commenta le immagini delle manifestazioni studentesche.
Il telegiornale delle famiglie, lo chiamano.

venerdì 15 ottobre 2010

Xenofobia

Questa poesia l'ho scritta un po' di mesi fa; non l'ho pubblicata subito perché ha partecipato ad un concorso di letteratura giovanile.
La definizione del termine "Xenofobia" dice: paura del diverso, paura dello straniero.
La poesia riporta la situazione sociale italiana. Alcune persone sono ancora xenofobe.

Ventunesimo secolo,
multi etnia,
dovrebbe essere un arricchimento,
dovrebbe essere normale come bere un caffè alle sei e mezza di mattina,
dovrebbe essere accettata e presa, acchiappata come una conoscenza in più,
dovrebbe essere meravigliosa come i gabbiani sul Lago di Como,
ma esiste anche la malattia avversa,
la xenofobia,
malattia tremenda e ignorante,
malattia autoimmune,
non è stata ancora trovata una cura,
cura latitante,
cura che non vuole curare,
cura che non esiste per la xenofobia.

Xenofobia,
malattia che vede le persone straniere,
diverse,
per razza, colore,
vede le persone straniere nemiche,
nemiche da sconfiggere.

Xenofobia,
malattia comune nel ventunesimo secolo,
chi soffre di questa terribile malattia vede,
vede,
i suoi simili diversi,
diversi,
così diversi che non si meritano di avere una vita migliore,
“Stessero al loro paese” si dice,
e rimbomba per tutta l’Italia,
rimbomba come una canzone distorta,
rimbomba,
tra i signori,
tra i ragazzi,
tra un po’ rimbomberà anche nei bambini,
rimbomba in tv,
rimbomba nei giornali,
rimbomba nelle nuvole.

Xenofobia,
malattia autoimmune,
malattia che non ha cura,
malattia,
nel ventunesimo secolo,
ci sono le guardie col cannocchiale ritte sulle coste,
guardano,
guardano se qualche barcone si avvicina,
in Italia non si vuole la multi etnia,
non si vuole,
in Italia non si vuole giocare con la tavolozza dei colori.

lunedì 30 agosto 2010

Il tempo e sua sorella

Questa poesia parla di quanto il tempo scorra veloce e quanto veloce ci porti da sua sorella

Il tempo scorre,
ti svegli la mattina e cominci a correre,
corri corri e ancora corri,
“Scappo!” diciamo,
scappiamo al lavoro, a casa, a scuola e viceversa.

Tempo scorre come un treno diretto al capolinea,
se guardiamo un metro,
ci rimane ben poco da vivere,
chi crede vive nella speranza vana che di là ci sia qualcosa:
inferno, purgatorio o meglio ancora,
il paradiso.

Chi non crede vede il buio avvicinarsi,
vede l’eternità sotto terra al buio senza sapere più niente di chi ancora vive,
quel buio inghiotte senza paura e indecisione,
quel buio ti aspetta dietro ad un angolo, un bar una mattina dopo aver pronunciato “Ci vediamo stasera”,
stai mangiando la tua pasta nel tuo bar e,
arriva con una scusa ti trascina via senza darti il tempo di dire: sto morendo!

Ti metteranno sotto terra,
ti metteranno sopra al comò dentro ad una cornice argentata,
spolverandoti ogni mattina mentre fanno il letto e ogni sera la preghiera quotidiana invocando il tuo ritorno.

Siamo vittime del tempo e drogati,
drogati dalla velocità,
drogati dalla velocità con cui andiamo verso la morte.

lunedì 19 luglio 2010

“Quanto sei bella piazza”

Questa poesia racconta la vita di piazza ma deve combattere con il suo nemico peggiore.

Chiese negozi panchine,
bastoni appoggiati affianco delle panchine,
giovani vecchi discutono di politica,
bambini giocano a “Ruba Bandiera” davanti alla chiesa,
arriva anche un piccione che mangia dalla mano di un bambino,
arrivano tutte le famiglie,
i bambini corrono corrono,
corrono in mezzo alla piazza,
i padri tutti riuniti a guardare la partita di pallone,
le madri tutte sedute a guardare il giocare dei propri bambini.

Quanto sei bella piazza,
il sole ti illumina,
il municipio ti fa ombra,
fai giocare i tuoi bambini,
fai giocare fai urlare fai correre i tuoi bambini: i tuoi figli,
perché tutti noi siamo figli tuoi.

Quanto sei bella piazza all’imbrunire del giorno,
i giovani e i vecchi ancora lì a parlare di politica,
barristi che devono chiudere ma si incantano a guardare quei ragazzi che magicamente,
hanno perso la cognizione del tempo.

Quanto sei bella piazza,
combatti contro il tuo nemico,
combatti contro,
il nemico peggiore della società:
il supermercato,
forse un giorno ci accorgeremo che il luogo migliore sei tu e forse ripeteremo di nuovo:
“Quanto sei bella piazza”.

martedì 29 giugno 2010

Perdere tempo

Bologna non è sporca, è solo dipinta!
Proprio di questo parla questa poesia, della pulizia di Bologna. Faccio fatica a capire veramente da cosa bisogna ripulire Bologna.

Città dei piccioni,
città rossa,
città,
Bologna grande città,
grandi piazze,
grandi strade,
enormi portici dipinti da ragazzi,
dipinti per sfogare quella creatività,
città dipinta,
come fossero sporchi vogliono ripulire i muri,
ci sono parolacce,
ci sono,
meglio sui muri che in televisione.

Bologna, città meravigliosa,
la vogliono ripulire,
ripulire da una cosa che non da fastidio,
una cosa che,
non disturba:
i graffiti,
non disturbano,
non fanno male alla salute,
Bologna piena di smog,
“No pensiamo a ripulirla dai murale”,
perdere tempo,
perdere tempo perché non si sa che fare,
il commissario non sa stare con le mani in mano,
e allora,
giù con le pulizie di Pasqua,
fino ad ora non gliene era mai interessato a nessuno,
ma ora,
come degli annoiati,
stiamo facendo una cosa inutile,
tanto Bologna ha un commissario,
non ha più un governo
ma è come,
purtroppo,
un governo di destra.

venerdì 4 giugno 2010

Non solo un semplice lago

Questa poesia è dedicata ad un luogo, un luogo che per me possiede una magia smisurata.
Era da tanto che volevo descrivere questo luogo ma non ho mai trovato le parole giuste.
Adesso le ho trovate.

Gabbiani volano bassi,
tutti allegri,
i pescatori allegri ormeggiano la loro barca al molo,
tutto tranquillo,
col suo suono di acqua che si scontra con la banchina,
le piazze ancora antiche,
percorse da biciclette,
è l’atmosfera del Lago di Como.

Quei paeselli piccoli,
piccoli come piani di palazzi,
dove si conoscono tutti,
tutti sanno di tutto e tutto sa di tutti,
tutti sanno di tutto e tutto sa di tutto,
i bambini possono uscire da soli perché,
tutti sanno di tutto e tutto sa di tutti.

All’alba vedi,
scendere la gente dalle strade per raggiungere il loro impiego,
all’alba senti il cigolio delle serrande dei negozi,
senti salutare perché,
tutti sanno di tutto e tutto sa di tutti.

Non c’è frenesia,
non c’è frenesia nelle persone,
non c’è angoscia,
non c’è,
non c’è il traffico,
non c’è fretta,
non c’è paura,
non c’è solitudine,
non c’è perché,
tutti sanno di tutto e tutto sa di tutti.

La fine della giornata non è fine,
continua l’avventura della vita,
perché non c’è fretta sul lago di Como,
tutti pronti a vivere,
tutti pronti a sognare,
tutti pronti a svegliarsi di nuovo e pronunciare quella parola,
“Ciao”.

Le botteghe sono popolate,
i negozi sono frequentati perché,
non c’è la rovina della società:
il centro commerciale,
tutti escono dai negozi e guardano di fronte a loro,
il lago,
con le sue montagne che incontrandosi formano una curva perfetta.

Mondo a parte quello del lago di Como,
ma circondato da uno stereotipo,
inventato,
inventato dalle regioni invidiose della bellezza,
non tanto del paesaggio,
ma,
della società che fa vivere,
a chi va in vacanza,
un sogno magnifico.

martedì 1 giugno 2010

Uno gioco nuovo in Italia

Questa poesia narra di un gioco terribile comparso in Italia.
Questo blog ne aveva già parlato in precedenza ma, come dico sempre, è meglio ripetere.

Nel ventunesimo secolo è stato inventato un nuovo gioco,
dopo la box,
è stato inventato un nuovo gioco,
dopo gli autoscontri è stato inventato un nuovo gioco,
un gioco un passatempo:
le aggressioni razziali,
invece di malmenare un sacco di cotone,
si malmena un albanese un rumeno o un omosessuale,
per gioco per passatempo,
si malmena,
si malmena anche per odio per quella costrizione mentale ancora divisa,
a razze.

È l’effetto della xenofobia,
malattia autoimmune,
contagiosa,
odio per le persone degli altri paesi,
odio per gli immigrati,
odio per tutte le persone che parlano una lingua diversa,
rosso giallo blu che differenza fa,
non c’è scritto da nessuna parte,
l’acquisto dell’Italia da parte del popolo che,
non si riesce a pulire da quella sporcizia,
chiamata gentilmente:
fascismo.

mercoledì 12 maggio 2010

Dopo il sei

Mi capita di sentire persone che sono contente del lavoro fatto da Berlusconi in Abruzzo.
Invece io proporrei uno sguardo più realistico. Il blog affronta Realtà e dintorni e quindi mi è venuta l'idea di scrivere una poesia dedicata a quelle persone, non fatte più vedere, che vivono ancora in mezzo ad una strada.

Quella notte dormivano tutti,
tutti intenti a sognare nel silenzio del buio,
quei sogni sono stati fermati,
il terremoto ha premuto “stop”,
le case le piazze le chiese hanno tremato,
hanno tremato così forte che,
tutto si è sgretolato come fosse una cialda,
si è sgretolato,
l’indomani mattina tutte le radio i giornali le tv hanno annunciato,
che un terremoto,
era arrivato all’Aquila,
spazzati via tutti i ricordi,
spazzati via gli amici,
spazzati via i lavori,
spazzati via gli studenti,
tutti preoccupati quel 6 Aprile 2009,
da tutta Italia andavano,
andavano ad aiutare a scavare,
a scavare tra le macerie,
giorni di panico,
giorni di dolore,
dolore terribile dimenticato.

Dimenticato dallo stato,
dimenticato dalle TV,
dimenticato dai giornali,
dimenticato anche da lui,
lui che aveva promesso,
promesso poi,
svanito nel nulla,
con due,
due costruzioni,
costruzioni che con gloria,
faceva osservare,
faceva osservare,
faceva toccare a pochi,
faceva toccare a pochi,
bicchieri nuovi posate coperte,
illusione terribile,
set cinematografico,
il retrò non si vede mai,
mai,
non te lo fanno vedere,
dicevano,
“Gli abruzzesi sono contenti”,
si diceva,
ma gli abruzzesi erano,
erano con il governo,
arrabbiati,
arrabbiati,
lui,
promette e non mantiene,
arrabbiati col regista di quest’Italia malmessa,
col capitano della nave che,
come il Titanic sta affondando,
con un’unica differenza,
il nostro capitano è stato scelto.

Si dice,
si dice che abbia fatto chi sa cosa,
si dice,
che abbia sistemato tutto,
si dice che ha rifatto le scuole,
e con un coretto simpatico ha acquistato elettori futuri,
si dice che sia tutto a posto,
si dice,
si dice.

Sono state infossate tutte le prove,
non fanno vedere perché corrotti,
non fanno vedere perché se no perdono il posto,
segreto,
segreto che sa solo chi va a vedere,
celato,
sotterrato come un cadavere.
Sarebbe un film perfetto ma purtroppo,
è la realtà italiana.

venerdì 7 maggio 2010

La vera natura

Dovete sapere che io abito dietro ad una scuola elementare e, quando arrivo a casa per pranzo, si sente un suono meraviglioso.
Ho deciso di dedicare una poesia a questo suono veramente meraviglioso.

Urli,
a mezzogiorno,
provengono dalla scuola dietro casa,
urli,
non fastidiosi,
affatto fastidiosi,
piacevoli,
quegli urli,
di voce candida e armoniosa,
senza un pizzico di raucedine,
urli che provengono dal cuore,
urli liberatori,
urli, che quasi si confondono con l’ambiente naturale,
natura,
sorge il dubbio che sia quella la vera natura,
dubbio che dopo cinque minuti si risolve:
sono quegli urli la natura,
natura non considerata tale da un biologo,
ma considerata tale da uno fragile di cuore o da una persona che semplicemente,
con un po’ di pazienza,
si ferma e,
ascolta,
ascolta questi urli che vanno vanno vanno,
vanno in celo,
si disperdono nelle nuvole,
arrivano al mare,
e sorprendono anche gli abitanti del mare,
sorprendono i pescatori che distolgono,
per un attimo lo sguardo dalla canna e,
ascoltano ascoltano ascoltano,
ascoltano senza interessarsi da dove provengano,
questi urli di voce,
candida e armoniosa.

mercoledì 28 aprile 2010

Bambina fatata

Questaa poesia è dedicata ad una bambina che possiede un'intelligenza superiore alle altre.

Esiste,
esistono i grandi casi nella vita,
esistono i casi che ti stupiscono,
esiste una bambina fatata,
e improvvisamente in un estate di due anni fa,
è comparsa,
è comparsa per puro caso,
è comparsa per pura fatalità nella mia vita,
e dopo la fatalità ed il caso sono diventati importanti.
Bambina fatata,
lo dice l’aggettivo,
non è uguale alle altre,
non è uguale a quel miliardo e mezzo di bambini,
non è uguale,
nel comportamento,
ma soprattutto nella mente,
la mente,
cosa importantissima,
sviluppata per l’età che ha,
sei anni,
prima elementare tutti dieci,
tutti dieci,
come qualsiasi persona valuterebbe,
il suo comportamento, la sua mente,
qualsiasi persona potrà costatare che,
la sua mente è fatata.

Bambina fatata,
l’ho conosciuta due anni fa,
bambina fatata,
quando mi hai visto non mi hai chiesto,
“cos’hai” ma “Come stai?”,
quando ti ascolto mi stupisco,
quando seguo i tuoi ragionamenti mi stupisco,
mi stupisco,
faccio confronti con gli altri bambini,
ma mi rendo conto,
sempre di più che,
tu sei speciale,
sei speciale perché,
ti interessi delle cose in modo speciale, curioso,
l’astuzia che hai ti fa onore,
il tuo apprendimento delle cose fondamentali della vita ti fa onore.

Bambina fatata ti dedico queste strofe per ringraziarti,
di essere tra quelle poche persone che mi aiutano a capire meglio la vita con la quella tua grotta infondo al corpo:
la mente.
Grazie

domenica 18 aprile 2010

La voce

Questa poesia è dedicata a due grandi artisti che hanno saputo emozionarmi durante un concerto.
Ho cercato, anche se in malo modo, di riportare le emozioni che ho provato a quel concerto.
Spero che vi piaccia.


Quell’impianto stereo,
composto solamente da due casse e due microfoni,
trasmette una voce e il suono di una chitarra,
voce che non da fastidio neanche alla prima fila,
chitarra dolce e sincera la accompagna.
Voce, voce calda,
come un sole di ferragosto,
chitarra che si mescola alla voce e formano un nuovo strumento,
strumento che strappa applausi alle undici di sera, applausi che,
escono dalla sala e vanno ad influenzare tutto il paese,
il cuore di tutti riceve questo calore,
cuore che trema di brivido,
trema da quanto calore, quella voce e quella chitarra emanano.

Voce di notte,
in quel teatro,
piccolo ma gremito di popolo,
scalda le anime,
scalda,
fa muovere le mani,
d’istinto,
senti il bisogno,
di applaudire,
senti il desiderio di urlare,
di urlare, quell'azione,
che, normalmente ai concerti,
si spreca,
qua è sentito,
qua sei in pieno delle tue capacità intellettive,
urli,
urli,
urli come quel milione d’invasati allo stadio,
ma, questa volta è meritato,
non lo fai per moda,
non lo fai per conformismo,
lo fai per dimostrare che quelle due persone che sono sul palco,
hanno avuto il magico potere di emozionarti,
si,
ti hanno fatto piangere,
allora gridi "bravo",
cerchi di unirti allo scroscio di applausi ma non ce la fai,
tu vorresti fare scendere i palloncini dalle americane piene di fari che illuminano quel quadro, che vorresti fotografare con anche il sonoro nella tua mente.
Voce,
scalda come un fuoco,
fuoco che non brucia,
anzi è li per te,
la voce ti entra dentro,
sa esattamente la strada del cuore,
sa benissimo colpirlo,
con un tocco leggerissimo di mano fatata,
si,
un concerto,
concerto che,
come una freccia dipinta di rosa arriva al tuo cuore,
e non ti uccide,
anzi, ti da una scossa elettrica che ti carica,
carica che ti permette di fare chiarezza nella tua vita,
vita,
che prima di incontrare quei due artisti era incompleta,
adesso puoi dire che quelle due persone ti hanno dato la scossa,
una di quelle la vedi anche a scuola,
ti insegna,
Dante, Boccaccio, Pascoli e la vita,
la vita che non ha un manuale d’istruzione,
non ha l’angelo custode,
come ti dicono da piccolo,
la realtà è che,
la vita è un filo sottilissimo a cui noi siamo appesi,
qualcuno è già caduto,
un tuo amico,
è caduto,
si è lasciato cadere,
perché la sua vita,
ormai,
non aveva un senso,
senso,
si senso,
ognuno deve avere un senso,
un senso pratico,
un senso teorico,
un senso che esiste solo per quella persona,
ma pur sempre un senso.
Il mio senso è composto da tante cose, persone,oggetti,
una cosa è quella voce,
quella voce,
quella voce che esce da quel impianto stereo.
Voce,
tu che arrivi dritta al cuore,
ricordati sempre,
ovunque andrai,
che,
hai saputo fare quell’azione che non sempre riesce,
emozionare,
emozionare,
hai riempito la sala di un suono e di un significato che,
non tutti gli artisti sanno dare al loro mestiere.

sabato 27 marzo 2010

Due poteri nello stivale

Questa poesia presenta i due poteri che purtroppo governano in Italia:
Governo Berlusconi e Chiesa.
Due poteri diametralmente opposti ma non so per quale legge fisica si attraggono.

A scuola si raffigurava l’Italia come uno stivale,
stivale che ora ha due poteri,
il primo ha sede a Palazzo Chigi,
l’altro, più nobile ha sede nello Stato Vaticano,
stato della Chiesa,
secondo potere dello stivale,
Presidente del Consiglio gioca a governare l’Italia con il suo migliore amico,
il Papa,
si,
stesso uomo che ogni maledetta Domenica,
si affaccia come un piccione,
dal suo balcone in Piazza San Pietro,
e con l’espressione santa,
predica a tutti i fedeli ipnotizzati dal dio in terra,
le parabole del Vangelo,
stesso Vangelo che obbliga l’uomo di chiesa a vivere in povertà,
frammento non molto chiaro alla Chiesa,
che con i suoi averi sfamerebbe tutto il mondo,
stesso mondo che prova a cercare una causa di tutta questa ricchezza,
non c’è,
non c’è.
Il Presidente del Consiglio ha tagliato tutto nella scuola,
perfino la carta igienica,
ma ha alzato gli stipendi degli insegnanti di religione,
perché quell’amicizia di convenienza spudorata,
la vuole mantenere,
come il Lodo Alfano,
come l’amicizia con i telegiornali,
come l’amicizia con gli avvocati,
come tutti i capri espiatori,
gli fanno comodo.

Due poteri nello stivale,
si,
se ne guardano bene dal dirlo,
ribelliamoci a questi due poteri,
ribelliamoci al governo,
non crediamo al barzellettiere,
non crediamo ai telegiornali,
non crediamo di avere superato la crisi,
soprattutto,
non crediamo che non si possa fare niente,
perché,
tutti possiamo ribellarci da questi due poteri,
speriamo solo,
che arrivi quel giorno,
dove,
anche se poco,
avremo il piacere di rivedere la luce,
di vedere la fine della disfatta dell’Italia,
e quel giorno avremo la possibilità di buttare dal ponte questa destra alleata.

venerdì 12 marzo 2010

L’Italia

"L'Italia" è una poesia che non può avere una presentazione: diciamo che sia una poesia che critica dei lati dell'Italia.

Bandiera tricolore,
verde bianco rosso,
nazione,
paese,
ammirata per i bellissimi luoghi turistici che le appartengono,
Lago di Como eccetera,
presa in giro,
dagli altri stati,
quelle battute da Zelig del Presidente del Consiglio,
battute che,
fanno ridere solo lui,
piangere i cittadini,
ridere quelli che danno lui voto.
Italia,
Vaticano,
Chiesa,
Papa,
Governo
non si sa chi,
e quando governa.
Io,
Sinistra,
io,
che fino a qualche anno fa non avevo idea minima di politica,
adesso,
un angelo mi ha svegliato,
mi ha fatto capire la vita,
la politica, la poesia,
la musica,
adesso sono semisveglio ma,
voglio svegliarmi del tutto e a modo mio,
qualunque cosa mi fosse stata detta sull’Italia,
io credevo.

Su quel documento d’identità,
l’impiegata comunale ha scritto,
con una penna stantia e stremata,
cittadinanza italiana,
e io che,
volevo,
come i gatti,
sfuggire a quella parola strana costrittiva come,
cittadinanza italiana.
Le mie orecchie,
hanno sentito tante volte,
la frase che ti distrugge,
“chi te le insegna certe cose”,
sembra quasi,
un modo gentile e grazioso,
per dirmi semplicemente,
che io sono piccolo,
le cose di politica,
non capisco,
al contrario di quando faccio discorsi a persone estranee,
come tutte quelle frasi scritte sul giornale,
che,
fanno dire alla gente,
una parola sincera e candida come
quella di un bambino,
bravo,
bravo mi dicono,
non credo all’obbiettività in politica,
allo stesso modo a cui non credo,
a Dio,
al Papa,
alla Chiesa,
al Governo,
e a chi mi dice che l’Italia ha il più bel Governo del mondo,
che sono le stesse persone che credono agli stereotipi,
ai pregiudizi,
che,
purtroppo,
sono diffusi nella società.

martedì 9 marzo 2010

Nevicata di Marzo

Questa poesia racconta come sia strana la cosa più semplice del mondo.

Viene giù,
viene giù,
a Marzo,
quando tutti pensavano che,
la Primavera fosse in arrivo,
viene giù,
viene giù,
la neve,
come fosse farina in un panificio,
viene giù,
traffico metropolitano impazzito,
cielo, che sembra carta,
ci incombe.
Viene giù,
imbianca tutto,
strade, cortili,
che fino a ieri,
ospitavano i bambini,
case imbiancate,
siepi imbiancate,
piazze imbiancate,
a Marzo,
a Marzo che ci si dimentica di essere in inverno,
Marzo,
neve,
neve,
palle di neve viaggiano da Porretta a Bologna,
silenzio,
vivere nel silenzio non si è abituati,
vivere isolati non si è abituati,
vivere con sorpresa non si è più abituati,
la neve ricopre le strade,
isolandole,
viene giù,
polvere bianca dal cielo,
e io,
guardo la nevicata di Marzo dalla finestra della mia stanza.

martedì 16 febbraio 2010

Cinque Giugno

Questa poesia è dedicata a Marco, un mio amico che è morto, appunto il cinque Giugno 2009.
Non la presento più di tanto perchè credo che si presenti da sola.

Ultimo giorno di scuola,
uno sparo,
e di te,
più traccia,
uno sparo nel silenzio,
un proiettile ti ha colpito,
proiettile caricato da te stesso,
proiettile che ti ha fatto sparire dalla faccia della terra.
Cinque Giugno,
festeggiavo la fine della scuola,
che non festeggerò più,
non ha senso festeggiarla,
dopo che quel giorno,
ci hai lasciato,
lasciato in quel mondo che,
non ti andava più bene.
Gambe non mi tenevano più su,
testa che non riusciva a pensare a nient’altro,
pianto,
una serata fuori con gli amici,
non aveva senso,
non aveva senso lavorare,
ferita che non si cicatrizzerà mai,
perché,
anche se a volte,
il tuo comportamento era scocciante,
ma,
nessuno mi ridarà quelle serate piene di simpatia,
quelle serate dove,
anche un gesto,
era ironico,
ironia con cui tu sapevi giocare benissimo,
sapevi rallegrare una Domenica pomeriggio,
tu che,
non eri mai arrabbiato,
hai voluto lasciare tutto,
rispettando la tua scelta,
ti dico,
che,
ti ho sempre voluto bene.

giovedì 11 febbraio 2010

Fine del Carnevale

Questa poesia narra di un Carnevale che, ad un certo punto finisce, lasciando un uomo da solo.

Vibrano i vetri delle finestre,
passa un carro,
con Arlecchino e Pulcinella,
che
ti salutano,
facendoti sorridere un poco,
piovono caramelle,
rumore di alluminio,
stelle filanti,
piovono dal cielo,
in coda al carro,

un corteo,
bambini, giovani, vecchi,
esaltati da quel magnifico carro,

carro che contiene,
sogni, speranza e felicità.

Un piccione vola sul carro,
piccione che ruba,
dalle mani dei bambini,
briciole di pane,
strappate via,
come la velocità di Willeneuve,
gli ha strappato via la vita.

Dopo poche ore,
se ne vanno tutti,
è la fine del Carnevale,
rimani da solo in quella strada,
in cui,
poco prima,
eri circondato dalla folla,
che,
incitando Arlecchino e Pulcinella,
si sono dimenticati,
per un istante,
i problemi della vita,
fine del Carnevale,
ritornano tutti i pensieri,
pensieri che,
sono arrivati e non se ne vanno più,
tu,
ti siedi sul marciapiede,
con la testa appoggiata sulle braccia conserte,
e pensi,
se anche quando arriverà Godot,
ci sarà ancora quella allegria,
che ti sgombra la mente,
fine del Carnevale,
resti solo in mezzo ad una strada,
chiedendoti,
se tutta quella allegria,
rimarrà fino a che Godot,
ti strapperà la vita,
come quei piccioni strappavano il pane dalle mani dei bambin
i.

giovedì 28 gennaio 2010

Vedo dei barconi al largo

Questa poesia racconta di un uomo che vede degli stranieri cacciati via dall'Italia e rivendica di essere italiano.

Vedo,
Vedo,
Vedo dei barconi al largo,
sì. vedo dei barconi pieni di africani,
rumeni, pachistani,
che si allontanano dalla costa italiana.

Vedo dei barconi al largo,
allontanati dall’Italia,
come se fossero sassi sotto ai piedi,
come sassolini nelle scarpe,
lanciati via dall’Italia,
senza alcun rimorso,
in prima pagina sul giornale,
hanno fatto bene,
dicono la maggior parte dei cittadini,
governo impavido,
governo che vuole un paese senza tante etnie.
Accendo il televisore,
hanno fatto anche il filmino,
mi vergogno di avere la bandiera in casa,
tricolore,
strapperei tutti i vestiti con sopra la bandiera italiana,
non indosso più quel cappellino con il simbolo dell’Italia,
mi vergogno perfino di avere acquistato una bandiera per i mondiali,
la nascondo nell’armadio sotto a mille vestiti nella speranza di non rivederla più.

Ho visto dei barconi al largo,
che ritornano nella guerra del loro paese,
sulla mia carta d’identità vorrei cancellare la voce “Cittadinanza italiana”,
perché.
mi vergogno profondamente di essere italiano.

mercoledì 27 gennaio 2010

Le morti bianche

Domenica sera ho visto un film che trattava un argomento molto presente ai giorni nostri: le morti bianche.
Il film si chiamava “Gli ultimi del paradiso” e narrava la storia di un uomo e dei suoi migliori amici che erano dipendenti di un’azienda di autotrasporti che gli assegnava dei compiti impossibili, con ore e ore alla guida di un tir.
Io lo definirei un documentario che fa osservare le norme di sicurezza non rispettate, quelle piccolissime regole che se rispettate ti farebbero lavorare in più sicurezza e senza il rischio di non rivedere più i tuoi figli, tua moglie, i tuoi amici; però ci dobbiamo chiedere il perché non vengono rispettate, perché un autista di tir deve arrivare a rischiare la vita per arrivare a quell’orario. Perché se no non viene pagato il giorno di lavoro, perché se un carico arriva due minuti dopo perdi il lavoro e se perdi il lavoro non puoi mantenere la tua famiglia.
Alcuni operai cadono dai ponteggi perché sono stati montati male, i minatori colpiti da un pezzo di roccia che si stacca, i muratori caduti da un tetto, tutti quei capotreni traditi da un semaforo non funzionante non vedranno più la luce.
Le morti bianche avvenute in Italia nel 2009 sono 576 contro i 639 del 2008, abbiamo avuto un calo del 10%; le statistiche affermano che la maggior parte dei morti sul lavoro sono persone che vengono da altri paesi.
Io non avevo mai avuto modo di riflettere a fondo su questo argomento, perciò anche se non leggeranno questo articolo devo ringraziare la produzione di questo film, l’eccelsa interpretazione di Massimo Ghini e tutti gli attori che hanno prodotto un film veramente interessante e con alti contenuti morali.
Le morti bianche accadono per motivi assurdi ed è un fenomeno in grande aumento, un fenomeno che si potrebbe evitare con uno sforzo in più.

venerdì 22 gennaio 2010

Abruzzo

Ho deciso di scrivere questo articolo per informarvi della situazione delle zone colpite dal terremoto, perché i mass media ci stanno dando informazioni false, sempre per il solito problema: l’informazione italiana è truccata, i telegiornali dicono il 20% di verità.
La situazione abruzzese non è così rosea come ci dicono anzi, gli abitanti delle zone colpite dal terremoto sono arrabbiati neri con il Governo.
La gestione delle case data al Governo non è così bella: solo una piccola parte di popolazione ha avuto l’abitazione; non nego che sia stata un record costruire quegli appartamenti però volevo sottolineare alcuni punti: non le ha costruite lui bensì dei volontari dal Trentino, non ha ringraziato i volontari che hanno donato dei materiali e soprattutto la manodopera, ha fatto in modo che il Governo presenziasse in tutto. Questo ve lo dice uno che ha seguito tutte le dirette tv di quei giorni, anche l’assemblea con il capo della protezione civile Bertolaso, mi sono guardato, non ha ringraziato nessuno tranne i pompieri. Adesso fa costruire un po’ di case e poi… non fa vedere più tutta l’altra gente senza abitazione perché così sembra che l’emergenza sia finita. L’emergenza esiste ancora fin quando tutte le persone saranno sistemate e non ci saranno più delle tendopoli, ad Agosto avevano la preoccupazione di dove le avrebbero fatte andare, non si può, dopo un trauma di questo tipo, avere questa preoccupazione; una persona dovrebbe avere la certezza che comunque vadano le cose non sarà mai spostata dal suo paese, i contadini che hanno perso la casa non bisogna portarli in città nelle “Casette del governo”. Un po’ di tatto bisogna averlo, le donne anziane fanno fatica a lasciare un luogo ed io le capisco, hai sempre il dubbio “Nel nuovo posto mi ambienterò bene come qua”?
Signori, mi è stato detto che gli abruzzesi non avevano detto niente sull’organizzazione del Governo! Come no! Hanno fatto uno striscione per accogliere Berlusconi con scritto “"Dove andremo a settembre? No alla deportazione" , se vogliamo possiamo dire che sia un commento affettuoso per Berlusconi, sì se vogliamo possiamo dire così!
Questo articolo fa capire come siamo messi in Italia, io non ho più parole.
Tutte queste informazioni le ho prese da un articolo di Repubblica del 15 Settembre 2009.

martedì 19 gennaio 2010

Due anni

Il 19 Gennaio 2008 ho fondato questo blog con tema principale la disabilità vista in maniera ironica e sarcastica.
Col passare dei mesi mi sono accorto che affrontare solo ed esclusivamente un argomento non era molto interessante ecco perché per il secondo anno ho deciso che come descrizione del blog fosse meglio “Realtà e dintorni”, permettendo così di poter affrontare tutti gli argomenti, dalla disabilità alla politica, dalla poesia alla società odierna eccetera.
Inoltre ho modificato un po’ la grafica, per esempio ho tolto “Spettacoli teatrali” perché è da un po’ di tempo che non faccio più spettacoli, ho lasciato la poesia “A Fede” del mio maestro Claudio Lolli e ho aggiunto un elenco delle poesie che ho scritto e che aggiornerò qual’ora ne scriverò altre.
Siamo arrivati alle porte di un nuovo grande anno dove verranno affrontati gli argomenti più in poesia e con molta più riflessione.
Le tematiche che verranno affrontate saranno: la politica, società, dinamiche sociali eccetera; m’impegnerò a rendervi un anno interessante.
Siamo arrivati al secondo anno acquistando sempre dei lettori in più, adesso ho 38 lettori fissi più le persone dai siti a cui sono collegato.
Oggi il blog entra nel secondo anno con un pubblico stupendo che è sempre pronto a commentare qualunque cosa venga pubblicata, quindi devo usare un titolo di una canzone di Gianni Morandi:
Grazie a tutti.

giovedì 14 gennaio 2010

Non è la mia generazione

Questa poesia racconta le differenza fra la generazione odierna e quella di un paio di decenni fa.
Io dico sempre che ho sbagliato epoca.

Sono nato nel millenovecentonovantatre,
nuova generazione.
Duemilanove,
sedic’anni,
non è la mia generazione,
no, non è la mia generazione,
avrei voluto nascere negli anni sessanta,
case con il cucinotto,
scuole col calamaio,
la domenica andare in montagna con la due cavalli,
bretelle e camicia,
musica significativa,
Claudio Lolli, De Andre…

Non è la mia epoca,
ragazzi vestiti tutti uguali,
discoteche,
pub,
non è la mia epoca,
no, no, musica insignificante,
canzoni composte da due parole,
buongiorno e buonanotte,
case tutte aperte,
stanze comuni,
no,
non è la mia epoca,
no,
non è la mia epoca.

Oggi giorno si va in Sardegna,
sì,
solo li ci si diverte,
se non vai in Sardegna,
ti dicono,
ti perdi uno spettacolo,
tu rispondi con una battuta,
si vede che quello spettacolo non è di tuo gradimento.

Oggi giorno la riviera è l’ultima spiaggia,
l’Adriatico non vede più i castelli di sabbia,
ritmi frenetici,
vai, corri, vai bene a scuola,
mi dicevano,
che ad Agosto ti portiamo in Sardegna,
ed io annuivo senza battere ciglio.

Gli stimoli di quest’epoca,
arriva Tiziano Ferro a Bologna,
tu fai finta di gioire per non piangere,
piangi per non ridere,
ridi per non pensare che gli stimoli siano quelli.

Non è la mia epoca,
non so cosa farci,
non so cosa farci.

martedì 12 gennaio 2010

Un incontro mozza fiato

Questa poesia l'ho scritta per ringraziare quella persona che mi ha dato la spinta verso la poesia.
Io gli devo tanto a questa persona.

Nella mia vita,
in sedici anni di vita,
ne ho incontrata di gente,
ragazzi, adulti, anziani,
ma,
uno come lui no,
mai.

Claudio,
Lolli di cognome,
un prof, un poeta, un cantautore,
l’ho conosciuto, l’ho conosciuto,
lo chiamavo prof,
poi,
la sua persona mi ha colpito,
la sua voce, mi ha colpito.

Mozza fiato,
si, un incontro mozza fiato,
prof d’italiano,
diventato qualcosa di più,
le sue canzoni mozza fiato,
la sua voce mozza fiato,
le sue lezioni mozza fiato.

Dolce stil novo,
Scuola Siciliana,
Dante,
un incredibile apprendimento,
un’ora d’italiano,
sessanta minuti d’italiano,
volano via come un aquilone al mare,
ti diverti,
ti diverti imparando.
Incontro mozza fiato,
che ti insegna a vivere.
Claudio,
poeta,
professore d’italiano,
insegnante di vita.
Con amore Fede